tag:blogger.com,1999:blog-68512055405972473842024-03-13T11:10:47.649-07:00RADICAMENTI
Blog di Lorenzo Dorato.
Riflessioni filosofiche, politiche, economiche…. alla radice delle coseLorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.comBlogger11125tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-72272085972716156242017-10-20T13:33:00.001-07:002017-10-21T00:21:10.127-07:00Tito Boeri, la crisi demografica, le pensioni e l'immigrazione come variabile esogena naturale<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-g2UAhemvEvg/WerdLFaMi3I/AAAAAAAABx0/gk3J-oBDdasJI49FIHQFistzIcceJYYxgCLcBGAs/s1600/Boeri.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="159" data-original-width="318" height="200" src="https://2.bp.blogspot.com/-g2UAhemvEvg/WerdLFaMi3I/AAAAAAAABx0/gk3J-oBDdasJI49FIHQFistzIcceJYYxgCLcBGAs/s400/Boeri.jpeg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Tito Boeri, Presidente dell'Inps, ha ribadito ieri, per la seconda
volta in pochi mesi, che l'Italia ha bisogno di
un maggior numero di immigrati regolari per compensare il declino demografico e
per rendere sostenibile il sistema pensionistico. Si è riferito in modo diretto
alla regolarizzazione dei lavoratori immigrati ma in realtà parlando di
prospettive di lungo periodo ha implicitamente descritto l'immigrazione come
fenomeno d'insieme nel suo impatto sulla demografia nazionale e sul funzionamento del sistema pensionistico.</div>
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Ecco qui la sua esternazione che somiglia molto a quella giù espressa nel mese di Luglio.</div>
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<a href="http://www.askanews.it/economia/2017/10/18/boeri-a-economia-italiana-servono-pi%C3%B9-immigrati-regolari-pn_20171018_00126/">http://www.askanews.it/economia/2017/10/18/boeri-a-economia-italiana-servono-pi%C3%B9-immigrati-regolari-pn_20171018_00126/</a></div>
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Si tratta di una prospettiva apparentemente logica e di buon senso,
ma che in realtà nasconde un freddo cinismo economicistico e un'affermazione perentoria di difesa dello status quo. Prescindiamo dal dibattito sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari e concentriamo l'attenzione sull'idea di immigrazione come risorsa economica di compensazione degli squilibri economico-demografici. Sta qui infatti il punto cruciale che delimita una vera e propria cultura e ideologia.. Le parole di Boeri del resto non riaffermano un punto di vista isolato, ma una consolidata
impostazione sul tema.<br />
Si trasforma infatti l'immigrato da soggetto di un dramma collettivo economico e sociale ad oggetto e risorsa preziosa per l'equilibrio demografico e pensionistico di una collettività a lui estranea. Volente o nolente tale punto di vista disumanizza il fenomeno dell'immigrazione
naturalizzandolo come dato esogeno stabile. Si sottintende, in sostanza, che
l'immigrazione c'è, c'è sempre stata, è inevitabile e quindi ci possiamo
permettere persino di considerarla alla stregua di una variabile costante che compensa squilibri interni e internazionali.<br />
<o:p></o:p></div>
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Vi sono tre errori fondamentali nell'impostazione di coloro che vedono nell'immigrazione una risorsa e una variabile di aggiustamento:<o:p></o:p><br />
<br />
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1- L'immigrazione non è un fenomeno naturale, né stabile, né
legato a sfortune ineluttabili. Al contrario essa è figlia della disuguaglianza, della povertà, dello sfruttamento, della disperazione e della rassegnazione di chi non ha più la forza, il coraggio o la possibilità di cambiare le cose nel proprio paese. Chiunque sia mosso da una visione umanista e
universalista, indipendentemente dalla propria posizione sul grado di apertura
delle frontiere alla mobilità di persone, dovrebbe augurarsi che l'immigrazione
diminuisca drasticamente fino quasi ad annullarsi. La riduzione degli squilibri e della povertà nei paesi oggi depredati e
marginalizzati del mondo infatti significherebbe immediatamente una riduzione drastica
dell'immigrazione. Parlare quindi dell'immigrazione come di una variabile di
aggiustamento del sistema economico italiano ed europeo significa ritenere che
le sue cause non saranno mai modificate e che in fondo ciò non rappresenti poi
un così grande problema. Equivale a sostenere che la povertà e la miseria siano
variabili esogene da trattare come potenziali risorse.<o:p></o:p></div>
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2- Pensare che la crisi demografica occidentale possa essere
risolta dal travaso di milioni di persone da altri continenti è un'altra prova
di superficialità e cinismo. Se in Europa non si fanno più figli il problema
non si risolve importando poveri in paesi dove di figli se ne continuano a fare
tanti, ovvero appaltando la natalità ad africani ed asiatici. Il problema della
bassa natalità in Europa e in Italia è un problema serissimo e reale. Lo si
risolve con politiche per la natalità ad ampio raggio che passano non solo per
l'affermazione di una cultura della natalità (sicuramente importantissima), ma
ancora prima, tramite la promozione di politiche a favore della
stabilità del lavoro, a favore dei diritti di maternità e di paternità e a favore di infrastrutture diffuse per l'infanzia a costi sostenibili per le famiglie.<o:p></o:p></div>
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3- Infine affermare che la presenza di immigrati regolari
consente di mantenere in equilibrio il nostro sistema pensionistico
sottintende l'idea che se essi non vi fossero il sistema sarebbe
insostenibile. Anche qui vi è del cinismo, della superficialità e un'idea sbagliata del funzionamento del sistema pensionistico ed economico in generale.</div>
<div style="text-align: justify;">
La sostenibilità sociale ed economica di
un sistema pensionistico dipende dal rapporto tra un numeratore e un
denominatore. Il numeratore è il numero di contribuenti moltiplicato per
l'aliquota contributiva e il denominatore è il numero di pensionati
moltiplicato per la pensione media ricevuta. Dal 1992 (prima controriforma
pensionistica Amato) ad oggi ci hanno raccontato che era necessario ridurre
drasticamente il denominatore, ovvero le pensioni, per salvare un sistema
cronicamente deficitario e per non far gravare sulle generazioni future oneri
insostenibili. Sorvoliamo in questa sede sull'uso colpevolmente errato dei bilanci dell'INPS sin dagli anni '90 per dimostrarne il falso e mai esistito passivo cronico di bilancio (che appariva tale solo con il computo della componente assistenziale e della componente IRPEF). Mettendo da parte questa truffa contabile, in ogni caso, la ricetta per conseguire "l'urgente sostenibilità del sistema pensionistico" è stata quella di aumentare l'età pensionabile, transitare al sistema contributivo e poi adeguare costantemente i coefficienti di
trasformazione agli aumenti di vita media tagliando così le
prestazioni pensionistiche pubbliche. A ciò si è aggiunta l'abolizione delle pensioni di anzianità e persino il blocco dell'indicizzazione delle pensioni all'inflazione. Insomma
un'azione continua di riduzione del denominatore del rapporto citato sopra (la pensione
media) in totale assenza di politiche a favore dell'aumento del numeratore, il numero di contribuenti (l'altra alternativa per l'equilibrio finanziario). Anzi, si è fatto proprio
l'opposto: mentre si tagliava il denominatore a scapito dei pensionati si
favorivano negli stessi anni politiche di drastica riduzione del numeratore: accettazione di
alti tassi di disoccupazione, precarizzazione dei contratti che comporta vite
lavorative instabili e discontinue con riduzione dei contributi versati e
infine scarsissima lotta contro il lavoro nero. Il tutto veniva condito con la
retorica del conflitto generazionale come se la precarietà dei giovani fosse
colpa dei residui diritti degli anziani con le loro sempre più
magre prestazioni pensionistiche. Messi i giovani contro gli anziani si
spianava la strada per dare legittimità sociale ad ulteriori riforme
restrittive del sistema pensionistico, l'ultima eclatante quella
Sacconi-Monti-Fornero del 2011.<br />
Ed ora, mentre tutto è stato pianificato fin
nei dettagli per tagliare il monte pensioni da erogare e nulla si è fatto per
aumentare il monte contributivo in entrata, si declama con enfasi
l'insostituibilità della manodopera immigrata per tenere in piedi le pensioni
dei nostri anziani. Un capolavoro di incoerenza e di cinismo.<br />
Ancora una volta
si dimentica e si oscura che in Italia vi è l'11% di disoccupazione (più l'alto numero di disoccupati invisibili), che in
alcune regioni meridionali si arriva al 40% di lavoro nero (immigrato e
italiano insieme), che il tasso di occupazione è molto basso specie al
meridione, che il precariato e l'instabilità lavorativa e quindi contributiva dilagano. Ma su questo, oltre le consuete esternazioni di rito, sono in pochi ad avere davvero qualcosa da dire. Anche il funzionamento del sistema economico, evidentemente, come
l'immigrazione e la miseria, può essere fatto passare come una variabile indipendente contro i cui esiti naturali ci sarebbe ben poco da fare. <o:p></o:p></div>
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<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-33284825401265916552017-05-06T22:58:00.002-07:002017-05-07T04:52:14.742-07:00Macron-Le Pen: note sull'importanza di una linea astensionista. Il rifiuto ragionato di un menopeggismo ossessivo per l'autonomia di un'alternativa socialista al neo-liberalismo<br />
<b><i><br /></i></b>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-RLA9W9VDFfQ/WQ6tRbMXaxI/AAAAAAAABkE/94vTvcO0FesNlQ8EVcn8sEm5tZjOprDYQCLcB/s1600/Macron%2BLePen.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://3.bp.blogspot.com/-RLA9W9VDFfQ/WQ6tRbMXaxI/AAAAAAAABkE/94vTvcO0FesNlQ8EVcn8sEm5tZjOprDYQCLcB/s640/Macron%2BLePen.jpg" width="640" /></a></div>
<b><i><br /></i></b>
<b><i>Premessa: il menopeggismo non è un valore o un disvalore assoluto</i></b><br />
<b><i><br /></i></b>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Ci sono circostanze, nella vita come in politica, in cui optare per il meno peggio è non solo opportuno, ma persino imprescindibile. Il purismo di chi rifiuta sempre e comunque il "menopeggismo" come opzione si trasforma facilmente in settarismo e come tale va bandito. Sovente siamo chiamati a scegliere tra opzioni niente affatto ideali in cui è però evidente la gerarchia del meno-peggio, vuoi perché il peggio apporta pericoli di seria gravità, vuoi perché il meno-peggio può rappresentare tutto sommato un accettabile compromesso o persino un modesto passaggio migliorativo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il problema sorge però quando il menopeggismo diventa un'attitudine preconcetta o persino irrazionale, una sorta di istinto, di riflesso condizionato e compulsivo. In questo caso si finisce per dare ad ogni scelta, anche quando prudenza e riflessione suggerirebbero il contrario, il valore assoluto dell'urgenza e dell'aut-aut, perdendo la preziosissima possibilità di non schierarsi considerando i due mali non degni di essere preferiti l'uno all'altro e lavorando alacremente per rafforzare la vera alternativa ai due mali.<br />
<br />
<a name='more'></a><br /><br />
L'attitudine del menopeggismo compulsivo può sorgere per due diversi motivi: nel migliore dei casi per una pura ossessione verso "il doversi schierare ad ogni costo" anche se le differenze tra due mali sono impercettibili in termini qualitativi e il trionfo dell'uno sull'altro non modifica in modo significativo la realtà. Questo è un errore molto comune nei paesi a sistema maggioritario o con forte correzione maggioritaria (come nei sistemi a doppio turno), indotto da una struttura dei sistemi elettorali che in fin dei conti pone sempre delle alternative aut-aut.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia molto spesso il menopeggismo si nutre di vere e proprie false convinzioni necessarie del resto per dare allo scontro politico una parvenza di effettività anche quando è assente. E così alle due opzioni in ballo si attribuiscono caratteristiche deformate, spesso e volentieri grazie al lavoro instancabile della propaganda mediatica e alla manipolazione delle idee, dei simboli e dei contesti.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nelle riflessioni che seguono mi rivolgo quindi in primo luogo a chi si trova e si è trovato in passato nella frequentissima e scomodissima situazione (oggi in Francia, domani chissà nuovamente in Italia) di essere indotto quasi suo malgrado a scegliere un supposto meno peggio poiché convinto, falsamente, per un'errata lettura della realtà, che si tratti davvero di un meno peggio oppure che la situazione concreta richieda urgentemente di optare ad ogni costo per un meno peggio.</div>
<div style="text-align: justify;">
Coerente è invece la posizione di coloro che, ben informati sulle caratteristiche delle due alternative, ritengono davvero migliore o sensibilmente meno peggiore una delle due. In tal caso la discussione si sposta sul piano della schietta lotta delle idee.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i>I contenuti dello scontro politico nel secondo turno francese</i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il ballottaggio delle presidenziali francesi tra il candidato del movimento politico En Marche Emmanuel Macron e la candidata del Front National Marine Le Pen è un esempio eclatante di alto rischio di menopeggismo e chiamata a fronti uniti in chiave emergenziale. La benemerita scelta di Melenchon di non esprimere un orientamento univoco (purtroppo non seguita dal Partito comunista francese) potrebbe rappresentare un momento di svolta epocale nella capacità di assunzione di un punto di vista autonomo delle forze socialiste-comuniste, anti-capitaliste o persino semplicemente social-democratiche dopo trent'anni di subordinazione psicologica e pratica al liberalismo e al neo-liberalismo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Va premesso che, diversamente da altre circostanze di scelta binaria, il ballottaggio francese è particolarmente interessante poiché pone realmente due alternative dai contenuti moderatamente diversi (anche se molto meno diversi da ciò che appare), cosa che invece non avviene in moltissimi altri casi di elezioni in sistemi maggioritari in cui si confrontano opzioni quasi del tutto sovrapponibili e lo scontro è pressoché integralmente simulato e basato su elementi secondari o emotivi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Sia chiaro, tuttavia, che la diversità di contenuti non implica affatto la possibilità o la necessità di optare per un reale meno peggio. Due alternative possono essere infatti diverse ma giudicate entrambe cattive e pericolose allo stesso grado seppur con modalità differenti. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E' giunto quindi il momento di entrare nel merito della contesa. Premetto che le osservazioni che seguono si basano su una lunga e meditata ricerca sui programmi, i posizionamenti e la storia passata e recente dei partiti e dei personaggi implicati. Tuttavia data la delicatezza di alcune possibili derive sono prontissimo a ricredermi di fronte ad evidenze contrarie a quanto sosterrò e sarei ben felice di avviare un dibattito anche con chi conosce meglio di me e da più vicino l'attuale realtà francese. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Le considerazioni che seguono peraltro vanno ben oltre la contingenza della tornata elettorale e trascendono, se estese dal loro significato particolare, il caso francese, tenuto conto che negli anni a venire è molto probabile che lo scontro tra "populismo" di destra e <i>establishment</i> neo-liberale proseguirà molto a lungo. E' bene dunque cercare di capire qual è davvero la posta in gioco e quale può essere il posizionamento più intelligente e costruttivo di una forza sociale anticapitalista.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br class="Apple-interchange-newline" />
<span style="font-style: italic; font-weight: bold;"> Il neo-liberalismo estremistico di Macron</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-style: italic; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
Emmanuel Macron è l'emblema dell'ultra-liberalismo, un'estremista di centro, dove per centro va inteso, nella dialettica politica contemporanea europea, non certo il moderatismo politico ma quel perdurante centro gravitazionale attorno a cui si sono costruite le politiche economiche e sociali degli ultimi 30 anni: ovvero l'orientamento a favore del libero mercato, della libera concorrenza e della libera impresa in contrasto con ogni forma di protezione dell'economia nazionale, del lavoro e dello Stato sociale. Ovvero un orientamento tutt'altro che moderato.</div>
<h4 style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: normal;">Macron proviene da una folgorante carriera che da brillante studente ENA lo ha visto ascendere nei ranghi del partito socialista, di cui ha sempre costituito l'"ala destra" di orientamento liberale e liberista. Ministro dell'economia del governo Hollande dal 2014 al 2016 ha promosso riforme pro-mercato di carattere liberale, dalla liberalizzazione delle libere professioni all'estensione del lavoro domenicale ed ha difeso ad oltranza la Loi Travail (El Kohmri) che per lunghi mesi ha drammaticamente diviso il paese con scioperi strenui da parte dei lavoratori. Nel merito di quest'ultima legge, ha apertamente sostenuto un suo ulteriore approfondimento con l'estensione di ambiti più vasti alla contrattazione a livello aziendale (ovvero depotenziamento drastico degli effetti della contrattazione collettiva nazionale): "</span><i style="font-weight: normal;">Oui, il faudra élargir le champ de la négociation collective au niveau de l'entreprise à d'autres domaines... Pour les salaires, il faut privilégier des négociations salariales au plus proche de la situation de l'entreprise</i><span style="font-weight: normal;">". Un orientamento chiarissimo a favore dello smantellamento di ogni regolazione generale del lavoro in uno dei paesi europei in cui ancora la sensibilità per una qualche protezione del lavoro salariato rimane rilevante. Il candidato di En Marche, a conferma di questo orientamento, ha apertamente difeso i meccanismi di concorrenza sleale sul costo del lavoro vigenti nel mercato unico europeo, come ad esempio il clamoroso caso dei lavoratori distaccati all'estero.</span></h4>
<div>
<span style="font-weight: normal;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-iFzHrEHxXS8/WQ6tiwJe-9I/AAAAAAAABkI/hofWbX1HA98XGzo5qJBdvz_zGcB83zM0wCLcB/s1600/macron.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://4.bp.blogspot.com/-iFzHrEHxXS8/WQ6tiwJe-9I/AAAAAAAABkI/hofWbX1HA98XGzo5qJBdvz_zGcB83zM0wCLcB/s400/macron.jpeg" width="400" /></a></div>
<div>
<span style="font-weight: normal;"><br /></span></div>
<div>
<span style="font-weight: normal;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: normal;">Macron del resto è un ultra-europeista, fautore di un approfondimento dell'Unione europea con l'ulteriore devoluzione di poteri verso l'UE all'interno della cornice degli attuali trattati. Tra tutti i candidati alla presidenza è stato in assoluto il meno critico (direi il più entusiasta) nei confronti dei trattati europei che dalla metà degli anni '80 hanno imposto un ristretto e cogente paradigma di gestione della politica economica: liberista e di austerità. Nel suo programma è esplicitamente enunciata la necessità del conseguimento del pareggio di bilancio entro il 2022 (-0,5% del rapporto deficit PIL entro quella data). </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: normal;">Occorre qui precisare ciò che per molti è divenuto chiaro, ma per tanti altri ancora risulta offuscato da una fumosa cortina ideologica. Lo scontro pro-UE o anti-UE non rappresenta in alcun modo in sé per sé uno scontro tra chiusura e apertura, tra nazionalismo e internazionalismo, tra particolarismo e universalismo. L'UE non è l'Europa come entità composita di popoli, né l'Europa come entità geografica, né l'Europa come spazio culturale dotato di proprie radici e tratti in comune, né tanto meno un esempio di integrazione politica e solidale tra popoli. L'UE oggi è un insieme di trattati liberisti creati ad hoc per restringere all'estremo lo spazio di libertà della politica economica e</span> dare luogo ad un vincolo esterno di tipo tecnico cogente e indiscutibile, estraneo alla dialettica delle idee espressa dalla democrazia rappresentativa. E' un esperimento di ingegneria sociale post-democratico che ha assolto, dagli anni '80 in poi, al compito storico di far scomparire poco a poco lo spazio concreto della dialettica storica del conflitto di classe, del conflitto distributivo e del conflitto delle idee sul genere di società che si ritiene migliore. Ed è infine, nel concreto, lo spazio di esercizio dell'egemonia tedesca sul resto dei paesi, Francia inclusa (sebbene da una posizione meno subalterna degli altri). Accettare entusiasticamente la cornice dei trattati UE, per giunta senza nemmeno discuterne i dettagli quanto meno con parole di circostanza, (perché nei fatti, come noto, i trattati sono indiscutibili e immodificabili se non all'unanimità dai 27 paesi) non significa essere paladini dell'Europa e degli europei, ma di tale modello post-democratico e tecnocratico in consolidamento e delle politiche economiche che ci hanno portato al disastro sociale attuale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il fatto che Macron abbia cercato a tratti, ad esempio nel caso del trattamento della Grecia, di stemperare le pretese tedesche di applicazione dell'austerità (cavillo cui si è appellato Varoufakis per sotenere il voto utile a Macron), non rappresenta nient'altro che un timido tentativo di costruire un'Europa liberista dall'austerità meno estrema, sfumando l'impostazione allucinata e direi persino suicida promossa dai falchi tedeschi. Non si tratta in alcun modo di una rimessa in discussione dell'Europa di Maastricht e della libera circolazione dei capitali di cui Macron è entusiasta apologeta, ma solo una sua variante più realistica e sicuramente più ben voluta dagli Stati Uniti in chiave egemonica antitedesca (in questo Macron somiglia tantissimo a Renzi). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ed a proposito di Stati Uniti, ecco l'ultimo tassello del puzzle: Macron è un entusiasta filo-statunitense in pieno contrasto con la tradizione gaullista francese, del resto sepolta da anni già da Sarkozy e Hollande. Membro dell'associazione di amicizia franco-americana, non ha mai nascosto le sue decise simpatie atlantiste e la sua diffidenza nei confronti della Russia, avendo avuto in più occasioni modo di rimproverare l'eccessiva vicinanza alla Russia dei candidati Le Pen, Fillon e Melanchon. In coerenza con l'orientamento filo-statunitense, Macron si è dichiarato favorevole ad un intervento militare in Siria dopo il presunto attacco con armi chimiche di Assad della primavera 2017. Macron sembrerebbe quindi proseguire, accentuandone la forza, l'orientamento atlantista francese che si è consolidato dopo la fine della presidenza di Chirac a tutto detrimento di buone relazioni con la Russia, orientamento che, rafforzato dai regurgiti neo-coloniali francesi ha favorito negli ultimi anni sciagurate e criminali scelte come la guerra in Libia voluta da Sarkozy che, sfruttando le ataviche contraddizioni sociali ed etniche libiche, ha fatto a pezzi un florido paese riducendolo a terra di scorrerie di bande sanguinose in perpetua lotta di egemonia, favorendo il rafforzamento dell'islamismo radicale (analogamente a quanto avvenuto con la destabilizzazione della Siria di Assad promossa anch'essa da francesi britannici e statunitensi che hanno sostenuto il terrorismo dei gruppi islamisti per minare la stabilità del paese).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Insomma Macron è il candidato perfetto del presente, delle tendenze in atto che stanno conducendo la Francia, così come l'Italia e la gran parte dell'Europa alla rovina. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i>Macron come simbolo di un passaggio politico-culturale epocale</i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La figura di Macron è poi estremamente interessante da un punto di vista ideologico e sociologico. Vale la pena aprire una piccola parentesi sull'evoluzione politico-culturale che una figura come Macron rappresenta in modo perfetto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ideologicamente è il candidato del superamento della dicotomia destra-sinistra da centro, in favore di un liberalismo progressista spesso chiamato liberalismo sociale, in verità del tutto post-sociale nei termini concreti, che sacrifica alle necessità del profitto e della concorrenza ogni regolamentazione, diritto e solidarismo strutturale.</div>
<div style="text-align: justify;">
Macron, come Renzi in Italia del resto, è l'evidenza del tentativo di creazione di un blocco sociale post-ideologico, praticista, nuovista, affascinato dal "fare" come valore in sé, e dal "nuovo" come rottamazione del vecchio, quintessenza della vacuità politica. E' il risultato della rottamazione di una classe politica che anziché decadere (e decadere giustamente) per lasciare spazio al meglio, lascia spazio invece al peggio. Una classe politica neo-liberale già alacremente al lavoro per sovvertire l'ordine social-democratico novecentesco, che ad un certo punto è stata giudicata persino troppo lenta nella propria propensione riformatrice in senso liberista. E così la fine del bipolarismo simulato e truffaldino dà luogo ad un superamento in peggio verso orizzonti ancor più monolitici.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'evoluzione italiana è stata in questo senso similissima. Dapprima la chiusura a tenaglia per venti anni in un bipolarismo del tutto alieno alla cultura politica stratificata del trentennio post-bellico. Due partiti o blocchi di forze grosso modo allineati nelle scelte di politica economica fondamentali, ma in contrapposizione su temi secondari. Questo schema, che ha funzionato assai bene per una quindicina di anni per realizzare la grande riforma neo-liberista dei rapporti Stato-mercato, è apparso a tratti troppo poco oliato, non più adatto all'accelerazione improvvisa dettata dagli ultimi anni di austerità. Ed è così che i Berlusconi, Prodi, Chirac e persino Hollande o Fillon non sono più apparsi sufficientemente in linea con i nuovi diktat della globalizzazione capitalistica. Ed ecco spuntare la generazione dei rottamatori, cui chissà potrà seguire un domani una nuova generazione di rottamatori dei rottamatori se i precedenti non si rileveranno sufficiente al passo con i tempi (ricordiamoci degli attacchi subiti a più riprese dallo stesso Renzi in Italia da parte degli stessi poteri che lo hanno portato al trionfo).</div>
<div style="text-align: justify;">
Ideologicamente questa recente evoluzione ha prodotto uno straordinario avanzamento in direzione della civiltà post-ideologica incapace di pensare ad un mondo alternativo alla legge del mercato e del profitto. I residui grotteschi della destra e della sinistra politiche del ventennio 1992-2011 e la loro contrapposizione ideologica manipolata, anziché essere superati da un rilancio popolare di istanze sociali fondate su contenuti effettivi e sulla proposizione di alternative concrete all'esistente, viene sì superato, ma in nome di un centro sistemico ultra-liberale nei costumi e in economia. Un centro proclamato dal giovane Macron così come dal giovane Renzi né di destra né di sinistra, aperto così ad una vasta gamma di potenziali elettori trascinati dall'ideologia della concretezza, del "fare" e dell'"innovare" e dal mito dell'ineluttabilità della globalizzazione e del cosiddetto "progresso" (mai qualificato nei suoi contenuti). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Macron, come Renzi, come fu Blair nel Regno Unito, ma anche figure come Zapatero in Spagna sono stati e sono oggi gli epigoni e i narratori dell'emersione di nuove dicotomie definite decisive per il posizionamento delle idee e degli elettorati: da un lato il mondo dei progressisti, sostenitori di una società aperta, multiculturale, dinamica e innovatrice e dall'altro il mondo dei conservatori sostenitori di una società chiusa, ostile al multiculturalismo, statica e a tratti razzista. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il lavoro di demolizione ideologica delle vere categorie distintive del resto era stato avviato a tappe forzate in tutti i paesi europei dagli anni '90 in poi. L'adesione al liberalismo della sinistra e della destra post-fascista doveva far sparire dallo schema di orientamento ideale lo scontro più importante e fondante: quello tra solidarismo socialista e individualismo liberale e il conflitto di classe i due perni cruciali ideali e materiali del capitalismo.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il modo più efficace con cui è avvenuto questo sapiente occultamento delle contraddizioni effettive, si è quindi articolato in due fasi: dapprima lo scontro simulato tra una destra (liberale) e una sinistra (liberale) entrambe allineate sui fondamentali del neo-liberalismo politico, culturale, etico ed economico ma in scontro ideologico su temi extra-economici. Poi da alcuni anni, la battaglia definitiva per una mutazione culturale dell'Europa ha conosciuto un passo ulteriore e si sta estendendo addirittura allo schiacciamento dell'ultima protesi ideologica residua, ovvero la stessa osannata dicotomia destra-sinistra, del tutto fittizia e falsa nel suo sviluppo storico recente, ma ancora in qualche modo produttrice di identità in grado di richiamarsi tenuamente al novecento, quel secolo della politica che il neo-liberalismo sta cercando in tutti i modi di cancellare dalla memoria collettiva. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-_63k8O_nqAM/WQ6uYjJIsPI/AAAAAAAABkQ/iArYYQNchcUtvrt2zJx4Pse9wAJnh1TewCLcB/s1600/bimbi-destra-sinistra.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-_63k8O_nqAM/WQ6uYjJIsPI/AAAAAAAABkQ/iArYYQNchcUtvrt2zJx4Pse9wAJnh1TewCLcB/s400/bimbi-destra-sinistra.jpg" width="325" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ed ecco che si spiega facilmente l'attacco alla destra e alla sinistra e la pretesa trasversalità di figure come Macron che si collocano soggettivamente (e non più solo oggettivamente come prima) oltre la dicotomia. </div>
<div style="text-align: justify;">
Naturalmente volendone dare una lettura nei puri termini del conflitto di classe tra classi dominanti e classi subalterne, è evidente che tale fuoriuscita dalla dicotomia destra e sinistra di un Macron o di un Renzi è in realtà è uno schiettissimo posizionamento a destra, non nel senso lepenista-fascista-leghista, ma nel senso più generale di attacco senza quaertiere ai subalterni in favore dei dominanti. In tal senso tutti i Macron, Renzi, Blair, Sarkozy, Hollande, Merkel, Zapatero, Berlusconi, Prodi, Schroedere e Merkel sarebbero, chi più chi meno, tutti collocabili all'estrema destra delle opzioni politiche, in quanto fautori del libero sfruttamento del lavoro, dell'aumento delle disugugalianze e della dissoluzione della società.</div>
<div style="text-align: justify;">
Siccome tuttavia i termini destra e sinistra vengono spesso caricati anche di altre importanti sfumature di costume e culturali o interpretati su linee di demarcazione completamente diverse da quella del conflitto di classe e della distribuzione del reddito, una buona alternativa per non essere fraintesi è passare dall'uso di termini ad alto grado di manipolazione contenutistica a termini più immediatamente sostanziali meno manipolabili. </div>
<div style="text-align: justify;">
Sarà quindi sufficiente ricordare che Macron è un convintissimo neo-liberale e neo-liberista, favorevole all'estensione del mercato contro lo Stato, alla deregolamentazione del diritto del lavoro, alla libera circolazione di merci, capitali e mano d'opera, fautore delle politiche europee e dunque del paradigma dell'austerità più o meno estrema o sfumata, del pareggio di bilancio e del taglio della spesa pubblica. Favorevole ad un intervento armato in Siria, sostenitore del governo anti-russo ucraino infarcito di neo-nazisti, schierato al fianco di Israele in politica estera.</div>
<div style="text-align: justify;">
Una volta comprese le sue posizioni, il suo autocollocamento sogettivo a destra, a sinistra o oltre la destra e la sinistra, con la conservazione o con il progresso diventa del tutto irrilevante. Si tratta di elementi di costume che incidono sulla propaganda e non sui contenuti. Questi ultimi così come quelli dei suoi colleghi omologhi di altri paesi, sono sufficientemente chiari per tracciare delle distinzioni sostanziali oltre le autodichiarazioni propagandistiche destinate a creare un blocco sociale di consenso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i><br /></i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i>Lo sciovinismo nazionalistico a venature sociali di Marine Le Pen e del FN</i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E ora veniamo a Marine Le Pen. Leader del Front National dal 2011, dopo la lunghissima presidenza (1972-2011) del padre Jean Marie Le Pen. Il Front National nasce nel 1972 come partito di estrema destra connotato da un programma economico per lo più antistatalista, di protesta fiscale, vicino agli ambienti della piccola e media imprenditoria, europeista e insieme nazionalista e per lo più xenofobo. La sua nascita fu il risultato del raggruppamento di diversi gruppi di destra di tradizione monarchica, e petenista. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-S2DiZZDZO08/WQ6u9ik5nEI/AAAAAAAABkY/hx-6is0VU6AQNeCqHe7kOd_7RJV0cxRfwCLcB/s1600/Petain.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-S2DiZZDZO08/WQ6u9ik5nEI/AAAAAAAABkY/hx-6is0VU6AQNeCqHe7kOd_7RJV0cxRfwCLcB/s320/Petain.jpeg" width="253" /></a></div>
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Il Front National ha iniziato un percorso di cambiamento di pelle a partire dagli anni 2000 e in modo accelerato e a tratti clamoroso con il passaggio di consegne da Jean Marie a Marine. Marine sin dal 2011, in vista delle presidenziali del 2012, ha inferto una svolta programmatica statalista, antiliberale, di critica dei processi di globalizzazione e deindustrializzazione, contro lo strapotere del capitalismo finanziario e i vincoli esterni posti dall'apertura dei mercati internazionali ivi incluso il mercato unico europeo. Critica a cui si è affiancata una crescente attenzione a tematiche sociali care storicamente alla sinistra sociale, come la difesa dei livelli salariali, la lotta contro le delocalizzazioni produttive delle multinazionali, la difesa del potere d'acquisto delle pensioni e un contenimento dell'età pensionabile. Questo spostamento verso le tematiche sociali si è tradotto in proposte piuttosto dirette quali l'abolizione della Loi Travail e la fissazione dell'età pensionabile a 60 anni con 40 anni di anzianità in un momento storico in cui la gran parte di economisti e politici afferma l'urgenza di portarla da 62 a 65 per sanare gli squilibri finanziari del sistema pensionistico francese. </div>
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Si aggiungono a questi punti sociali e redistributivi in senso progressivo tratti programmatici più in linea con lo spirito liberista originario del FN, come il taglio delle tasse non solo per gli scaglioni più poveri (del 10%) ma anche per le società di medie dimensioni.</div>
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Vi è poi il decisivo tema anti-unioneuropeista, molto accentuato, ma allo stesso tempo ambiguo nella concretezza delle proposte specie a ridosso delle fasi più recenti della campagna elettorale. Dall'idea di un'uscita unilaterale dai trattati e dalla moneta unica si passa a più tiepide e non chiare forme di compromesso.</div>
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Tutto il programma economico-sociale del FN di Le Pen è comunque incentrato su una spiegazione della crisi della Francia quasi esclusivamente legata alle dinamiche della globalizzazione, subordinando il problema redistributivo (non solo in termini di giustizia sociale, ma anche di rilancio della domanda) ad una semplice conseguenza degli squilibri della globalizzazione selvaggia. E' evidente in questo un'impostazione integralmente nazionalistica non solo strumentale in senso sovranista (come può essere quella di Melanchon e di qualsiasi forza di sinistra antiglobalista) ma anche nei fini di lungo periodo: come se il semplice ritorno alla sovranità nazionale fosse di per sé il viatico per la soluzione di ogni problema sociale, dalla povertà alla disuguaglianza distributiva, come se questione nazionale e questione sociale (che pure si intrecciano strettamente) semplicemente coincidessero. </div>
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Non solo! Il lato destro sciovinistico del Front National emerge prepotentemente in altri due ambiti: l'immigrazione e la gestione degli stranieri e la politica estera (ivi incluso l'atteggiamento verso l'Islam e i paesi islamici).</div>
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Sul primo punto il programma del FN è molto pericoloso. Non tanto perché voglia porre un freno o una maggiore regolamentazione ai flussi migratori (punto da discutere con cautela nel merito, peraltro in parte condiviso dallo stesso Melanchon nelle sue ultime esternazioni), ma perché si muove verso la creazione di una società binaria tra stranieri e cittadini in cui i secondi beneficiano di più diritti fondamentali rispetto ai primi. Si tratta di un'impostazione molto pericolosa che può dar luogo ad una rottura interna del patto sociale gravida di terribili conseguenze materiali e culturali. Sono due in particolare i punti controversi: la "<i>preference nationale</i>" accordata alle imprese tramite trattamenti fiscali differenziati per l'assunzione di lavoratori autoctoni o stranieri, con la creazione di fatto di un duplice mercato del lavoro; la soppressione de l'<i>Aide médicale d'Etat </i>a favore degli stranieri in posizione irregolare. Queste due misure, insieme a molti altri pronunciamenti minori sparsi qua e là nel programma del FN mirano alla creazione di una società sempre più spaccata e binaria dove si sviluppa la contraddizione tra nazionale e straniero dando luogo ad un'inevitabile guerra tra poveri a tutto vantaggio della classe dominante. Contraddizione aggravata da pronunciamenti xenofobi, islamofobi ossessivi.</div>
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In politica estera il Front National è sciovinista e nazionalista. Se da un lato mette in discussione alcuni aspetti dell'interventismo permanente dell'occidente nei teatri di guerra, denunciando il ruolo egemonico degli Stati Uniti e persino propendo un'uscita della Francia dal comando integrato NATO in cui l'aveva trascinata Sarkozy violando la lunga tradizione gaullista della politica estera francese; dall'altro riproduce uno schema imperialista di tipo nazionalistico di rinnovata <i>grandeur</i>, un sogno malcelato di Francia neo-coloniale capace di trainare i destini del terzo mondo francofono ritagliandosi un posto al sole nella contesa internazionale imperialistica. Senza dimenticare peraltro le posizioni filo-israliane del front national che dimostrano ancora una volta la facilità dei vecchi anti-semiti fascisti di riciclarsi in aperti sostenitori del sionismo di Israele (cosa peraltro già ampiamente nota in epoca fascista e nazista): naturale conciliazione tra suprematismi.</div>
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Insomma nulla di buono per chi auspica pace, rispetto della sovranità nazionale di tutti i paesi e la fine di ogni politica di ingerenza e di condizionamento dei paesi più deboli. </div>
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Qual è quindi in definitiva la natura del Front National di Marine Le Pen? Quella di una destra nazionalista per lo più xenofoba, ad accentuate venature sociali e dirigiste facenti perno per lo più su una critica della globalizzazione capitalistica che sfocia nella rivendicazione di uno spazio nazionale, garanzia, <i>sic et simpliciter,</i> e fuori dalla dinamica permanente del conflitto di classe, di armonia sociale, crescita e benessere. </div>
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Questa sintesi rappresenta naturalmente la faccia evidente e direi meno oscura del Front National, quella della svolta statalista anti-liberale, post-fascista e a xenofobia "controllata", portata avanti alacremente in pochi anni da Marine che ha voltato apparentemente le spalle al ben più impresentabile padre e alla vecchia guardia fascistoide, anti-comunista e liberista dei frontisti anni '70 '80 e '90.</div>
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Ma il Front National non è solo Marine Le Pen e la sua destra sociale anti-europeista venata di istanze economiche "gauchistes". E' anche il suo passato, i suoi membri manifestamente razzisti, i deliri islamofobi, la sua cultura di fondo senza dubbio fascistoide e il suo securitarismo aggressivo. </div>
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<b><i><br /></i></b></div>
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<b><i>La necessità di una linea autonoma dai due blocchi</i></b></div>
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Ecco qui presentate le due edificanti alternative del voto di domani: </div>
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da un lato il sovranismo sciovinistico, pseudo-sociale di Marine LePen, appena sintetizzato nei suoi tratti salienti e nelle sue diverse facce visibili e meno visibili, fino ai suoi lati più oscuri; </div>
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dall'altro lato il delfino eletto dai media e dal blocco di potere dominante, rappresentante di una destra liberista, drasticamente anti-lavorista, pro-mercato e pro-impresa, ultra-europeista, ideologa del superamento delle pastoie ideologiche novecentesche per un liberalismo integrato e "progressista", filo-americano e anti-gaullista, post-moderno e post-ideologico nei tratti culturali. L'uomo che incarna due storiche funzioni: quella di portare la Francia in via definitiva fuori dalla tradizione gaullista e post-gaullista riallineandola all'europeismo filo-tedesco e insieme filo-americano; e quella di completare il lavoro di smantellamento del diritto del lavoro francese, ultimo baluardo europeo probabilmente dei residui social-democratici e sindacali del '900. </div>
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Di fronte a questo scenario una forza autenticamente sociale e popolare che fa della difesa del lavoro e della costruzione di una società solidaristica alternativa a quella capitalistica la sua bussola di orientamento, dovrebbe rifiutare di prendere parte e schierarsi ad ogni costo.</div>
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Cercherò di argomentare che, comunque applicato, il criterio del meno-peggio in questo caso specifico (ma probabilmente ciò varrà anche per la false alternative che si andranno a delineare negli anni a venire in molti paesi europei) porterebbe a strade del tutto errate, pericolose e che soprattutto condurrebbero al suicidio politico le forze anti-capitaliste, socialiste, comuniste o social-democratiche che siano, risucchiate alternativamente in un vuoto sovranismo privo di contenuti sociali forti o semplicemente dileguate e autodissolte nell'accettazione del paradigma neo-liberale. Proprio questa seconda tendenza è quella che ha portato ad oggi alla scomparsa di fatto di socialisti e comunisti dal panorama politico europeo negli ultimi 20 anni. Ripercorrerla proprio nel momento in cui si stanno aprendo preziosi spazi di agibilità e consenso sarebbe una mossa autodistruttiva e subalterna.</div>
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<b><i><br /></i></b></div>
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<b><i>No alla scelta di Macron contro Le Pen</i></b></div>
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Procediamo per passi. </div>
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Molti a sinistra (e mi riferisco alla sinistra almeno a parole anti-liberale, di quella liberale naturalmente è ovvia la scelta di campo per Macron) in Francia direttamente così come in altri paesi europei in termini di analisi politica, ritengono che, per quanto tale scelta sia sofferta, sia necessario appoggiare Macron contro il pericolo fascista di Marine Le Pen. </div>
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Questa scelta che riedita in modo pedissequo l'orientamento meno-peggista contro le varie destre e a favore dei vari centro-sinistra neo-liberali, avuto in tantissime occasioni dagli anni '90 in poi in molti paesi, è ispirata alternativamente ad un errore di valutazione (nel migliore dei casi) oppure ad una reale percezione culturale di maggior desiderabilità dell'ordine neo-liberale canonico rispetto alle alternative populiste destrorse, sempre entro la cornice dello Stato di diritto formale, (nel peggiore dei casi). </div>
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<i>I pericoli del neo-liberalismo e del suo volto repressivo e totalitario</i></div>
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Analizziamo il caso dell'errore di valutazione. Tale errore a sua volta deriva da due letture alterate. La prima, la più grave e lampante, è la sottovalutazione dei pericoli insiti nella gestione ordinaria neo-liberale delle contraddizioni sociali e delle politiche economiche di cui un Macron è un esempio perfetto e lampante. Sebbene avversato radicalmente nei contenuti politici il neo-liberalismo democratico viene visto in quest'ottica, come un contesto entro cui esercitare almeno una libera dialettica politica e rilanciare in chiave futura un'alternativa di società a quella del mercato e del profitto. Insomma una sorta di regno negativo dove vi sarebbe però pur sempre libertà di azione garantita, minacciata invece dai populismi di destra. Si dimenticano però almeno cinque semplici circostanze: in primo luogo le politiche neo-liberali basate sul vincolo esterno cogente dei trattati europei sono state fino ad oggi il più potente strumento di neutralizzazione della libertà sostanziale di avanzare opzioni alternative di politica economica e di redistribuzione del reddito e delle risorse. La creazione e il rafforzamento dello spazio dei trattati europei basati sui vincoli ristrettivi di finanza pubblica, l'annullamento della sovranità pubblica industriale sulla produzione, la distribuzione dei redditi e la proprietà delle imprese e la concorrenza al ribasso sui salari e i costi di produzione imposta dall'apertura delle economie verso l'estero sono straordinari dispositivi che hanno ridotto ai minimi termini la capacità di resistenza della classe subalterna ai ripetuti attacchi padronali e alla forza soverchiante del mercato globale, provocando il depauperamento continuo e inesorabile dei salariati dequalificati e di media qualifica e del piccolo lavoro autonomo.<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-NeH0AWYQlGM/WQ67nKGxyTI/AAAAAAAABlE/VXuH4S8M7fcb5q25f-wr2si4IEBhYFgNgCLcB/s1600/Proteste%2BLoi%2BTravail.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="198" src="https://4.bp.blogspot.com/-NeH0AWYQlGM/WQ67nKGxyTI/AAAAAAAABlE/VXuH4S8M7fcb5q25f-wr2si4IEBhYFgNgCLcB/s400/Proteste%2BLoi%2BTravail.jpg" width="400" /></a></div>
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Non sarà fascismo politico esplicito, ma è pur sempre un vincolo oggettivo di spaventosa forza disciplinante che ha dato luogo alla più grande redistribuzione regressiva del reddito dell'ultimo secolo. Se fascismo non è, di certo ha però funzionato in maniera straordinariamente più efficace e duratura dei fascismi politici nel determinare il contenimento del conflitto di classe a vantaggio della classe sociale dominante sempre più aggressiva e più ristretta ad un'<i>elite</i> di potenza soverchiante. In secondo luogo i partiti neo-liberali al potere hanno dimostrato di avere scarsa cura delle Costituzioni nazionali dal momento che ne hanno sistematicamente violato la sostanza in molteplici casi stravolgendo l'assetto socio-economico dei paesi europei spesso travalicando le stesse garanzie costituzionali sociali oppure imponendo guerre costituzionalmente bandite. In terzo luogo è sempre più assimilabile ad una pratica repressiva anche la gestione dell'ordine pubblico e degli apparati di sicurezza pubblica dei paesi occidentali.</div>
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In quarto luogo i paesi occidentali guidati da governi neo-liberali hanno ampiamente dimostrato di non avere alcuno scrupolo nell'appoggiare i peggiori regimi dittatoriali e gruppi paramilitari di vario stampo, dagli islamisti radicali in medio-oriente ai nazisti ucraini. Non proprio un nitido esempio di amore per lo Stato di diritto liberale, quanto meno non per altri popoli.</div>
<div style="text-align: justify;">
Infine, come è stato ribadito da molti commentatori sostenitori da sinistra della bontà di una linea astensionista nel confronto Macron-Le Pen (Emiliano Brancaccio, comitato Eurostop in Italia), il neo-liberalismo è la fonte primaria che crea il necessario retroterra socio-economico per la creazione di sacche di consenso alla destra populista e ai neo-fascismi. Optare dunque per un male (il neo-liberalismo) per battere un altro male di cui il primo è la causa essenziale appare quanto meno contraddittorio.</div>
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<i>L'effettiva natura delle destre populiste di alcuni paesi europei</i><br />
<i><br /></i></div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-3X8D3dWHWgI/WQ61PYYm9QI/AAAAAAAABko/Q_1BRRHQ4XA76M2fhSspgcVNdaPn7gjBACLcB/s1600/il-summit-della-destra-populista-per-il-contro-vertice-europeo-orig_main.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://4.bp.blogspot.com/-3X8D3dWHWgI/WQ61PYYm9QI/AAAAAAAABko/Q_1BRRHQ4XA76M2fhSspgcVNdaPn7gjBACLcB/s400/il-summit-della-destra-populista-per-il-contro-vertice-europeo-orig_main.jpg" width="400" /></a></div>
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Più difficile, delicato e forse più interessante è l'errore speculare a quello della sottovalutazione del pericolo neo-liberale, ovvero il rischio di sopravvalutazione parossistica del pericolo rappresentato da alcune delle cosiddette destre populiste, non certo perché vada escluso in Europa a priori il rischio di involuzioni autoritarie di carattere fascista che reputo invece reale ed estremamente preoccupante (e che sarebbe irresponsabile e gravissimo sottovalutare), ma perché non è affatto detto che alcune delle attuali destre populiste dell'Europa occidentale siano immediatamente associabili a tali rischi estremi contro i quali senza ombra di dubbio anche il più strenuo degli anticapitalisti non dovrebbe avere ombra di dubbio nello scegliere il male minore di un qualsiasi Macron, Renzi, Monti, Sarkozy, Rajoy o Blair. Su questo occorre essere molto chiari. Di fronte ad un reale rischio di involuzione autoritaria di stampo fascista, neo-nazista o più in generale di soppressione delle minime garanzie costituzionali dell'ordine liberale non dovrebbe esserci alcuna esitazione sul male minore da appoggiare. Nessun richiamo al purismo, all'autonomia dei comunisti e dei socialisti e ai progetti di fondo di società, sarebbero legittimi a fronte di siffatte drammatiche circostanze storiche. </div>
<div style="text-align: justify;">
A titolo di esempio: se vi fosse un ballottaggio tra Macron e i neo-nazisti ucraini che si sono impadroniti del potere grazie all'appoggio euro-americano (ovvero all'appoggio dei governi neo-liberali di cui Macron è punta di diamante), non avrei dubbi ad appoggiare tatticamente Macron. Nessun equivoco su questo! </div>
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Posto questo, una posizione astensionista, di fronte al ballottaggio Macron-Le Pen deve allora sopportare l'onere di dimostrare che il Front National di Marine Le Pen non rappresenta un pericolo di involuzione fascista autoritaria e di sospensione delle garanzie democratiche liberali. Si tratta di un argomento complesso che merita la massima attenzione. Alcuni coraggiosi sostenitori di una linea astensionista che hanno portato ottimi argomenti del tutto condivisibili e sovrapponibili a quelli qui enunciati come Emiliano Brancaccio (<a href="http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/04/25/news/perche-io-di-sinistra-non-voterei-macron-per-fermare-la-le-pen-1.300265">http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/04/25/news/perche-io-di-sinistra-non-voterei-macron-per-fermare-la-le-pen-1.300265</a>) mi sembra che abbiano però eluso questo punto delicato che, a ben vedere è l'unico davvero in grado di poter convincere sinceri antifascisti socialisti e comunisti a ritenere l'astensione la scelta più saggia nel caso del ballottaggio francese e un domani chissà in Italia e altri luoghi dove simili scenari purtroppo potrebbero ripetersi. Le possibilità sono due: o Marine Le Pen cova un progetto di involuzione apertamente autoritaria e fascista e allora occorre senza se e senza ma votare Macron anche se Macron è un fanatico neo-liberale e anche se il neo-liberalismo è la causa prima del fascismo del 21secolo; oppure Marine Le Pen è uno dei numerosi esempi di destra populista senza dubbio portatrice di una mentalità xenofoba e securitaria e provvedimenti odiosi su alcune specifiche materie, nonché fascistoide nella cultura, ma non è assolutamente inquadrabile come fascista nel senso tradizionale del termine pronta cioé a sovvertire in modo diretto e indiretto l'ordine democratico, a sopprimere le libertà sindacali e ad avviare una campagna violenta contro i lavoratori, la sinistra, i socialisti e i comunisti ovvero quanto i fascismi storici hanno compiuto in Italia, Germania, Spagna, Portogallo paesi dell'est Europa, Grecia e infine di recente in Ucraina.<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-SJLktUHavG4/WQ68dt_Q5oI/AAAAAAAABlQ/aKNBwZHmWKABKiMKCUiCcNxtAodObAuhQCLcB/s1600/neo-nazisti%2Bucraini.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="260" src="https://3.bp.blogspot.com/-SJLktUHavG4/WQ68dt_Q5oI/AAAAAAAABlQ/aKNBwZHmWKABKiMKCUiCcNxtAodObAuhQCLcB/s400/neo-nazisti%2Bucraini.jpg" width="400" /></a></div>
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In questi giorni alcuni media francesi sono scatenati nel dipingere il Front National come forza paranazista disponibile a sovvertire l'ordine costituito nel caso di vittoria di Marine LePen. Insomma si agita lo spettro di un rischio elevato di reale involuzione in senso autoritario di stampo fascista. L'appoggio del PCF (partito comunista francese) a Macron si muove credo da questo tipo di immagine. Diverso l'orientamento di Melanchon che pur escludendo il voto alla Le Pen non ha però (a mio avviso saggiamente) dato indicazioni di voto per Macron.</div>
<div style="text-align: justify;">
Non mi è del tutto chiaro se i motivi della scelta del PCF e di altre componenti della sinistra francese siano derivati da una sopravvalutazione del pericolo Le Pen, da una sottovalutazione del pericolo Macron o più semplicemente da una coerente, cosciente considerazione non condivisibile del mondo neo-liberale come meno peggiore del mondo destrorso-populista ma non sovversivo e fascista e quindi come una chiara scelta di campo tra le opzioni capitalistiche interne al contesto istituzionale attuale, ovvero ancora una volta una scelta di subordinazione alle elites capitalistiche.</div>
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Dando per buona l'ipotesi di prevalenza della paura di un'involuzione autoritaria del Front National, azzardo una mia prudente ipotesi (del tutto aperto alla smentita). La mia netta impressione è che il Front National targato Marine Le Pen rappresenti oggi né più né meno che una variante di destra populista del capitalismo liberal-democratico, del tutto interno al paradigma neo-liberale di cui rappresenterebbe una variazione sul tema verso un maggior appoggio al capitalismo industriale delle medie e grandi imprese nazionali con il tentativo di superare il paradigma dell'austerità con politiche di moderato (molto moderato) sganciamento da alcune dinamiche del mercato globale e di rilancio keynesiano della domanda aggregata; con il chiaro intento di gestione maggiormente "nazionale" del conflitto di classe attraverso una mediazione tra contenimento salariale e aumento dell'occupazione, a tutela degli interessi capitalistici. Schema che darebbe luogo a qualche lieve e superabile increspatura non troppo rilevante al cospetto del capitalismo delle multinazionali e a politiche di allargamento del consenso alla classe salariata in ottica consociativistica e di irregimentazione "più politica" delle rivendicazioni sindacali. A ciò si aggiunge in politica estera la proposizione chiara di regurgiti neo-coloniali per restituire maggior centralità alla Francia al cospetto dell'imperialismo americano, possibilmente con una maggior vicinanza alla Russia. </div>
<div style="text-align: justify;">
Più che fascista sovversiva Marine Le Pen e il FN di oggi appaiono quindi come neo-gaullisti di destra con pallide venature sociali.</div>
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Questo mi sembra il tratto saliente del FN national oggi, non poi troppo diverso, anche se meno liberale, da quello che poteva essere il classico governo di destra italiana che univa Lega, Forza Italia e post-fascisti convertiti al neo-liberismo sotto l'egida di Berlusconi. Forse che il centro-destra italiano non ammiccava esplicitamente o implicitamente a gruppuscoli fascisti di scarso rilievo effettivo? Forse che Alleanza Nazionale non preveniva direttamente dal MSI a sua volta ascendenza dei post-fascisti riciclati dopo il 1945? Non è quindi la radice post-fascista di un movimento a darne automaticamente la rappresentazione dei suoi fini, obiettivi e senso ultimo nel presente.</div>
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L'unica differenza rilevante è che il Front National ha evoluto il proprio discorso politico anziché verso una sponda neo-liberale pura (come Alleanza nazionale in Italia dopo il 1992) verso contenuti gollisti sovranisti di destra. Qualcosa di simile a quello che vorrebbe fare in versione nostrana casareccia un partito come Fratelli d'Italia della post-fascista Giorgia Meloni, o la Lega nord, anche se la Lega ha su molti temi posizioni più liberiste).</div>
<div style="text-align: justify;">
Se così stessero le cose (ed ho l'impressione che stiano così) lo scontro tra Macron e Le Pen non andrebbe più letto, neanche da sinistra, come scontro tra neo-liberalismo entro una cornice legale e di diritto e involuzione autoritaria fascista con rischio di soppressione delle garanzie costituzionali, bensì come uno scontro interno alla gestione del capitalismo neo-liberale, in cui il Front National rappresenta una variante di destra vagamente sovranista, schiettamente nazionalista che rivendica spazi internazionali per la Francia e che pretende di uscire dalla crisi economica tramite una gestione interna e nazionale del conflitto di classe sfruttando esplicitamente (e non più solo implicitamente) lo scontro tra autoctoni e immigrati. Una versione, quella del capitalismo lepenista che ad oggi è infinitamente meno forte e molto meno ben voluta dalle alte sfere del potere economico, ragion per cui tutta la stampa dei grandi possidenti e i mercati finanziari appoggiano incondizionatamente Macron.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ad oggi il blocco di potere che ruota attorno a Macron, a livello nazionale e internazionale è quindi la carta vincente del capitalismo più aggressivo intenzionato ad azzerare i diritti del lavoro entro la logica spietata della competizione internazionale tra capitali oligopolistici.</div>
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Il carattere prevalentemente neo-gaullista sovranista di destra che caratterizza il FN del 2017 (confermato dai recenti acccordi con il candidato gaullista Dupont-Aignan) non impedisce assolutamente a tale partito di essere impregnato nella sua struttura di cultura fascistoide più o meno esplicita, particolarmente forte in alcuni quadri del vecchio fronte in buona parte liquidati da Marine Le Pen dopo il 2012 ma ancora rilevanti entro il partito. Una cultura che pesca nei sentimenti più retrivi diffusi in alcuni strati popolari e della classe media, che alterna xenofobia e securitarismo. Va però anche detto che questa cultura non è certo esclusiva del Front National ma si diffonde, come tragico risultato della crisi economica e valoriale indotta dalla società capitalistica, in tutti i paesi prendendo forme variegate, talvolta più esplicite talvolta implicite e nascoste e spessissimo fatte proprie dagli stessi membri dell'<i>establishment</i> rispettato.</div>
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Non era forse fascistoide nel metodo e nel linguaggio, solo per restare in area francese, il disprezzo di un Sarkozy per la "racaille" delle banlieu, per citare l'esempio di un politico integrato nell'arco del politicamente presentabile? E la stessa arroganza di Macron non fa parte della stessa deriva culturale? E di simili esempi di deriva culturale potrebbero esserne fatti a decine per l'Europa di oggi.</div>
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<br /></div>
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Orbene, se il FN rappresenta una destra populista e xenofoba, variante interna al neo-liberalismo capitalistico ed al blocco imperialista occidentale, e non un partito fascista sovversivo incline a derive schiettamente autoritarie, esso si qualifica allora come un radicale avversario politico di lunga durata più che come un'emergenza istantanea che richieda la formazione di improbabili fronti comuni di contenimento che vadano dai comunisti alla destra ultra-liberista. Un avversario da combattere politicamente in modo duro, netto, senza compromessi, senza ambiguità, al pari dell'avversario politico incarnato dai partiti del neo-liberalismo di gestione ordinaria. </div>
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<i>Il terreno su cui combattere le destre populiste</i></div>
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Ma vi è un altro elemento di grande importanza. Il Front National ha esteso il proprio successo elettorale verso le classi subalterne, spostando dal 2012 in modo netto il proprio discorso politico sui temi sociali più rilevanti e più sensibili per i lavoratori più colpiti dai danni della globalizzazione (ovvero i lavoratori salariati dell'industria e dei servizi a basso grado di qualificazione ed il piccolo lavoro autonomo). Lo ha fatto in modo ben più clamoroso e dettagliato di quanto non lo abbia fatto ad esempio il liberista-protezionista Trump negli Stati Uniti, scendendo nel dettaglio di proposte che ricalcano da vicino cavalli di battagli tipici della sinistra socialista. </div>
<div style="text-align: justify;">
E' quindi ancora più evidente la necessità da parte di socialisti e comunisti di affrontare il Front National sul terreno di una proposta sociale radicale e coerente e non sul terreno dell'antifascismo istituzionale dei larghi fronti liberali di emergenza.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-EuBw3q66YsY/WQ683tcrtqI/AAAAAAAABlU/kWePcRhpqsIzL0A6UHoufR-fqyY4YwQrQCLcB/s1600/capitalismo-socialismo-honneth-499.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="196" src="https://3.bp.blogspot.com/-EuBw3q66YsY/WQ683tcrtqI/AAAAAAAABlU/kWePcRhpqsIzL0A6UHoufR-fqyY4YwQrQCLcB/s400/capitalismo-socialismo-honneth-499.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
Il Front national lo si affronta rimarcando le differenze qualificanti di programma sulle questioni nodali del conflitto redistributivo e dei diritti del lavoro, rimarcando le contraddizioni insite nella sua proposizione di una soluzione nazionale e corporativa al conflitto di classe nonché la pericolosa strumentalità dello scontro tra lavoratori stranieri e autoctoni. Il Front National, così come in Italia e altrove ogni destra populista, specie se connotata da discorsi pseudo-sociali, la si affronta riacquisendo quella capacità di essere nazionalpopolari in senso gramsciano esercitando egemonia sulle classi popolari non solo in termini di rappresentanza degli interessi di classe, ma anche in termini di coltivazione di un immaginario di società diversa, liberando la narrazione dall'impostazione individualista e libertaria che ha devastato la sinistra contemporanea rendondola ancella protestataria per lo più innocua dell'ordine liberale. E infine, lo si affronta impostando in modo corretto, democratico e non demagogico temi delicatissimi come quelli dei flussi migratori e dell'identità e della sovranità politica nazionale al cospetto dei processi di globalizzazione dei mercati.<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ogni altra strada che privilegi il punto di vista dell'impresentabilità e rozzezza dei populismi destrorsi alla schietta competizione sulla coerenza dei programmi sociali ed economici, è destinata di fatto a rafforzare le destre che trovano terreno fertile proprio nel loro ergersi ipocritamente a uniche paladine della protesta contro i salotti buoni della finanza.<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questo senso Melenchon ha saputo abilmente costruire un programma d'opposizione da sinistra alla globalizzazione capitalistica, corredato da una critica relativamente radicale dell'Unione europea e alla rivendicazione di spazi di sovranità nazionale e popolare, <i>condicio sine qua non</i> per avviare una critica del capitalismo e la proposizione di un diverso modo di produzione. Su molti aspetti il suo programma è stato ambiguo, ma nel complesso va registrata una capacità di entrare nel terreno populista inteso nel senso migliore del termine come "politica per il popolo, per la vasta maggioranza, semplice, diretta e corredata da una capacità di conquista dell'immaginario e di canalizzazione virtuosa della protesta e del disagio".<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-76f8yJXv7jY/WQ674-5_28I/AAAAAAAABlI/bQllIyhca44fwh9O_5X1uVzvhXMhJAvuwCLcB/s1600/Melanchon.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="226" src="https://4.bp.blogspot.com/-76f8yJXv7jY/WQ674-5_28I/AAAAAAAABlI/bQllIyhca44fwh9O_5X1uVzvhXMhJAvuwCLcB/s400/Melanchon.jpg" width="400" /></a></div>
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Va a suo onore e merito la capacità di aver resistito alle sirene del fronte unito anti-Le Pen alla vigilia del secondo turno. Certo, anche qui l'orientamento ha riservato qualche ambiguità, dal momento che non si è espresso pubblicamente per l'astensione, dando un'indicazione di massima in tal senso, ma si è limitato ad una dichiarazione di libertà di voto, ferma restando l'esclusione dell'opzione Front National. In qualche modo è così ricaduto sebbene in modo indiretto e parziale nel ricatto del meno peggio, ma lo ha fatto quanto meno in modo intelligente smarcandosi in parte dall'armata variopinta dei sostenitori espliciti di Macron. </div>
<div style="text-align: justify;">
Una parte rilevante della sua impostazione programmatica, e l'essersi tenuto parzialmente fuori dal menopeggismo compulsivo alla vigilia del secondo turno, sono due primi passi importanti che marcano una strada nuova per le forze socialiste, comuniste e anticapitaliste europee. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i>No a Le Pen contro Macron </i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Un'ultima nota speculare non marginale. Se, come ho tentato di dimostrare è sbagliato e fuorviante il sostegno a Macron contro Le Pen, è parimenti errato pensare di sostenere in chiave menopeggista Le Pen ritenendo Macron il male maggiore da battere.</div>
<div style="text-align: justify;">
Mi rivolgo ora non certo ai sostenitori di Le Pen che ne apprezzano compiutamente i contenuti (come non mi sono rivolto precedentemente ai sostenitori aperti di Macron), ma a tutti coloro (infinitamente meno numerosi a sinistra rispetto alla platea dei "votiamo Macron turandoci il naso", ma forse meno esigui di quanto si possa ritenere) che dopo aver ben compreso il carattere pericolossisimo dell'estremismo neo-liberale sono giunti alla conclusione che persino una destra populista (come quella lepenista) possa rappresentare in qualche misura un meno peggio. </div>
<div style="text-align: justify;">
Anche questa posizione è pericolosa e subalterna. Se è vero che il programma economico-sociale del Front National è globalmente meno a destra di quello di Macron, è altrettanto vero che nessun tipo di connivenza o appoggio tattico può essere dato ad una forza politica non soltanto in ultima istanza del tutto interna al paradigma dominante in merito alla gestione dei rapporti di classe, ma colma nei suoi gangli, strutture, circoli culturali e base sociale di cultura fascistoide e xenofoba. Da aggiungere, infine, che è altamente probabile che gli elementi più sociali del programma frontista sarebbero quasi certamente messi in soffitta per due semplici motivi: in primo luogo per la fortissima ambiguità di alcune proposte che si prestano a facili passi indietro; in secondo luogo per la base sociale composita e per l'intrinseco interclassismo nazionalistico che porta inevitabilmente alla lunga alla subordinazione di qualsiasi velleità solidaristico-redistributiva a favore dello sviluppo capitalistico nazionale. Da rimarcare infine ancora una volta il ruolo neo-coloniale che il Front National apertamente rivendica niente affatto in discontinuità con l'imperialismo delle classi dominanti dell'ordine neo-liberale a guida americana. </div>
<div style="text-align: justify;">
Infine quello che è oggi un blocco di potere chiaramente secondario, la destra populista, potrebbe diventare un domani la scelta principale delle classi dominanti (o meglio di una parte di esse) strette da una crisi economica che potrebbe accentuare pericolosamente la subordinazione e la messa all'angolo di alcuni interessi contro altri nella competizione internazionale. Ecco che allora quelle destre populiste che oggi giocano da attori anti-sistema potrebbero divenire le pedine preferenziali di gestione delle contraddizioni e del conflitto di classe. Non significa necessariamente fascismo nel senso tradizionale del termine, ma sicuramente una diversa modalità più politico-autoritaria e meno legata al vincolo estero della globalizzazione di contenimento del conflitto distributivo e del controllo sociale. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nessun sostegno neanche tattico è quindi ammissibile, in ottica socialista, a forze che in nessun modo possono rappresentare un miglioramento sociale o un'alternativa di sistema auspicabile né nel breve, né nel lungo periodo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><i>Astensione unica strada per una piena autonomia nella costruzione di un'opposizione sociale, in Francia e ovunque</i></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L'unica scelta coraggiosa e coerente è quindi l'astensione. Astensione non significa incapacità di cogliere i diversi rischi in entrambe le opzioni in campo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Che Macron rappresenti oggi il blocco di potere più forte e più ostile a qualsivoglia mediazione sociale tra lavoro e capitale è indubitabile. Che il suo programma politico-economico sia assai più a destra di quello frontista è altrettanto chiaro. Allo stesso tempo è però chiarissima, sebbene in parte camuffata, la natura reazionaria del Front National, la sua lettura in chiave nazionalistica delle contraddizioni capitalistiche, la subordinazione della questione sociale al problema del sovranismo letto non dall'angolatura popolare degli interessi della maggioranza, ma dal punto di vista degli interessi imprenditoriali delle medie e persino grandi imprese francesi che subiscono gli effetti negativi dell'apertura dei mercati in tempo di crisi. Così come è evidente l'uso strumentale del problema migratorio per il quale si avanzano pericolose soluzioni di spaccatura binaria del corpo sociale senza individuare minimamente le cause prime di questo dramma globale di sradicamento abnorme di masse di esseri umani. E così come è evidente la becera islamofobia irresponsabile che rinfocola le teorie dello scontro di civiltà.</div>
<div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Lo scontro tra destre populiste più o meno reazionarie e più o meno velate di programmi sociali e blocco "centrista" neo-liberale nelle sue numerose varianti di costume di destra e di "sinistra" sarà destinato a prolungarsi a lungo, almeno fintanto che la crisi economica e il capitalismo neo-liberale continueranno a produrre miseria, crescita delle disuguaglianze interne e internazionali e fintanto che non sorgerà un blocco credibile e culturalmente egemone di opposizione sociale solidaristica socialista propulsore di un'alternativa radicale anche se graduale al modo di produzione capitalistico nel suo complesso, a partire dalla sua strutturazione neo-liberale.</div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E' il capitalismo, nella sua versione distruttiva, post-politica, tecnocratica e intollerante verso qualsivoglia mediazione, ancorato al ricatto permanente e devastante del vincolo esterno, il nemico principale dell'umanità e dei popoli. I partiti politici che dagli anni '90 ad oggi hanno governato i paesi europei sono i responsabili politici di questo scempio, proni alla piena realizzazione del disegno di dominio messo a punto dai grandi blocchi di interessi economici. La destra populista è un effetto e un sintomo di una malattia che si chiama neo-liberalismo che ha portato in pochi anni alla distruzione di ciò che era stato costruito in termini di solidarismo sociale, alla distruzione dei vincoli comunitari, dei legami umani, al dominio dei flussi impersonali di denaro sulla persona, sui luoghi e sulla vita. In una parola alla creazione di una società atomizzata, sperequata e sofferente, dominata dal denaro, dal mercato, dalla competizione e dalla guerra. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-nkrDPmI6Yu8/WQ62PSkj2HI/AAAAAAAABk0/QQc_dquOS3EUQbIwB5fgLfKyxxPPGKn-QCLcB/s1600/socialismo-capitalismo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="290" src="https://2.bp.blogspot.com/-nkrDPmI6Yu8/WQ62PSkj2HI/AAAAAAAABk0/QQc_dquOS3EUQbIwB5fgLfKyxxPPGKn-QCLcB/s400/socialismo-capitalismo.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La lotta di campo tra centro neo-liberale e destra populista continuerà. Nuove destre populiste sorgeranno fintanto che queste contraddizioni e spoliazioni continueranno ad avere luogo. Nuove destre trarranno linfa dalle rovine della società individualistica e dalla dissoluzione dei legami umani. Nuovi e più foschi pericoli di stampo reazionario si profilano all'orizzonte, forse sì, un domani, davvero sovversivi dell'ordine e delle garanzie democratiche e di diritto, al cospetto dei quali una Marine Le Pen o un Matteo Salvini potranno appariranno come simpatici piazzisti chiaccheroni. Per prevenire ed evitare il peggio la soluzione è soltanto quella di arginare, limitare e infine arrestare e annullare la barbarie del capitalismo assoluto. E per farlo occorre costruire un'opposizione sociale credibile. E per essere credibile questa opposizione sociale deve porsi schiettamente al di là dello scontro tra correnti e varianti dell'ordine capitalistico. Pena, la sua sparizione e il suo risucchiamento inevitabile. </div>
<div style="text-align: justify;">
La storia di molte sinistre europee degli ultimi trent'anni lo dimostra in modo drammatico ed inequivocabile. Le sinistre sociali, socialiste e comuniste che hanno inseguito il neo-liberalismo di centro-sinistra e che si coprono sotto al suo cappello protettore contro presunti o veri populismi reazionari, destre impresentabili e fascistoidi e chi più ne ha più ne metta, si sono consegnate ad un destino di autodistruzione, scomparsa o assorbimento in forze sistemiche al servizio dell'ordine vigente. In Italia venti anni di antiberlusconismo hanno devastato una sinistra comunista che sebbene già in stato malandato e piena di equivoci e traballamenti ancora fino agli anni '90 aveva il semplice pregio di esistere (che non è poco). Governi di sedicenti centri-sinistra (in verità destre liberali in salsa progressista) costruiti su armate variopinte antiberlusconiane, anti-leghiste e via dicendo, hanno dato luogo alla serie più clamorosa di dismissione dello Stato nell'economia, attacco ai diritti del lavoro, adesione ai trattati liberisti europei e ritorno in grande stile della guerra di aggressione. La storia questo insegna, in Italia e in tutta Europa.</div>
<div style="text-align: justify;">
Allo stesso modo vi sono variabili di fondo ineludibili e urgenze in merito alle quali non è possibile scendere a compromessi, poiché da esse dipende il triste scenario in cui siamo precipitati. La principale urgenza è oggi la capacità di sganciarsi dal vincolo esterno della globalizzazione dei mercati che ha ridotto a zero la forza delle classi subalterne e la possibilità di proporre un discorso politico coerente lasciando così praterie ai discorsi ambigui della destra reazionaria che gioca sul doppio binario dello sfilacciamento del corpo sociale ridotto a individui atomizzati e sulla programmatica impotenza strutturale della sinistra sociale. Lo sganciamento dal mercato globale, in Europa, significa anzitutt fuoriuscita da quell'insieme di trattati liberisti che prendono il nome di Unione europea. Modi, tempi, tecnicismi, alleanze tra paesi in simili condizioni sono tutte variabili degne della massima attenzione e da discutere, ma il problema di fondo è ineludibile. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ogni atto di accondiscenza verso l'attuale contesto di fondo e ogni atto di fiducia o di menopeggismo a favore degli epigoni dell'ordine neo-liberale è un passo indietro verso la costruzione di alternative credibili ed egemoni ed è un doppio regalo al potere costituito. Un regalo al potere nella sua forma attuale, e un regalo alla sua variante destra reazionaria che dalle miserie generate dai danni di tale potere trae linfa e forza.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non c'è miglior rimedio al rischio di futuri veri fascismi che combattere oggi il capitalismo a partire dalle sue forme e manifestazioni più radicali e distruttive.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-51912656229186435882016-12-09T03:28:00.000-08:002016-12-09T03:48:33.880-08:00Governabilità, rappresentanza, conflitto sociale e alternativa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-MSI74MdfV_E/WEqU9OosS5I/AAAAAAAABNw/fMOGIQj7htQa4EQFMyxrxFrDhkF8q9fvwCLcB/s1600/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.25.55.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="424" src="https://2.bp.blogspot.com/-MSI74MdfV_E/WEqU9OosS5I/AAAAAAAABNw/fMOGIQj7htQa4EQFMyxrxFrDhkF8q9fvwCLcB/s640/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.25.55.png" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
referendum Costituzionale del 4 Dicembre, al di là delle sue interpretazioni
in chiave politica contingente, ha incarnato in modo molto chiaro lo scontro
tra due differenti idee dei rapporti istituzionali e di potere: l’una
incentrata sulla rappresentanza e l’altra, opposta, incentrata sulla governabilità
priva di ostacoli e pastoie. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
I
provvedimenti che nello specifico orientavano i rapporti istituzionali verso
una maggiore (supposta) governabilità e verso un maggior potere dell’esecutivo
erano in particolare la modalità elettiva di fatto del nuovo senato (una sorta
di quasi-maggioritario costituzionalizzato) e il voto a data certa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Tralascio
quindi in queste riflessioni ulteriori gli altri aspetti critici della riforma
di cui ho discusso nel precedente articolo per offrire ora alcuni spunti
generali (che vanno al di là del dibattito referendario) sui rapporti tra
rappresentanza e governabilità.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br />
<br />
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Rappresentanza e governabilità: due
principi da qualificare nel contesto<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Per
chiarire qual è il terreno di scontro nella preminenza tra rappresentanza e
governabilità occorre anzitutto fugare il campo da un primo equivoco. Non ci
troviamo in un’arena astratta dove lo scontro è quello tra decisionismo e
governabilità in sé per sé e rappresentanza in sé per sé come concetti
assoluti. Fermo restando che vi sono dei punti di fondo stabili che spiegherò,
nella pratica buona parte di ciò che investe le procedure (e non i contenuti
che hanno invece valore universale) deve dipendere dal contesto e non essere
preso come principio assoluto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ad
esempio, in un’ottica di profonda trasformazione sociale ed economica la stessa
democrazia rappresentativa pluripartitica potrebbe non avere più senso per come
la conosciamo oggi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Dove
il potere del denaro sia ridotto ai minimi termini e alcuni principi
solidaristici economici siano generalmente acquisiti ad un livello costituzionale,
la democrazia potrebbe assumere altre forme che non si fondano più
necessariamente sul pluripartitismo nel senso tradizionale del termine,
incentrato sul conflitto tra idee incompatibili, ma su una condivisione
generale che porta in modo assai più semplice e diretto alla decisione
collettiva sulla base di fondamenti strutturali già condivisi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ma
il contesto in cui viviamo non è quello appena evocato e al momento non se ne
vedono neanche lontanamente i presupposti. Il contesto strutturale in cui
viviamo si chiama capitalismo ed è oggi nella sua fase peggiore e più
aggressiva degli ultimi 70 anni. Un sistema in cui un pugno di poche persone
detiene uno spaventoso potere economico, la ricchezza è distribuita in modo
tragicamente diseguale, l’accesso all’informazione è manipolato da oligarchie
mediatiche e la cultura è prevalentemente asservita alla riproduzione del
potere economico di una sempre più esigua minoranza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Questo
sistema, nella sua articolata storia, si è potuto sposare con forme di
rappresentanza democratica solo fino a quando tale forma di governo non ha
rischiato di minare la stabilità dei suoi interessi economici costituiti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
A
tratti e specie in alcune aree del mondo, questo sistema economico, per
supportarsi e continuare ad esistere, perpetuando liberamente le sue eclatanti
ingiustizie ha avuto bisogno di distruggere ogni residuo di sistema democratico
formale in modo esplicito. In Italia, Germania, Spagna e Portogallo è accaduto
negli anni ’20 e ’30 del novecento in sudamerica e in Grecia negli anni ’60-’70
per citare gli esempi più clamorosi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-2P9LWeHm7NY/WEqUWAh0NlI/AAAAAAAABNo/VIgSH7frkvoO2ujnFQYwScN6DSVS0fD5QCLcB/s1600/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.23.47.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="224" src="https://3.bp.blogspot.com/-2P9LWeHm7NY/WEqUWAh0NlI/AAAAAAAABNo/VIgSH7frkvoO2ujnFQYwScN6DSVS0fD5QCLcB/s320/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.23.47.png" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
linea di massima però, quando la capacità di opposizione sociale non ha
raggiunto soglie di guardia, il sistema capitalistico moderno è stato capace di
sopravvivere e riprodursi senza ricorrere ai ben più fragili e spesso persino
scomodi autoritarismi espliciti, preservando la democrazia formale
rappresentativa. Certo, a volte a costo di bombe e stragi (Italia 1969-84), molto
spesso a costo di repressione più o meno dura, ma pur sempre con la
preservazione nel tempo di principi di democrazia formale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ecco,
questo genere di democrazia non è un feticcio in sé, né un obiettivo in sé. Non
le attribuisco, dato il sistema di manipolazione delle opinioni, chissà quali
virtù di verità e profondità nella rappresentazione delle reali volontà di una
comunità nazionale cosciente. Essa è però uno strumento prezioso, finché resta,
e un’opportunità di azione alternativa a non auspicabili rivolgimenti violenti,
guerre civili, scontri armati e tutto ciò che tragicamente può sconvolgere in
qualsiasi momento le nostre vite (come del resto accade in tanti paesi ogni
giorno).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Partiamo
quindi dal presupposto che viviamo in una società strutturalmente conflittuale
con interessi contrapposti, classi sociali stratificate e spaventosi divari di
ricchezza e potere.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Questo
è il quadro in cui va contestualizzato il dibattito sul rapporto tra rappresentanza
e governabilità affinché non diventi una discussione generale del tutto sterile
di polarizzazione tra “decisionismo” e “parlamentarismo” come valori astratti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
un simile quadro conflittualistico emergono due caratteristiche fondamentali:
in primo luogo la presenza di una pluralità di interessi fortemente
contrastanti a cui si legano approcci politici per natura divergenti, come
rappresentazione degli interessi materiali e ideali divaricati; in secondo
luogo il potere del denaro che tende a conferire maggior forza anche politica e
istituzionale ai rappresentati della classe sociale dominante. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
combinazione di accesa pluralità strutturale in un contesto ultra-stratificato
e di enorme potere del denaro non può che trovare la propria traduzione
istituzionale e il proprio limite all’ultra-potere della classe dominante, in
una logica di forte rappresentatività istituzionale del conflitto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
L’alternativa
è il suo annullamento a favore degli interessi dei dominanti o la sua
esasperazione e costrizione in sentieri forzatamente non istituzionali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Le finalità dei principi governisti <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E
qui vengo finalmente al punto che concerne lo spirito della riforma ma va in
realtà ben oltre investendo aspetti più profondi: il maggioritario come sistema
elettorale (che la riforma applicava di fatto o quasi al senato in termini
persino costituzionali, in una logica unione con la quasi-maggioritaria legge Italicum
alla camera) e insieme le procedere decisioniste-governiste (voto a data certa
ad esempio), hanno una chiarissima doppia funzione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
A
priori selezionare i governi favorendo l’ascesa delle forze più grandi e
facendo a pezzi ogni minoranza prima che possa diventare domani maggioranza. A
seguire, una volta favorite maggioranze che rispecchino il potere dominante,
lasciarle governare senza quelle “pastoie” e lentezze, tipiche dei tempi di
riflessione e conflitto parlamentari.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Al
contrario il proporzionale come sistema elettorale e il sistema a vocazione
parlamentarista come struttura istituzionale hanno come priorità la
rappresentanza delle variegate istanze politiche e sociali che emergono nella
società anche nel loro conflitto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
chiaro che un proporzionale puro sconta il rischio di una maggiore instabilità
dei governi, ma vi sono molti correttivi possibili per non esasperarla
(sbarramento ad una soglia ragionevole ad esempio, (direi 3%), limitatissimi
premi da assegnare a coalizioni se sfiorano percentuali vicine al 50% e altri
possibili correttivi minori di cui si può discutere.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Resta
il fatto che il proporzionale (al limite con modeste correzioni) è l’unico
sistema in grado non solo di rappresentare le variegate istanze sociali,
politiche e culturali che la collettività esprime nel voto, ma anche di
consentire la sopravvivenza di forze minori, dove per minori non intendo forze
che arrivano al 2%, ma magari al 10%, al 15% o persino al 20%. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
I
sistemi maggioritari (un esempio sono quelli anglosassoni) possono escludere
dal governo di un paese per decenni partiti che prendono il 25% o 30% delle
preferenze, i quali non avrebbero alcuna rappresentanza parlamentare.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ragion per cui in quei sistemi si è creato il
bipolarismo sistematico inscalfibile o quasi, dato che la possibilità di emersione
in parlamento di partiti terzi è praticamente esclusa di fatto dal sistema
elettorale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Resta
soltanto, in simili sistemi, per chi voglia apportare nuove istanze in
politica, l’illusione di agire intervenendo all’interno dei due partiti forti spostandone
gli equilibri, ma questa illusione non considera la maniera in cui una
struttura di potere stratificato si consolida nel tempo rendendone il più delle
volte impossibile un cambiamento endogeno. La storia degli Stati Uniti lo dimostra
pienamente. Siamo anzi al paradosso che probabilmente il presidente più esterno
al blocco di potere dominante è proprio l’impresentabile Trump (del resto a sua
volta portavoce di un altro blocco di potere costellato da miliardari, non
esattamente un uomo esterno al potere del denaro).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Rappresentanza e alleanze<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
chiaro che un sistema proporzionale ispirato alla piena rappresentanza costringe
alle alleanze come avvenuto in Italia nella prima Repubblica. Alleanze che, del
resto, sono la logica rappresentazione della volontà collettiva. Queste
alleanze possono essere fragili naturalmente ed è la ragione per cui i governi
italiani hanno avuto quasi sempre vita breve fino agli anni ’90. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Tuttavia
seppur brevi quei governi erano spessissimo in continuità e la caduta dell’uno
non significava sempre buttare a mare gli sforzi legislativi del precedente,
anzi spesso le leggi venivano elaborate con una notevole continuità. Spessissimo
le variazioni della compagine governativa erano minime, dovute a piccole oscillazioni
delle alleanze e non richiedevano nuove elezioni. Non si può certo affermare
che l’Italia della prima repubblica non abbia prodotto una legislazione
abbondante e significativa. Direi anzi che le migliori leggi che tutt’ora ci
portiamo dietro sono state create in quel periodo storico così complesso e
straordinario per i suoi equilibri. Le migliori trasformazioni sociali promosse
dal potere legislativo ed esecutivo nel loro ordine istituzionale sono state
promosse da quella pletora di governi brevi che rappresentavano le sfumature
ideologiche, culturali e politiche del paese, la mediazione continua del
conflitto sociale tra le classi e tra i gruppi e gli stessi equilibri
geopolitici internazionali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-OguRqG75n98/WEqSx_hFdCI/AAAAAAAABNU/tqCxW7TExIwgkQrdNGfANeK1dayhRDlegCLcB/s1600/prima-repubblica-755x515.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="272" src="https://2.bp.blogspot.com/-OguRqG75n98/WEqSx_hFdCI/AAAAAAAABNU/tqCxW7TExIwgkQrdNGfANeK1dayhRDlegCLcB/s400/prima-repubblica-755x515.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
è certo la breve durata dei governi che ha costituito la debolezza dell’Italia
e il suo asservimento alle potenze straniere, agli Stati Uniti in primo luogo e
poi alla Germania in Europa. E’ l’esito prima della seconda guerra mondiale e
poi, il lento e inesorabile prevalere, nella strisciante guerra fredda, di
forze che hanno vinto la loro battaglia rappresentando il compiuto asservimento
nazionale. Forze che sono definitivamente emerse, guarda caso, proprio con la
seconda repubblica, quella del mito maggioritario, con la distruzione dei
vecchi partiti di compromesso politico e sociale e la fine di ogni aspirazione
autonoma (il cui ultimo regurgito, anche se nelle sue contraddizioni lampanti e
già pesanti involuzioni sociali era stato espresso dal governo Craxi).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
è affatto un caso che la battaglia culturale pro-maggioritario sia stata
scatenata all’inizio degli anni ’90 sotto le ali del mito della governabilità
ad ogni costo come valore preminente. La maggiore (molto relativa poi)
governabilità degli anni ’90 e 2000 si è risolta senz’altro in un aumento della
durata media dei governi, ma non mi pare che ciò ci abbia particolarmente
giovato in merito alla qualità e quantità legislativa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
solo, ma quando un governo dotato di piena maggioranza doveva essere rovesciato
per ingerenze esterne o disaccordi interni è stato fatto senza colpo ferire
anche in condizioni di alleanze pre-elettorali dotate del 50% +1 dei
parlamentari. E’ accaduto al governo Berlusconi nel 1995, al governo Prodi nel 1998,
al governo Prodi nel 2008 e ancora al Governo Berlusconi nel 2011. E’ stata
quindi una costante anche della seconda repubblica con sistemi elettorali di
tipo maggioritario ispirati alla cosiddetta governabilità. Nessun provvedimento
di aumento della governabilità pensabile può rimuovere del resto l’ipotesi di rovesciamento
esterno o interno di un governo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
rischio concreto quindi è quello di ridurre drasticamente la rappresentanza
senza neanche ottenere maggiore stabilità di fatto.<br />
Quest’ultima, d’altra parte, dipende dal grado di omogeneità del potere che di fatto
amministra un paese. Sono i conflitti di potere e le diverse impostazioni che
possono sorgere anche entro la compagine di un partito (come riflesso di
diverse cordate di potere economico o blocchi ideologici) a determinare il
grado di stabilità dei governi assai più che i sistemi elettorali in sé o i
meccanismi istituzionali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">La fase storica che stiamo vivendo da 30
anni <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Tutto,
peraltro, va inquadrato nella fase storica che i tempi ci mostrano con
chiarezza. Se non si condivide il significato della fase storica che ci
troviamo a vivere è difficile trarre delle conclusioni analoghe anche sugli
assetti istituzionali preferibili.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Le
forze politiche ad oggi egemoni non esprimono alcun segnale di discontinuità
rispetto all’opera avviata da quasi 30 anni di distruzione del benessere e dei
diritti delle classi subalterne alle quali si continua a togliere il poco che
resta. Né esprimono alcuna discontinuità nell’asservimento del capitalismo
nazionale nel contesto europeo e rispetto alla potenza americana. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
Partito democratico è il campione assoluto di questo progetto e la sua
evoluzione degli ultimi 25 anni PCI-PDS-DS-PD è la prova lampante del preciso
ruolo che gli è stato riservato e ritagliato nella vita politica del paese
nella drammatica fase di trasformazione che ci ha traghettati da un sistema a
prevalente economia mista al neo-liberismo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
particolare la parabola renziana è solo l’ultimo punto di svolta di un percorso
involutivo che ha portato al clamoroso riciclaggio degli ex picisti e
democristiani di sinistra in blocco politico e culturale chiave della
regressione sociale ed economica del paese. La lunga parentesi berlusconiana ne
è stato solo un grottesco e inizialmente imprevisto diversivo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Tutta
l’impressionante staffilata di leggi che ci hanno portato allo sfacelo sociale
ed economico in cui siamo oggi sono state felicemente avallate, anzi sostenute
dal blocco di potere del cosiddetto “centro-sinistra” e naturalmente condivise
e promosse altresì dal centro-destra berlusconiano, al servizio degli interessi
del grande capitale e della finanza speculativa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
è successo solo in Italia. E’ una tendenza europea quella della convergenza
delle vecchie forze socialiste in apparati di gestione del neo-liberalismo in
apparente falsa alternanza con le forze conservatrici. E’ una vera tragedia
epocale, da molti ancora non percepita con sufficiente lucidità. Una tragedia
che ha portato la maggioranza degli elettori della fu sinistra comunista e
socialista, ad avallare senza saperlo (o nei casi peggiori nella più lucida
rassegnazione impotente e cinica) leggi antipopolari che vanno dalla distruzione
del diritto del lavoro e dello Stato sociale alla fine dell’impresa pubblica e
dell’economia mista; dalla deindustrializzazione alla fine di ogni seria
politica di investimento pubblico; dal decadimento culturale alla devastazione
della scuola classica tradizionale; dalla privatizzazione dei servizi sociali
di base all’aziendalizzazione di ogni spazio sociale ed esistenziale e via
continuando nella realizzazione del nuovo paradigma.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Renzi
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(e questo molti antirenziani che vedono
solo il suo aspetto grottesco di burattino non lo capiscono) è solo la punta
dell’iceberg di un lungo e dolorosissimo processo trentennale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
stato il jolly usato dalle classi dominanti per costituire un blocco neo-centrista
in grado di ottenere consensi a destra e a sinistra dando soluzione a
quell’instabilità esecutiva mostrata dal paese in particolare nel periodo
2006-2011 con governi troppo politici e troppo fondati su alleanze agitate.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
dimentichiamoci i modi surreali in cui sono caduti i governi Prodi (2008) con
tradimenti interni eterodiretti e il governo Berlusconi tirato giù a colpi di
Spread dai suoi numerosi nemici esterni. Non perché Prodi e Berlusconi fossero
buoni per l’Italia (erano entrambi pessimi), ma perché avevano, entrambi per
vie diverse, provato ad incrinare lievemente alcuni piani d’azione aspirando a
spazi minimi di autonomia del paese nella scena internazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-qHwlar3w_Ow/WEqS6zZbcnI/AAAAAAAABNY/jxMxmXvpy80AG5npHKQhr39iEynkrlHtACLcB/s1600/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.16.57.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="211" src="https://1.bp.blogspot.com/-qHwlar3w_Ow/WEqS6zZbcnI/AAAAAAAABNY/jxMxmXvpy80AG5npHKQhr39iEynkrlHtACLcB/s400/Schermata%2B2016-12-09%2Balle%2B12.16.57.png" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Poi
è arrivato il celebre governo tecnico lacrime e sangue di Monti (probabilmente
il peggior governo della storia della Repubblica) e infine i poteri forti, dopo
le elezioni e il vacillamento del debole Letta, hanno scommesso su Renzi,
questo personaggio a mio avviso notevole nella sua negatività dal punto di
vista sociologico e antropologico, capace di rappresentare in modo
incredibilmente sintetico il peggio della nullità culturale post-moderna in un
sol colpo, riassumendo in sé il lato grottesco-popolare ereditato dal
berlusconismo, il decisionismo lideristico senza contenuti, il buonismo
salottiero e l’ottimismo parolaio. Un capolavoro che è riuscito ad unire forze
diverse suggestionando sensibilità culturali anche opposte e creando per
qualche anno un vero e proprio blocco culturale. Un blocco che, nelle speranze
dei suoi artefici, avrebbe potuto costituire l’ossatura di un Partito della
nazione, paladino della stabilità. Il futuro governo dell’asservimento
definitivo, insomma, corretto da saltuari spasmi vani e programmaticamente
vuoti di orgoglio nazionale (come i siparietti di contrasto con i poteri
europei e con la Germania), il cui compito fondamentale era ricucire le ferite
inflitte dall’imperialismo tedesco interno all’UE all’egemonia indiscussa degli
Stati Uniti sull’Europa. Insomma Renzi, l’americano, ogni tanto doveva
ringhiare contro gli eccessi di austerità perché una Germania troppo forte (e
l’austerità europea è l’arma micidiale dell’orrendo neo-colonialismo tedesco)
spaventa da anni gli Stati Uniti che temono di perdere la propria totale influenza
sull’Europa e sui rapporti tra Europa e Russia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Un
uomo piccolo usato al servizio delle potenze dominanti come mediatore dei loro
contrasti a sostanziale vantaggio della strategia americana. Questo è stato il
suo ruolo iniziale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Certo,
come tutti gli uomini di servizio, è assolutamente possibile che ad un certo
punto sia potuto sfuggire di mano. Gli acuiti contrasti sulla manovra di
stabilità degli ultimi mesi potrebbero anche contenere del vero e non essere
solo una simulazione propagandistica per mostrare falsi muscoli. Il governo
italiano è indubbiamente stato protagonista di tensioni non indifferenti con
l’Europa dei falchi che, oltre ad essere il mero riflesso del conflitto
Germania-Stati Uniti a favore di questi ultimi, potrebbero avere avuto qualche
briciolo di autenticità propria. Non è da escludere, quindi, che in molti
abbiano iniziato a meditare sulla possibilità di liberarsi del loro uomo. Del
resto non sarebbe stata la prima volta. Sono tanti i burattini che al momento
opportuno vengono buttati via perché inutili o perché si sono montati troppo la
testa. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ma
di certo la scommessa del referendum è stata un grossissimo errore imprevisto e
non una manovra esterna meditata per far cadere Renzi. Se gli stessi poteri che
lo hanno elevato lo avessero voluto far cadere lo avrebbero fatto in altri
modi. Il referendum era nelle sue previsioni un’arma micidiale di
rafforzamento, nonché un inevitabile passaggio cui dover soggiacere per far
passare una riforma costituzionale non approvabile con i 2/3 del parlamento,
riforma voluta da anni dalle classi dominanti, appoggiata da tutti i poteri
forti internazionali, sottoscritta dalle grandi banche d’affari americane.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Certamente
la vittoria del NO non rappresenta in alcun modo una sconfitta eclatante delle
forze di asservimento e delle classi dominanti. La possibilità del rigetto
della riforma della Costituzione era ampiamente prevista e lo scenario
alternativo presumibilmente già preparato. Le borse crescono e lo spread addirittura
diminuisce. Nessun panico, nessuna incrinatura dei rapporti di forza. Non mi
aggiungo ai lanciatori (virtuali in questo caso) di monetine contro Renzi, l’ennesimo
corifeo del potere che esce di scena. Perché altri ne verranno e perché non è
ringhiando contro l’immagine di un singolo che si inquadrano gli eventi.
L’antirenzismo ha rischiato in molti ambienti di divenire il nuovo
antiberlusconismo, ovvero il rovesciamento logico dell’impostazione
personalistica e lideristica che renzismo e berlusconismo hanno imposto. Niente
urla sguaiate per la fine dell’ennesimo buffone di corte, così come non era il
caso di urlare nel 2011 dopo la caduta di Berlusconi e nel 2008 dopo la caduta
di Prodi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Solo
cauta soddisfazione per il fallimento del tentativo notevole di cambiamento
della Costituzione in senso pro-esecutivo teso ad affermare il dominio dei
cosiddetti governi affidabili e proni alle direttive dei poteri predominanti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
stato sventato un attacco alla Costituzione, in continuità con altri passaggi
decisivi di cui si è parlato troppo poco (ad esempio la clamorosa modifica
dell’articolo 81 nel 2012 in merito al vincolo di pareggio di bilancio), del
tutto funzionale a proseguire il processo demolitivo avviato trent’anni orsono
della sostanza dei rapporti sociali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
questa fase storica al momento è solo possibile resistere, colpo su colpo ad
ogni attacco sferrato. E nel mentre costruire l’alternativa per il futuro senza
l’isteria dettata dai tempi elettorali e dal breve periodo, dominato dal
ricatto, dalla paura dal menopeggismo radicale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Resistere
per costruire forze capaci domani di creare egemonia culturale e politica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Oggi
lo spazio di pseudo-opposizione al blocco di potere dominante è occupato dai
cosiddetti populismi (termine tra i più inefficaci, generici e ideologici usati
dalla politologia degli ultimi 200 anni) volutamente indicati come un blocco
unico per darne una rappresentazione inquietante e indistinta cui contrapporre
il buon senso degli uomini della governance tecnocratica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
chiaro che questi melliflui cosiddetti populismi non sono il problema, ma la
falsa errata, ingannevole e a volte senza dubbio inquietante, soluzione al
problema, o ancora meglio il depistaggio alle alternative vere che potrebbero
nascere un domani.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
vicenda del movimento 5stelle, i populisti post-moderni, che di certo non
rappresentano il nemico principale, ma la destrutturata, liquida,
contraddittoria e a tratti grottesca reazione al nemico principale, insegna una
cosa: che esiste una base elettorale inquieta che è stata capace, dopo anni di
ricatti, di liberarsi dallo spettro del bipolarismo ideologico (votami perché
se no c’è Berlusconi, votami perché se no ci sono i comunisti, votami perché se
no c’è Salvini e così via per 20 anni di manipolazioni ideologiche infondate).
Questo è stato un grande risultato. Il problema è che la forza collettrice è
non solo di una vacuità impressionante, ma è ad altissimo rischio di
manipolazione esterna (proprio per la sua totale inconsistenza e confusione).
Del resto non è un caso che il sistema mediatico prima di attaccare i 5stelle
quando si erano già rafforzati ne ha liberamente permesso il rafforzamento
sovraesponendoli nei media nel periodo pre-ascesa. L’impressione netta è che
essi siano il diversivo perfetto per comprimere altre alternative più
sostanziali incanalando il disagio su binari morti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non
credo che il potere egemone scommetterà realmente mai su di loro come forza
trainante di governo. Certo alcuni personaggi del movimento, in particolare,
rivelano tratti inquietanti e lasciano intravedere questa remota possibilità e
deriva che potrebbe essere usata residualmente. Il loro programma è contraddittorio,
pieno di elementi ragionevoli e condivisibili alternati a visioni confuse,
ideologia a buon mercato e alcune idee totalmente sbagliate così simili alle stesse
proposte dal blocco di potere dominante. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Penso
tuttavia che la carta dei 5 stelle se mai verrà giocata lo sarà solo in
extremis, non è certo la principale e in ogni caso avrebbe un valore di pura
destabilizzazione di brevissimo periodo, seguita immediatamente da un nuovo
governo più istituzionale. Insomma un diversivo caotico, innocuo presto
reintegrabile dall’ordine costituito. Tutto fuorché lo spauracchio da cui
doversi difendere in via prioritaria.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Poi
ci sono i cosiddetti populismi di destra, quelli più beceri, razzisti, brutali,
che cavalcano i peggiori sentimenti, fomentano la guerra tra poveri e parlano
di temi rilevanti (sovranità nazionale, critica alla UE) riempendoli di
contenuti reazionari. Lo spauracchio del rafforzamento di questi movimenti è
chiaramente una delle armi più affilate usate dalla propaganda del blocco di
potere egemone per attirare consensi sull’onda della paura dei barbari. E’
probabilmente, insieme alla propaganda del giudizio dei mercati finanziari e
dello spread, l’argomento più forte che permette di rafforzare per contrasto il
potere costituito. <br />
Non va certo sottovalutato il pericolo di involuzioni reazionarie, peraltro del
tutto interne allo stesso sistema di potere da cui dichiarano di
differenziarsi, ma non può essere di certo la scusa per appoggiare come rimedio
le forze politiche dominanti. Tanto più che, come chiaro dagli eventi degli
ultimi anni, l’influenza delle destre reazionarie è tanto più forte quanto più
si consolidano le politiche antipopolari, la crisi economica, la povertà,
l’immigrazione scatenata dalla riduzione in miseria di vaste aree del mondo.
Tutte circostanze aggravate proprio dall’azione politica dei partiti che
reclamano il nostro consenso per allontanare il rischio dei populismi. Ed è
parimenti vero che i rischi di populismo reazionario aumentano
proporzionalmente all’assenza di forze popolari e sociali che, fuori da
settarismi ideologici radical chic ed estremistici, raccolgano il consenso
delle classi subalterne parlando di problemi reali e non di amenità di nicchia.
Pertanto, anziché gridare ai populismi genericamente intesi rifugiandosi nelle
braccia della governance tecnocratica, bisognerebbe invece contrastare i
cattivi populismi reazionari (destra) o i populismi post-moderni liquidi (movimento
5stelle) con buoni populismi emancipativi e sociali (se per populismo in
generale intendiamo la capacità di portare al popolo, alla maggioranza
argomenti forti diretti e comprensibili). Solo in questo modo si può entrare
nel vivo delle contraddizioni sociali di questa epoca sfuggendo all’eterno
ricatto insostenibile tra Renzi e Salvini, Clinton e Trump, Hollande e LePen e
via dicendo. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
D’altro
canto la reazione al blocco di potere dominante e ai cattivi “populismi” (dalla
vacuità totale del movimento 5stelle alle destre becere) non può certo essere
l’ennesima riedizione di improbabili centro-sinistra ventilati da personaggi
fino ad oggi pienamente interni alla gestione del nuovo paradigma neo-liberale
e delle politiche di austerità (Pisapia, Vendola, Fassina et similia). Di ruoli
subalterni di sinistre usate come stampelle delle politiche dominanti, al
limite con qualche variazione sul tema in ambito di diritti civili, credo se ne
abbia abbastanza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
C’è
invece bisogno di forze in grado di esprimere, fuori da ogni subalternità e con
determinazione, un concreto cambiamento di paradigma, di mettere in discussione
radicale i trattati europei che impongono in modo inevitabile politiche di
austerità, recessione, impoverimento, disoccupazione di massa e redistribuzione
regressiva del reddito dai poveri ai ricchi. Forze in grado di ripensare ad un
ruolo attivo dello Stato in forma dirigista nell’economia come produttore di
servizi e garante del pieno impiego. Forze in grado di ripensare radicalmente
il paradigma di economia aperta, il mito mendace della globalizzazione che
altro non è che il paravento per nascondere il predominio dei paesi forti sui
più deboli, adottando linee di sviluppo endogeno protezionistico in un’ottica
di paritaria cooperazione internazionale solidale, condanna radicale della
guerra e dell’imperialismo. Forze in grado, in ultima istanza, di rimettere al
centro del pensiero la sovranità dei processi politici e delle relazioni
sociali ed etiche sul sistema economico e sulla distribuzione della ricchezza.
Non limitandosi a redistribuzioni ex-post dei residui dell’accumulazione
privata, ma ridiscutendo i modi e le relazioni produttive e di proprietà.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Un
simile cambiamento di paradigma, che non è certo il socialismo, ma solo un
avvicinamento ad ipotesi relativamente caute di economia mista a forte
direzione pubblica (le stesse peraltro che hanno prevalso per 30 anni in Europa
nel secondo dopoguerra) necessita di energie che faticheranno molto a
ritagliarsi spazi e dovranno lottare per anni per ottenere una qualche egemonia
culturale possibile in futuro. Un percorso che prima o poi dovrà iniziare e che
qualcuno faticosamente sta iniziando a maturare. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Il nesso tra struttura istituzionale, egemonia e fase
storica <o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Chiarita
la fase e chiariti i contorni di un auspicabile cambiamento, torniamo, per
concludere, al rapporto tra governabilità, rappresentanza e fase storica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
governabilità in sé priva di analisi dei suoi contenuti, in opposizione alla
rappresentanza non può essere certo un valore in sé.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E tutto
ciò, ripeto, non per un amore incondizionato di questa democrazia procedurale
rappresentativa in quanto tale. Questa democrazia è evidentemente marcia fino al
midollo. La stragrande maggioranza delle persone vota senza avere una chiara
informazione, più per immagine e suggestione. Non solo i “rozzi votanti” dei
vari cosiddetti “partiti populisti”, ma tutti i votanti, a partire, da chi
crede di votare a sinistra e vota partiti di destra liberista che solo 30 anni
fa sarebbero stati considerati più a destra della destra conservatrice
ottocentesca. E’ una vera catastrofe, frutto naturale della manipolazione
mediatica, della distanza tra realtà e immagine della realtà, della distanza
gigantesca tra noi e le leve del potere fondamentali (ben più elevata oggi che
50 o persino 100 anni fa), <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>del
fallimento dei progetti emancipativi di 30-40 anni fa e della cultura
post-moderna della disillusione che si trasforma in accettazione
dell’inevitabilità della tecnocrazia post-politica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Non è
quindi la democrazia rappresentativa il feticcio che custodisce chissà quale
meravigliosa rappresentanza della verità delle opinioni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Semplicemente
la rappresentanza va difesa come possibile luogo residuale di resistenza del conflitto
e della contraddizione e come unico appiglio per non scomparire quando si
arriverà al punto in cui sarà possibile incidere sulle dinamiche del potere. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Del
resto oggi, in questo contesto, dati gli attuali rapporti di forza, è solo
possibile immaginare una resistenza attiva che diventi un domani una forza
capace di entrare nell’arena della lotta politica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Chi
immagina cambiamenti forti del corso delle cose, ha solo la possibilità e la
speranza di porre le fondamenta per qualcosa che verrà che possa sorgere da una
direzione politica delle principali contraddizioni sociali in atto. All’inizio
sarà qualcosa di piccolo che dovrà semplicemente avere la forza di sopravvivere
e non essere spazzata via nel momento in cui vorrà entrare in contraddizione
con il potere dominante. Poi con il tempo potrà aspirare all’egemonia (ma si
tratta di un orizzonte di molti anni). Nel frattempo, occorre arginare i danni,
difendere contingentemente il poco di buono che resta, salvare gli ultimi
diritti, stare nelle lotte sociali dove possibile, lavorare su un piano
culturale e poi politico in un’ottica di lungo periodo e augurarsi che il
progetto egemonico di annichilimento delle classi subalterne subisca
contraccolpi e che non riesca per ora ad affondare la mano in modo definitivo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Rafforzare
oggi l’esecutivo, difendere principi assoluti e decontestualizzati di
governabilità, significa spianare la strada ai demolitori. Significa
soprattutto contribuire a creare il contesto istituzionale fatto appositamente
per impedire sul nascere l’emersione di forze politiche nuove realmente
alternative da qui al futuro.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Semmai
una forza dovesse nascere e svilupparsi come alternativa reale, una forza ben
diversa da un movimento 5stelle trainato dai media entro i limiti della loro
relativa ridottissima pericolosità per il potere costituito, tarderebbe anni a
creare egemonia culturale per la difficoltà di diffondere un messaggio in spazi
mediatici ristretti e contro una propaganda di forza soverchiante. E se quella
forza arrivasse mai ad ottenere il 7-8-10 o 15% deve poter esistere per
arrivare nel corso del tempo a costruire egemonia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Specie
in un’ottica di resistenza minoritaria (per ora e per i prossimi anni almeno) che
tuttavia non rinunci totalmente all’azione istituzionale ripiegando nella pura
testimonianza sterile o percorrendo vie diverse, è esattamente la
rappresentanza che va difesa come obiettivo prioritario, condizione irrinunciabile
di sopravvivenza di un’alternativa e di una speranza.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Vi è
poi un tema di fondo che va al di là delle contingenze e dei rapporti di forza
attuali. Ipotizziamo pure che una forza il cui programma va nella direzione che
auspico dovesse acquisire una egemonia capace di portarla al 30-35% dei
consensi tra qualche anno. Sempre all’interno di una transizione graduale verso
cambiamenti anche profondi della società e dei rapporti di produzione (mettendo
da parte per ipotesi rivolgimenti di carattere extra-parlamentare) continuerei
a ritenere comunque che il sistema elettorale migliore sia quello
proporzionale. Una volta che si accetta infatti il piano del convincimento
istituzionale e democratico non si può non passare per l’ottenimento di una
maggioranza effettiva nella società alla luce del fedele rispecchiamento delle
volontà collettive. Tanto più ciò è necessario se si vogliono realizzare
programmi di cambiamento radicali e profondi. Come poterli realizzare senza
almeno il 50% +1 dei consensi espressi? Molto meglio, anzi sarebbe un 60-70-80%
come dovrebbe essere per passaggi epocali di transizione. Ma almeno il 50% +1 è
la precondizione per scampare guerre civili, rivolgimenti violenti e vanità dei
percorsi di cambiamento.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Credo
che in un sistema con democrazia formale sia questa la strada più consigliata
dalla prudenza e dalla giustizia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Se
stiamo alla democrazia formale (finché ci si vuol stare ovviamente), per quanto
falsa, putrida, manipolata, mediata dal denaro, se ne devono accettare le
regole. Occorre stare al gioco e lottare con i mezzi possibili per creare
egemonia fintanto che avremo la possibilità materiale di farlo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Tanto
in fase di resistenza (oggi) quanto in futuribili e per nulla probabili fasi di
egemonia futura (domani), solo una rappresentanza di tutte le forze in gioco
può offrire la possibilità di cambiamenti concreti che abbiano una durata
storica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Come
già ho detto, in termini legislativi, il meglio che è stato fatto in Italia
negli ultimi 150 anni è stato realizzato nel periodo 1960-1980. Molti governi,
forse instabili, ma coalizioni forti nel contenuto, leggi che andavano spesso
nella direzione di un’emancipazione delle classi subalterne, sostanziali
cambiamenti sociali epocali promossi dalla faticosa azione combinata dei
partiti di massa, virtuosi equilibri impensabili senza l’azione combinata dei
comunisti dei socialisti e della parte meno atlantista e più nazionale della
democrazia cristiana.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Con
un maggioritario e un’impostazione governista avremmo avuto un paese senza
dubbio più governabile ma con l’80% dei governi a guida DC, dove sarebbe emersa
ovviamente la parte peggiore della DC, quella americanista, anticomunista e
mafiosa, senza contrappesi. <br />
E invece il proporzionale catturava quello straordinario (forse irripetibile)
equilibrio che era l’immagine (seppur sbiadita e manipolata) di grandi
confronti ideali che investivano non solo le politiche economiche, ma tutti gli
aspetti della vita pubblica. Senza proporzionale dibattiti complessi come
quelli sul divorzio e l’aborto con posizioni così delicate e sfumate entro i
partiti di massa non sarebbero stati neanche pensabili. Si sarebbero avute alternativamente
posizioni conservatrici o radicali-libertarie.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Senza
proporzionale non avremmo mai avuto le partecipazioni statali e le
nazionalizzazioni, ma capitalismo privato arraffone da un lato e propaganda
iperstatalista ineffettuale dal lato opposto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Senza
il proporzionale non avremmo avuto lo Stato sociale e diritti del lavoro
conquistati da dure lotte dalle due generazioni che ci hanno preceduto, ma
avremmo avuto repressione da un lato e reclusione dell’opposizione sociale in
canali puramente extra-istituzionali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E
tanti altri esempi si potrebbero fare di risultati complessi e fecondi, di
compromesso, ottenuti grazie alla rappresentanza della pluralità.<br />
<!--[endif]--><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Specie
in un paese come l’Italia segnato (per fortuna) ancora oggi da contrapposizioni
spesso trasversali a logiche bipolariste soffocanti estranee alla nostra
cultura, il proporzionale e la centralità del parlamento, è l’unico modo per
preservare la dialettica e la ricchezza delle infinite particolarità, per non
finire schiacciati nel tritacarne (in cui siamo finiti negli anni ’90)
dell’americanizzazione della politica preservando anche per questa via un
briciolo di indipendenza nazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b>Conclusioni </b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Imporre nell’ordine di priorità di un quadro istituzionale a democrazia parlamentare la rappresentanza,
non significa ignorare il problema dell’esigenza di governare. La governabilità
intesa come possibilità di governare e non come dittatura di una maggioranza
relativa, è naturalmente una condizione necessaria per l’azione e il mutamento.
Certamente il parlamentarismo non può ridursi alla discussione fine a sé
stessa, né a luogo di scontro inefficace. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ma
quando ciò accade, è il sintomo di uno stallo ed equilibrio nei rapporti di
forza e di una responsabilità delle forze politiche nel non saper superare lo
stallo. L’arma ricattatoria dei piccolissimi partiti è certamente un problema,
in parte superabile prevedendo soglie di sbarramento minime. Tuttavia in linea
di massima laddove i partiti politici lo vogliano, un sistema proporzionale e
forti garanzie dell’azione parlamentare in sede di discussione delle leggi,
possono dare luogo a governi capaci di legiferare anche in modo massiccio e
coerente, come dimostrano numerosi casi storici e presenti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
rappresentanza produce l’effettività di quel pluralismo che può dare luogo ad
una migliore governabilità. Riduce il rischio di fuga verso un bipolarismo che
comprime le differenze, che spezza le ali dello spettro parlamentare e che
impone la convergenza verso il centro, frustrando così la possibilità di una vera
governabilità trasformativa e di contenuto.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Al
contrario, l’imposizione di principi di governabilità ispirati da logiche
maggioritarie o da riduzione eccessiva dei tempi parlamentari di discussione si
traducono in preservazione delle logiche di potere esistenti e dello status
quo, che si autoperpetuano all’infinito con la sola forza di convincimento di
una maggioranza relativa dell’elettorato che potrebbe anche essere limitata ad
un solo 25% in caso di forte diffusione del voto tra molteplici partiti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Una
logica maggioritaria che peraltro non produce necessariamente stabilità dei
governi qualora permangano conflitti di potere sottostanti che dovranno per
forza di cose esprimersi all’interno dei partiti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p> </o:p>D’altra
parte, la facile governabilità e la stabilità dei governi sono il portato di
situazioni in cui il blocco di potere che sostiene un governo,
indipendentemente dalla pluralità o meno di partiti implicati, è omogeneo e
viaggia verso direzioni univoche (nel bene o nel male ovviamente a seconda dei
contenuti espressi).</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p> </o:p>Non
è quindi la forma istituzionale in sé a fornire stabilità ai governi (come chiarissimo
dalle vicende della seconda Repubblica in Italia), ma il raggiungimento di una
forte convergenza (positiva o negativa che sia) sulle strade da intraprendere e
gli interessi da difendere in una società stratificata.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
traslazione verso forme di selezione maggioritaria e di esecutivo forte sul
piano dei poteri istituzionali ha quindi come esito principale non la
stabilizzazione dei governi, ma il distacco tra potere e cittadini, la perdita
di rappresentanza e l’esclusione sistematica di forze di alternativa sul
nascere. In sostanza la difesa del potere costituito al tempo presente.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div>
<br /></div>
<div>
<br /></div>
<div>
<br /></div>
Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-57573186825879188582016-12-03T07:05:00.003-08:002016-12-03T07:33:05.799-08:00Riflessioni, agli sgoccioli, sul referendum costituzionale: i motivi di un NO alla riforma proposta dal governo Renzi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-epbIeLhRKyA/WELbIqucTtI/AAAAAAAABL8/btSobMJ3tZ83d7HxgK99bGX82L3zRN8NwCLcB/s1600/Referendum%2Bimmagine.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="223" src="https://2.bp.blogspot.com/-epbIeLhRKyA/WELbIqucTtI/AAAAAAAABL8/btSobMJ3tZ83d7HxgK99bGX82L3zRN8NwCLcB/s400/Referendum%2Bimmagine.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p><br /></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Domani
si voterà finalmente sulla riforma costituzionale proposta dal governo Renzi.
Si è trattato di un tema fortemente dibattuto negli ultimi mesi per lo
più in termini poco chiari per via della sua estrema politicizzazione (in senso
di identificazione partitica, di corrente o di singoli personaggi influenti) e
a causa della frequente manipolazione dei contenuti dovuta all’uso spregiudicato
di considerazioni contingenti e di contesto completamente fuori tema. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
secondo aspetto, in particolare, ha reso il dibattito
particolarmente squallido, vilipeso nei suoi contenuti ultimi e banalizzato da
fiumi di paure, minacce, insulti in un’atmosfera da fine dei tempi cui ormai,
dopo le vicende della Brexit Britannica e dell’elezione di Trump, siamo ormai
tristemente abituati.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
L’identificazione
che il Presidente del Consiglio Renzi ha voluto sin dall’inizio tra la riforma
e il giudizio sull’operato del suo governo (la cui prova lampante è l’unione in
un unico quesito di questioni molto diverse) ha prodotto quindi una catena di
conseguenze nefaste che hanno gravemente inficiato la serietà del dibattito e
la chiara comunicazione dei suoi contenuti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
D’altra
parte ritengo che il nobile sforzo di tenere scisso il piano del contenuto della
riforma costituzionale dal giudizio complessivo sul governo sia ormai inevitabilmente
destinato a fallire dal momento che la questione è stata posta fin dal principio
su un piano di voluta e ricercata confusione tra i due livelli. Credo quindi
che sia opportuno, in un contesto ormai inquinato ad arte con esplicita malizia
e a tratti usando argomentazione al limite del surreale, cercare un giusto
bilanciamento tra la prioritaria analisi dei contenuti e qualche considerazione
più generale sul governo Renzi e gli effetti dell’esito referendario.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Darò
qui spazio, tuttavia, nella quasi totalità delle argomentazione, ai soli
contenuti della riforma, riservando solo pochissime battute finali agli aspetti
collaterali del contesto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Premetto
che ho faticato molto a costruirmi un’idea coerente e definitiva sulla riforma
costituzionale, da cui discende questo intervento senza dubbio tardivo rispetto ai tempi di riflessione.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Fin dal principio del dibattito avevo colto alcune delle
negatività generali dello spirito delle modifiche proposte ma ho impiegato
molto tempo per capire in modo definitivo alcuni meccanismi concreti da cui
esse dipendevano. Ringrazio per questo tutte le persone con cui ho avuto modo
di dibattere che hanno arricchito la mia capacità di giudizio a partire da
alcuni meccanismi giuridici non immediatamente comprensibili.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
riforma investe aspetti molto diversi e purtroppo il quesito referendario è
unico. Si tratta di una circostanza a mio avviso molto grave che ha reso il
dibattito molto più confuso di quanto sarebbe potuto essere se le questioni
fossero state trattate separatamente. Perché di questioni separate si tratta
anche se ideologicamente presentate come pezzi di un unico sforzo legislativo
teso alla semplificazione, alla governabilità e al risparmio (i tre mantra
ideologici dei propugnatori della riforma).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
primo aspetto toccato, il più discusso sicuramente, è la trasformazione del
senato della Repubblica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
riforma, come noto, prevede che il Senato si trasformi in una sorta di camera
delle autonomie territoriali non più eletto direttamente dal popolo, ma scelto,
con modalità al momento non specificate, dai consiglieri regionali. <o:p></o:p><br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-GjxyiLdVUT8/WELhepM0pmI/AAAAAAAABMc/wcoVPSq_-68QWTLM6H0pxyjIeprc5pKUQCLcB/s1600/madama_facciata01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="277" src="https://2.bp.blogspot.com/-GjxyiLdVUT8/WELhepM0pmI/AAAAAAAABMc/wcoVPSq_-68QWTLM6H0pxyjIeprc5pKUQCLcB/s400/madama_facciata01.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Quand’anche,
tramite legge ordinaria, dovesse essere successivamente prevista una scelta
diretta sulla scheda elettorale al momento delle elezioni regionali, le
criticità del nuovo senato rimarrebbero fortissime. Mi sembra che siano almeno
cinque: in primo luogo la confusione di ruoli tra consiglieri regionali o
sindaci e senatori della repubblica che comporterebbe con altissime probabilità
serie difficoltà nell’onorare con pari dignità e dedizione due compiti così
complessi e diversi. In secondo luogo la mancanza di un vincolo di mandato da
parte del consiglio regionale nei confronti del consigliere e-o sindaco destinato
a ricoprire il ruolo di senatore. Ovvero il senatore non andrebbe in alcun modo
a rappresentare in quanto tale le istanze dell’ente locale di provenienza,
circostanza da cui emerge una lampante contraddizione tra l’idea di un senato
dei territori e l’effettiva pratica di un senato che avrà tutt’altra funzione.
In terzo luogo, a conferma di questa contraddizione appena menzionata, le
funzioni assegnate al nuovo senato sono in parte riferite ad aspetti del tutto
estranei alla cura degli interessi territoriali: in particolare un generico
concorso alla funzione legislativa in quanto tale e il recepimento delle
normative europee (su questo aspetto torneremo più in là). In quarto luogo,
indipendentemente da come concretamente si realizzerà la modalità elettiva dei
senatori, la previsione dei 100 senatori totali divisi per regione in un numero
predeterminato renderà di fatto maggioritario il sistema di selezione in
particolare nelle regioni più piccole. Se infatti una Regione può esprimere al
massimo 2 senatori è evidente che essi debbano essere scelti in modo
proporzionale ai voti ottenuti da ciascuna forza politica alle elezioni
regionali. Su un numero di 2 verranno eletti al limite i 2 senatori che
rappresentano i primi due partiti rappresentati con una sistematica esclusione
degli altri partiti. In definitiva, indipendentemente dalle modalità elettive
ed indipendentemente dal sistema elettorale retrostante previsto per le
elezioni regionali, il senato verrebbe comunque eletto tramite un sistema
maggioritario (o quasi) di fatto con una grave perdita di proporzionalità della
rappresenta. E, cosa più grave, ciò continuerebbe ad essere vero
(costituzionalmente) anche se venisse modificata un domani la legge elettorale
in senso puramente proporzionale (sia la legge nazionale che quelle regionali).
Insomma si tratta di una costituzionalizzazione di un metodo elettivo
quasi-maggioritario. Un elemento di fortissima importanza.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
E’
su questo punto che interviene il legame profondo tra la riforma costituzionale
e la legge elettorale e su questo vale la pena spendere qualche parola.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
legge elettorale Italicum approvata nel Luglio di quest’anno, è una legge
ibrida, un proporzionale sulla carta, ma con fortissima correzione
maggioritaria. Al partito che dovesse prendere il 40% dei consensi andrebbe
infatti un premio di maggioranza che lo porterebbe al 54% dei parlamentari
eletti. In caso di non raggiungimento del 40% da parte di nessuna coalizione o
partito, la situazione diverrebbe ancor più lesiva della proporzionalità. Si
andrebbe infatti ad un ballottaggio tra le prime due formazioni e la vincente
otterrebbe il premio di maggioranza suddetto. Ragion per cui un partito o
coalizione che al primo turno abbia ottenuto ad esempio il 25% (soglia molto
realistica in un sistema pluripartitico) di consensi potrebbe ottenere in
parlamento il 54% dei deputati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
promessa di rivedere l’Italicum in caso di vittoria del SI alla riforma
costituzionale è quanto meno beffarda e suona come una tardiva moneta di
scambio per sopire i contrasti interni al Partito democratico. Ciò che è invece
chiara è la logica che accomuna l’Italicum e la riforma del senato, ovvero la
spinta verso un sistema globalmente maggioritario in cui si affievolisce la
rappresentanza fino a ridicolizzarla in nome della governabilità. Da
proporzionalista convinto non posso che vedere con grande pericolo il connubio
riforma costituzionale e legge elettorale che si andrebbe delineando <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Rigettare
la riforma costituzionale da questo punto di vista è anche, indirettamente, un
chiaro segnale di disapprovazione della legge elettorale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Infine,
in ultimo luogo, tornando alle competenze di cui il nuovo senato si dovrebbe
fare carico, non può passare inosservata la previsione di competenza in merito
alla traduzione delle direttive europee nella legislazione nazionale. Un senato
costituzionalmente rinchiuso in una logica maggioritaria (ripeto:
costituzionalmente e non in dipendenza da una legge elettorale modificabile a
maggioranza semplice), quindi di fatto ostaggio dei partiti più forti, viene
investito di una delle funzioni più critiche e sensibili di questi tempi: il
delicato rapporto tra leggi nazionali e ordinamento comunitario. I vincoli
espressi dai trattati europei<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dalla fine
degli anni ’80 in poi sono a mio avviso il problema più serio che abbiamo di
fronte a noi e che impedisce una seria ricostruzione di una pratica politica
emancipativa, che rimetta al centro della scena un differente modo di intendere
i rapporti di produzione, la distribuzione del reddito e in generale ogni
relazione sociale, economica e persino morale che investe concretamente la
nostra vita. Non penso quindi che sia casuale l’attribuzione di rilevanti
poteri ad una camera, come si prospetterebbe essere il nuovo senato, così
facilmente dominabile dai grandi partiti, così poco trasparente nella sua
eleggibilità, così facilmente manipolabile data la stratificazione dei ruoli
rivestita dai suoi protagonisti. E’ chiaramente un tentativo di accentuare il
carattere già terribilmente ovattato dei rapporti tra normativa comunitaria e
legge nazionale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Questo
è il significato più profondo del termine governabilità ostentato dal governo e
dai fautori della riforma: l’accelerazione dell’approvazione di provvedimenti
impopolari di cui è bene che si sappia il meno possibile. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
conclusione la parte della riforma relativa al nuovo Senato è negativa poiché il
nuovo Senato sarebbe composto da membri che rivestono cariche a mio avviso
incompatibili nella sostanza; questi ultimi sarebbero eletti in modo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">costituzionalmente </b>maggioritario
escludendo a priori i partiti meno forti; le competenza sono in buona parte
incoerenti con l’idea espressa di camera delle autonomie territoriali e
investono il delicatissimo rapporto tra normativa comunitaria e ordinamento
nazionale; infine l’elezione avverrebbe presumibilmente in modo indiretto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ad
accentuare la tensione tra governabilità e rappresentanza e quindi tra governo
e parlamento a favore del primo, si inserisce un secondo punto di grande
rilievo, forse meno discusso nel dibattito pubblico: il voto a data certa. Si
prevedono tempi piuttosto stretti per la presa in esame di proposte di legge
governative ritenuta, a discrezione del governo parte irrinunciabile
dell’attuazione del proprio programma. Non sono in grado di entrare
strettamente nel merito dell’adeguatezza dei tempi di discussione di leggi
complesse, ma mi sembra chiaro che la previsione di tempi fortemente limitati
si inserisca nella volontà di accentuare il ruolo decisionista del governo a
scapito della discussione parlamentare. D’altra parte, come dimostra la prassi
legislativa, alcune leggi anche rilevanti sono state approvate in tempi
ragionevoli tutte le volte che il grado di condivisione era tale da renderne
l’iter più rapido. Dipende quindi dalla volontà del parlamento e dalla
convergenza o meno dei punti di vista variegati in esso rappresentati la
velocità di approvazione di una legge. Che possano esistere tempi massimi ampli
non mi pare di per sé negativo, ma quelli dettati dal voto a data certa mi
appaiono davvero molto ristretti in relazione alla complessità e importanza di
alcune materie. Si afferma che tale provvedimento è coerente con le parallele
disposizioni di limitazione della decretazione di urgenza. Tuttavia è lo stesso
tipo di strana coerenza di chi di fronte al dilagante numero di contratti
atipici da lavoro dipendente affermavano alla vigilia del Job act che per
risolvere la precarietà del lavoro occorreva scardinare le tutele del contratto
a tempo indeterminato. Insomma per risolvere un’anomalia, anziché eliminarla,
se ne normalizza la sostanza (in questo caso, addirittura la si
costituzionalizza), evitando in tal modo di doverne giustificare almeno sulla
carta i requisiti di eccezionalità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Nel
complesso, quindi la parte rilevante di modifica dei rapporti tra governo e
parlamento, accelera il dominio del primo sul secondo sulla base della presunta
lentezza insostenibile della produzione legislativa italiana (smentita peraltro
dai dati oggettivi) sminuendo attraverso vie variegate (struttura e modalità
elettiva del senato, anche in relazione alla legge elettorale e voto a data
certa, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il ruolo della graduale e
faticosa discussione parlamentare a favore del decisionismo di governo. Si
ignora così che il vero problema del nostro paese non è certo la governabilità,
ma proprio il deficit di rappresentanza e lo scollamento tra cittadino e
istituzioni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
secondo tema rilevante della riforma costituzionale è la revisione del Titolo V.
Data la complessità notevole del tema, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>proverò
a richiamare l’essenziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
linea di principio sposo una visione moderatamente centralista dello Stato e
ritengo ad esempio del tutto errata la riforma in senso regionalista del Titolo
V della Costituzione varata nel 2001 dal centro-sinistra. Ancor più deleterio è
qualsiasi tentativo di federalismo fiscale di cui si tentò un’elaborazione
sotto la forte spinta della Lega nord durante il governo Berlusconi nel 2009.
Regionalismi e federalismi in generale tendono a minare alcune basi stabili
dell’unità e della solidarietà nazionale accentuando i differenziali di
sviluppo, creando (il federalismo fiscale) meccanismi perversi di competizione
tra regioni che finiscono per produrre fenomeni di corsa al ribasso a favore di
un ridimensionamento dello Stato sociale e abbassamento della tassazione sui
fattori più mobile (grande capitale).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Naturalmente
non sono invece contrario a forme di avvicinamento del potere di tipo
territoriale sul piano amministrativo. Anzi ritengo al contrario che la
diffusione territoriale dei centri di potere debba essere estremamente
capillare. Così come penso che alcune competenze di carattere secondario
(organizzativo, culturale, di gestione del territorio, di alcune tipologie di
beni locali etc) possano essere proficuamente devolute.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
logica filo-regionalista e filo-federalista intesa come devoluzione di
competenze rilevanti, invece, in un’ottica di spartizione competitiva del
potere centrale in potentati locali, che non condivido assolutamente, si è
iniziata ad affermare in tutta Europa in modo massiccio a partire dagli anni
’90 in perfetta concomitanza con l’ascesa di poteri sovranazionali, in
particolare con l’approvazione dei trattati europei. Il mito del “vicino è
bello” e del territorio come alternativa alla “troppo grande e dispersiva
nazione” è andato di pari passo con l’esplosione della critica della burocrazia
statale elefantiaca e con l’affermazione della ricchezza dei particolarismi.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-gcKQqAzWb3Y/WELj3nnVfPI/AAAAAAAABMs/CAcKo8ouJ9cpqV-VPDGX8s07z7tc8KQGQCLcB/s1600/reddito-italiano-medio.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="293" src="https://4.bp.blogspot.com/-gcKQqAzWb3Y/WELj3nnVfPI/AAAAAAAABMs/CAcKo8ouJ9cpqV-VPDGX8s07z7tc8KQGQCLcB/s400/reddito-italiano-medio.png" width="400" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
In
quella fase storica (anni ’90 e 2000) la moda federalista ha avuto
oggettivamente "dal basso" una funzione del tutto complementare allo
svuotamento "dall’alto" della sovranità statale per via dell’adesione a trattati
sovranazionali fortemente vincolanti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>L’orizzonte prospettato era quello di territori europei unificati in
un’ottica sovrastatale. Il grosso del potere in alto concentrato nelle
istituzioni tecnocratiche post-democratiche comunitarie e un residuo di potere
locale ideologicamente “vicino” concentrato nei territori. Nel mezzo uno Stato
sempre meno sovrano e capace di incidere sui processi economici.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Questo
schema sta cambiando nel corso degli ultimissimi anni per motivi del tutto
simili alle ragioni che lo avevano favorito fino a poco tempo fa. E proprio gli stessi sostenitori della svolta regionalista sono oggi i riformatori della ricentralizzazione. La ragione mi sembra relativamente semplice.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Se
le Regioni e in generale i poteri locali erano inizialmente viste come potere
innovatore in grado di accelerare l’alleggerimento della spesa pubblica statale
esautorando poco a poco l’ingombrante Stato novecentesco (obiettivo condiviso
dall’impostazione liberista sottesa ai trattati europei), in molti casi si sono
invece rivelate centri di resistenza a processi di riforma di politica
industriale e di politica infrastrutturale promossi dall’alto, dietro i quali
si situano interessi economici dei grandi gruppi industriali multinazionali e
interessi finanziari degli istituti bancari coinvolti nelle grandi opere (vedi ad esempio la TAV in val di Susa).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Qualcuno,
tra i contrari alla riforma, ha persino paventato un legame diretto esistente
tra la ricentralizzazione di alcune funzioni e i processi di privatizzazione
delle imprese pubbliche di livello locale che gestiscono servizi pubblici
essenziali come energia elettrica e acqua. Dopo molti approfondimenti il legame
tra i due fenomeni non mi sembra in verità così diretto. Sicuramente però la
modifica costituzionale è rilevante in merito alla decisione circa la
costruzione delle grandi infrastrutture sulle quali i poteri locali tenderanno
ad avere un potere sicuramente minore di prima. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
D’altra
parte, anche in termini di decisioni di spesa pubblica locale, questa riforma
del Titolo V va letta in continuità con la modifica, già varata dal governo
Monti nel 2012, dell’articolo 119, quando venne esplicitamente previsto,
contestualmente alla revisione dell’articolo 81 della Costituzione in tema di
pareggio di bilancio, una previsione di equilibrio di bilancio anche per gli
enti locali. Ovvero impossibilità di spesa in deficit per tutti! Ricordo tra
l’altro che l’attuale riforma prevede sistemi premianti per le Regioni
cosiddette virtuose garantendo loro maggiori margini di autonomia decisionale
su questioni determinate. Naturalmente la virtù è il raggiunto pareggio di
bilancio già previsto dall’art 119.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Mi sembra, in sostanza, che la tendenza sia quella di ridimensionare fino ad
annullare la capacità decisionale di spesa e di politica industriale degli enti
locali dal momento che si sono rivelati i meno obbedienti al corso liberista
imposto negli ultimi anni. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La posta
in gioco, in termini di proprietà pubblica locale è ancora altissima. Se è vero
che il dettato testuale della riforma non sembra al momento condizionare i
profili proprietari delle imprese pubbliche locali, tuttavia è altrettanto vero
che si muove in una direzione di ricollocazione in chiave centralista di
competenze che influenzano i processi decisionali di politica industriale, in
particolare le grandi infrastrutture (spesso poco funzionali al benessere
collettivo) che tanta opposizione hanno suscitato sino ad oggi sui territori.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Per
concludere, trovo positiva l’eliminazione che la riforma propone di quella
linea grigia di materie concorrenti tra Stato e regioni che tanta confusione
decisionale ha comportato negli ultimi anni. Allo stesso modo, in linea di
principio, una ricentralizzazione delle competenze mi troverebbe
sostanzialmente favorevole in un diverso contesto. Tuttavia il nuovo corso
centralista non deve ingannare: non si tratta affatto di una rinnovata
propulsione dirigista di uno Stato deciso a coordinare in modo universale i
processi economici nazionali, ma della traslazione del decisionismo
sovranazionale e tecnocratico in modo sempre più acritico dall’alto al basso
senza alcun intralcio.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Insomma
una buona revisione in senso centralista del Titolo V che appoggerei
incondizionatamente dovrebbe coesistere con un presupposto completamente
antitetico a quello vigente: il rifiuto della cessione dei processi decisionali
ad un livello sopranazionale post-democratico qual è oggi l’Unione europea. Solo
in quel caso avrebbe senso discutere di competenze statali e competenze locali.
Dato invece lo stato di cose attuale, ogni ricollocazione del potere verso
l’alto tenderà a tradursi in una mera velocizzazione dell’applicazione della
cosiddetta governance sovra-nazionale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Vi
sono altri aspetti della riforma di minore impatto sui quali sospendo il
giudizio poiché non sono riuscito ad averne un’idea chiara, come l’abolizione
del CNEL o le altre modifiche minori apportate ad altri aspetti istituzionali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Per
concludere il ragionamento nel suo complesso, vengo all’aspetto più contingente
della riforma, quello attorno al quale si sono scatenati le peggiori nefandezze
comunicative da parte dei sostenitori del SI e che è stato a tratti malamente
cavalcato anche dai sostenitori del NO. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
voto, per la volontà di Renzi e del governo, è diventato un voto a favore o
contro il governo. Questo è di per sé molto grave. Se, in caso di diversi
contenuti, fossi stato favorevole alla riforma costituzionale, infatti, mi sarei
trovato in grave difficoltà di fronte alla personalizzazione del conflitto che
inevitabilmente (inutile negarlo) avrà conseguenze sulla forza dell’azione di
governo nel dopo referendum.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Avendo
un giudizio molto negativo dell’operato del governo Renzi mi trovo in una
situazione relativamente comoda di coincidenza tra contrarietà alla riforma e
aspetto politico del voto. Non credo sia un caso, poiché, come premesso
nell’incipit, lo spirito che anima la riforma mi sembra del tutto coerente con
i modi di agire e i contenuti dell’azione del governo in carica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-JlXxKQlghgk/WELcOZcMeMI/AAAAAAAABMI/W-Ndkg5PubYtrlRBIZRz-NoXcPvwpzMdACLcB/s1600/Governo%2BRenzi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://2.bp.blogspot.com/-JlXxKQlghgk/WELcOZcMeMI/AAAAAAAABMI/W-Ndkg5PubYtrlRBIZRz-NoXcPvwpzMdACLcB/s640/Governo%2BRenzi.jpg" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Decisionismo
ostentato, cultura del fare contro i lacci e lacciuoli della burocrazia,
innovazione, modernità, governance efficiente. Miti e ideologie di modi e
maniere che si applicano sul piano sostanziale a contenuti assolutamente
regressivi sul piano sociale segnati da riforme (lavoro, scuola in primis)
tutte protese a favorire la classe sociale dominante e a promuovere un’idea di
società lontana anni luce da quella che immagino come migliore, in perfetta e
logica continuità con le politiche che hanno animato i governi dal principio
degli anni ’90 (di centro sinistra e di centro-destra alla stessa maniera). Di questa
continuità dovrebbero essere consapevoli gli attuali critici del governo Renzi
(di destra, centro-destra e centro-sinistra) che oggi si scoprono anti-renziani
dopo aver appoggiato il lungo ciclo di provvedimenti che hanno stravolto il
nostro paese dagli anni ’90 ad oggi. Potrebbe essere questa la migliore occasione per rivedere una storia giudicata fino ad oggi con troppa clemenza nel migliore dei casi o totale accondiscendenza nel peggiore.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ai motivi di contrarietà alla riforma, intriseci e politici-contingenti, si potrebbero anche aggiungere l’arroganza di una riforma costituzionale
imposta senza una larga maggioranza parlamentare, da parte di un governo
divenuto tale grazie ad una legge elettorale beffarda considerata incompatibile
con la stessa Costituzione. Ma si tratta di argomenti così noti da diventare
ripetitivi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Un
ultimissimo aspetto va però indagato per una seria disamina dello scempio
comunicativo avvenuto negli ultimi mesi. Si tratta di un punto molto rilevante
per comprendere le dinamiche con cui agisce il sistema di potere per ottenere
consenso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
conclamata identificazione dell’esito della riforma con l’appoggio o meno al
governo o, ancor di più, alla stessa figura personale del Presidente del Consiglio
(o con me o contro di me) è già di per sé qualcosa di esecrabile e improprio dal momento che si sta parlando di una riforma di carattere costituzionale. E' tuttavia politicamente comprensibile che ciò avvenga.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Molto più esecrabile, anzi delinquenziale sul piano politico e culturale, è
la martellante propaganda nazionale e internazionale, così simile a quanto
avvenuto alla vigilia del voto per la Brexit nel Regno Unito, che ha dipinto
scenari apocalittici in associazione all’esito referendario condizionando gli
umori degli elettori, in particolare dei più vulnerabili e dei meno attrezzati
e informati. Lo spauracchio di un governo tecnico, del fallimento delle banche,
l’agitazione dello spettro dell’avanzata dei populismi (sfruttando anche la
vittoria negli USA di Trump) l’insistenza mediatica sull’inaffidabilità dei
personaggi più o meno grotteschi che condiscono la variopinta opposizione contro
Renzi, è stato qualcosa degno delle migliori strategie comunicative dei sistemi
totalitari. L’arma del ricatto psicologico e del terrorismo mediatico del
resto, negli attuali contesti occidentali è divenuta l’arma fondamentale del
consenso alternativa e ben più efficace nel lungo periodo del manganello. Ed è
quest’arma che fonda la strategia comunicativa alla base di ogni controriforma
spacciata come necessaria dai suoi proponenti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Sono
almeno trent’anni che lo spaventoso ciclo di controriforme economiche e sociali
viene presentato come inevitabile per evitare scenari spaventosi e
apocalittici, spread, giudizio dei mercati e altre amenità completamente
inesistenti o, se esistenti, pienamente modificabili a loro volta dalla stessa
azione della politica sovrana.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Qualsiasi
persona che abbia a cuore la salute di un sistema di decisione democratica deve
provare a sottrarsi agli effetti di quest’arma micidiale e per quanto possibile
cercare di ragionare nel merito e nella verità di ogni cambiamento politico, riforma
o evento. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Torniamo
a discutere su ciò che è buono e ciò che è cattivo senza ascoltare le menzogne
assordanti di chi agita lo spettro dei cataclismi finanziari o del populismo
montante. L’alternativa è la morte della politica e l’abbraccio inconsapevole e
mortale alla spietata logica della <i>governance</i> tecnica, questa sì il vero totalitarismo
del presente che sta distruggendo il pluralismo e la capacità di pensare.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<o:p><br /></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
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<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
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<br /></div>
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<!--StartFragment-->
<!--EndFragment--><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-64125634452339972032016-05-04T13:27:00.002-07:002016-05-04T14:03:27.912-07:00TTIP e liberoscambismo. Considerazioni sulla sovranità economica e il conflitto sociale in un contesto di economia aperta<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-MNORW4wBgyA/VypbK6SyPRI/AAAAAAAAAzE/xFurq0vsnb0BQOgVDXJPhm-yDF0754HdACLcB/s1600/Stop%2BTTIP.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="242" src="https://3.bp.blogspot.com/-MNORW4wBgyA/VypbK6SyPRI/AAAAAAAAAzE/xFurq0vsnb0BQOgVDXJPhm-yDF0754HdACLcB/s400/Stop%2BTTIP.jpg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<br />
di Lorenzo Dorato</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Finalmente da qualche settimana si parla anche in Italia in
modo più cosciente, limitatamente, sia chiaro, ai canali informativi più di
nicchia, del TTIP: il Transatlantic Trade and Investment Partnership,
trattato di libero commercio in via di sottoscrizione tra Unione europea e
Stati Uniti.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A grandi linee e al netto delle valutazioni quantitative
specifiche, lo spirito, le intenzioni e gli obiettivi che muovono il trattato,
nonché i suoi effetti distributivi sono evidenti, prevedibili e di grave portata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il trattato è un tassello molto rilevante di quel vasto
processo di apertura indiscriminata delle economie nazionali agli scambi con
l’estero avvenuto negli ultimi 30-40 anni. Per capirne la portata e le conseguenze vale dunque la pena
ripercorrere brevemente la storia e la logica di tale processo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A partire dagli anni ’70 e ’80 del ‘900 in gran parte delle
aree del mondo si è realizzata una progressiva liberalizzazione dei movimenti
di merci e capitali che ha privato gli Stati della sovranità sostanziale,
ovvero della capacità di incidere in modo effettivo sui processi economici
fondamentali interni ad un paese: la distribuzione del reddito, il sentiero di
sviluppo economico e industriale prescelto, la tutela dei diritti del lavoro,
dell’ambiente e del paesaggio, la scelta di un sistema tributario ritenuto equo,
la difesa di principi etici considerati inviolabili. In sostanza, l’apertura
indiscriminata agli scambi con l’estero mette a repentaglio, in nome della
libertà economica, la libertà di uno Stato, ovvero di una collettività, di
stabilire quali debbano essere i limiti alla libertà economica individuale al
fine di tutelare valori ritenuti superiori: la giustizia sociale, l’uguaglianza
sostanziale, la deontologia professionale, la dignità della persona, l’etica
pubblica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In un’economia aperta si innescano infatti quei noti
fenomeni di concorrenza al ribasso sui diritti sociali, sulle aliquote fiscali,
sulla tutela della qualità dei prodotti e sulle norme di regolamentazione dei
mercati, dovuti all’insostenibile concorrenza tra merci prodotte in contesti
normativi differenti (conseguenza della liberalizzazione dei movimenti di
merci) e al permanente ricatto della delocalizzazione produttiva da parte delle
imprese (conseguenza della liberalizzazione dei movimenti di capitale).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
All’interno dell’area UE, l’integrale liberalizzazione dei
movimenti di merci e capitali (avvenuta tra il 1968 e il 1988), ha già prodotto
da anni (specie in un’Europa eterogena qual è quella a 27 paesi realizzata a
partire dall’inizio del nuovo secolo) una spaventosa concorrenza al ribasso sui
costi sociale della produzione (diritti e norme di regolamentazione). Le
conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: massiccia delocalizzazione di
attività economiche in paesi a fiscalità privilegiata e con bassi salari e
spinta verso l’allentamento delle normative salariali e di regolamentazione nei
paesi a più alte tutele. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Contemporaneamente un processo di liberalizzazione tra
l’area UE e i paesi terzi sta svolgendo esattamente la stessa funzione:
indebolire la sovranità degli Stati sui processi economici e innescare una
corsa al ribasso sui diritti sociali e sui vincoli posti al funzionamento del
mercato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si faccia attenzione: il libero scambio non esautora la
sovranità degli Stati in modo uniforme. Accentua invece la gerarchia del potere
sovrano tra Stati economicamente forti e dominanti e Stati economicamente meno
forti. La cosiddetta “globalizzazione dei mercati” non è un processo neutrale e
diffuso in cui il mercato vince contro gli Stati nella loro generalità e
l’economia esautora la politica dal proprio ruolo decisionale. La
globalizzazione, o meglio dire l’integrale liberalizzazione degli scambi con
l’estero, erode selettivamente le sovranità economiche accentuando le
disuguaglianze internazionali e concentrando negli Stati che ne controllano e
guidano il processo il potere economico a danno degli anelli più deboli. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Come egregiamente spiegato da diversi storici dell’economica
(in particolare è illuminante l’analisi di Giovanni Arrighi sui cicli sistemici
di accumulazione capitalistica) le formazioni statali che hanno nei secoli
dominato i lunghi cicli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di accumulazione
(dall’Olanda del ‘600 alla Gran Bretagna del ‘700-‘800 fino agli Stati Uniti
dal 1918 ad oggi), hanno da sempre attuato politiche protezionistiche nella
fase della propria industrializzazione nascente e del proprio sviluppo endogeno
per poi imporre, una volta raggiunta una solida posizione predominante, la norma
del libero scambio al resto del mondo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il libero-scambismo, pertanto, oltre ad essere, in quanto
generalizzazione “internazionale” del liberismo economico, l’ideologia
dell’esautorazione della politica a vantaggio dei processi economici globali
anonimi, nei fatti è un duplice micidiale strumento di dominio: da un lato è il
mezzo con cui la formazione economica dominante, attorno a cui ruotano gli
interessi capitalistici più solidi, indebolisce il potenziale concorrente e
soggioga le economie deboli in via di sviluppo; dall’altro è il mezzo con cui
gli interessi capitalistici, all’interno di tutti gli Stati interessati dal processo, riescono ad imporsi contro la resistenza dei lavoratori (ricatto della
delocalizzazione e oggettiva insostenibilità della concorrenza di merci
prodotte in condizioni normative troppo differenziate).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il libero scambio è quindi simultaneamente un potente mezzo
della lotta di classe mossa dal capitale contro il lavoro e del conflitto tra
capitali più forti e capitali più deboli.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
il libero-scambismo ha infine una conseguenza culturale e
politica di vasta portata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In un contesto di economia indiscriminatamente aperta
l’effettività delle opzioni politiche democraticamente discusse e proposte dai
cittadini si restringe drammaticamente. Le opzioni non liberiste, o persino le
opzioni soltanto moderatamente liberiste, tese a porre dei limiti alla libertà
economica individuale, diventano infatti prive di effettività in quanto
contraddette da vincoli apparentemente oggettive che le rendono di fatto
impraticabili. Ciò conduce inevitabilmente ad un senso di impotenza e
frustrazione politica e sindacale che incrementa, per una sorta di processo di
autolimitazione indotta, la forza stessa del vincolo esterno.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Una delle ragioni dell’evidente fallimento delle opzioni
critiche dell’attuale capitalismo nel panorama politica europeo degli ultimi 20
ani è dovuta proprio alla difficoltà che nel corso degli anni ’90 e 2000 molte
forze politiche hanno riscontrato nel criticare prioritariamente e senza
compromessi la norma del libero-scambio internazionale e i processi di
integrazione dei mercati a partire proprio dalla stessa formazione dell’Unione
europea.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-fdi-AP3_-sA/VypcJZp5FLI/AAAAAAAAAzM/FNptN8SzckUY5PDfg3bebAlJ8o_GHcGigCLcB/s1600/We%2Bwant%2BTTIP.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="268" src="https://1.bp.blogspot.com/-fdi-AP3_-sA/VypcJZp5FLI/AAAAAAAAAzM/FNptN8SzckUY5PDfg3bebAlJ8o_GHcGigCLcB/s400/We%2Bwant%2BTTIP.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ebbene, fatte queste premesse generali di contesto, passiamo ad una breve analisi del TTIP.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il Trattato si inscrive perfettamente nella logica generale
appena richiamata rafforzandola e portandola all’esasperazione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il TTIP a grandi linee prevede due vaste aree di intervento.<br />
<span style="text-indent: -18pt;">In primo luogo mira all’abbattimento pressoché
totale (con alcune eccezioni che si stanno discutendo nel processo di contrattazione)
delle barriere tariffarie e soprattutto non tariffarie tra Stati Uniti ed
Unione europea, ovvero quelle barriere che includono contingentamenti delle
importazioni e vincoli sulla qualità dei prodotti importabili).</span><br />
<span style="text-indent: -18pt;">In secondo luogo prevede meccanismi per cui le
grandi imprese multinazionali possono citare in giudizio uno Stato per danni
economici in tutti i casi in cui ritengano che l’azione pubblica abbia leso i
propri diritti magari semplicemente per una diminuzione del livello dei profitti
dovuta all’approvazione di qualche normativa di pubblico interesse. Il giudizio
suddetto sarebbe vagliato da un collegio arbitrale privato estraneo alla
giustizia ordinaria.</span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Entrambe le misure conducono a numerose conseguenze di
estrema gravità. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In primo luogo, coerentemente con i principi del libero
scambio, conducono ad una competizione al ribasso sulle componenti di costo
sociali, ambientali e di regolamentazione, mettendo in crisi le economie dei
paesi europei che hanno livelli di regolamentazione dei mercati mediamente
assai più elevati rispetto a quelli vigenti negli Stati Uniti. Ciò potrebbe
riguardare le normative relative alla qualità dei prodotti (presenza di
prodotti agricoli OGM e di trattamenti ormonali delle carni ad esempio), il
rispetto dei diritti del lavoro (gli USA non hanno mai sottoscritto alcune
raccomandazioni e convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro),
il rispetto dell’ambiente (la regolamentazione nord-americana è mediamente
assai più permissiva di quella europea). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Inoltre, in assenza di accordi chiari sulla trasparenza
informativa relativa ai prodotti esportati (ancora non è emerso se si riuscirà
a trovare dei punti di compromesso su questo aspetto) non soltanto entreranno
massicciamente sul mercato europeo prodotti di qualità inferiore (ciò è
flagrante per il cibo), ma sarà altresì ridotta la possibilità di
un’informazione chiara sulle caratteristiche dei prodotti venduti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Le conseguenze economiche di questa tendenza sono chiare: le
merci nord-americane risulteranno più competitive mettendo in crisi la
produzione europea, provocando (come alcuni studi ritengono realistico) un
aumento della disoccupazione nei settori più esposti alla concorrenza USA e
spingendo i governi europei ad una maggiore deregolamentazione dei mercati per
riallinearsi alle esigenze di competitività.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>A tutto discapito dunque dei cittadini e dei lavoratori.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per quanto riguarda invece la possibilità di citazione in
giudizio degli Stati da parte delle multinazionali, ci troviamo di fronte ad
una misura di profonda gravità che darebbe luogo a quella definitiva
sottomissione della società intera nel suo insieme ad interessi economici di
piccole oligarchie capaci di determinare la vita di milioni di persone. Di che
si tratta? Una società nord-americana che investe in un paese europeo sarebbe
garantita da eventuali danni ricevuti per via di una qualsivoglia azione
legislativa promossa da uno Stato europeo che si dimostri aver determinato un
pregiudizio economico all’impresa. Se uno Stato ad esempio volesse modificare
la propria legislazione ambientale in senso maggiormente protettivo o elevare
gli standard di protezione del lavoro si troverebbe a dover rimborsare la
società multinazionale che sta subendo una riduzione dei profitti. O ancora se
uno Stato volesse ri-nazionalizzare o un ente locale ri-municipalizzare un
settore produttivo precedentemente privatizzato si troverebbe a dover
fronteggiare non solo le classiche spese di rimborso da esproprio, ma anche i
danni economici aggiuntivi causati alle società che operano in quel settore. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La sottomissione ad arbitrati internazionali privati
estranei alla legge ordinaria non è una novità assoluta e già conosce casi
celebri (come la citazione in giudizio dello Slovacchia da parte di una
Multinazionale olandese di assicurazione sanitarie Achmea per aver
rinazionalizzato il servizio precedentemente privatizzato). Tuttavia nel TTIP
questa logica sovranazionale verrebbe accentuata e ulteriormente garantita nei
rapporti tra multinazionali nord-americane e Stati europei. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Di fatto questa misura avrebbe come esito quello di
condizionare pesantemente la libera azione degli Stati, blindando i processi di
liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici e impedendo eventuali
progressi nella legislazione sul lavoro ambientale e di regolamentazione dei
mercati.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’insieme di questi provvedimenti comporterebbe dunque
un’ulteriore drastica limitazione di fatto della capacità degli Stati (già
compromessa dall’adesione ai trattati UE) di intervenire in settori rilevanti
del proprio sistema economico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un ulteriore elemento di preoccupazione è l’elevato valore
geopolitico rivestito dal TTIP, tentativo statunitense di rafforzare il
controllo dei paesi europei, ciliegina sulla torta del conflitto che oppone gli
USA alle economie emergenti costituite dai cosiddetti BRICS. Dinamica ben
spiegata in questo articolo <a href="http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=125810">http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=125810</a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Infine ad ulteriore lampante conferma del fatto che non
esistono interessi condivisi e coesi (neanche capitalistici) tra Stati europei,
va rimarcato il fatto che il processo di contrattazione, segreto e chiuso al
dibattito pubblico, è stato prevalentemente gestito dalla Germania che ha cercato
di tutelare i propri specifici interessi cercando di far ricadere le maggiori
conseguenze negative del trattato di libero scambio sugli altri paesi, come ben
spiegato in questo articolo di due anni fa: <a href="http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2014/3/2/GEO-FINANZA-Il-trattato-segreto-che-mette-in-palio-Europa-e-Italia/473929/">http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2014/3/2/GEO-FINANZA-Il-trattato-segreto-che-mette-in-palio-Europa-e-Italia/473929/</a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In definitiva, l’adesione al TTIP rivela ancora una volta la
natura tecnocratica, classista e asimmetrica dell’Unione europea, creazione
istituzionale che, senza dare luogo ad alcuna forma di sovranità politica
superiore e partecipata, ha sottratto agli Stati la propria capacità di
incidere sul sistema economico promuovendo con pervicace insistenza un
paradigma di politica economica ultra-liberista che ha dato vita ad uno dei
processi più clamorosi di redistribuzione regressiva del reddito (dai poveri ai
ricchi) mai verificatosi nella storia recente. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Con il TTIP e con tutti i trattati di libero-scambio
internazionali promossi dalla UE ciò che già è stato compiuto all’interno
dell’Europa, ovvero la totale integrazione economica in assenza di integrazione
politica, si generalizza ai rapporti con gli Stati terzi, in questo caso gli
Stati Uniti, incrementando il ruolo di subordinazione dell’Europa a questi
ultimi e alimentando i meccanismi economici e sociali perversi tipici di
un’area di libero scambio con l’aggravante di esplicite previsioni di
soggezione dirette degli Stati (meccanismi di giustizia sovra-nazionale) alla
volontà di profitto delle multinazionali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tutte ragioni che invitano caldamente a prendere coscienza
della gravità del trattato discusso e della necessità di far sentire voci
dissenzienti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Una buona occasione per farlo è la manifestazione promossa a
Roma Sabato 7 Maggio dal Comitato NO TTIP.<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
https://stop-ttip-italia.net/7-maggio/<br />
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-38784766805456227232015-12-27T11:30:00.000-08:002015-12-27T03:02:36.630-08:00Elezioni politiche spagnole 20 Dicembre 2015: quali prospettive dalla caduta del bipartitismo?<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-gzrQH8PdLIw/Vn-7KEfZYOI/AAAAAAAAAkA/pVvQCGK0ekI/s1600/Mappa%2Bantica%2BSpagna.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="305" src="http://3.bp.blogspot.com/-gzrQH8PdLIw/Vn-7KEfZYOI/AAAAAAAAAkA/pVvQCGK0ekI/s400/Mappa%2Bantica%2BSpagna.jpg" width="400" /></a></div>
Domenica 20 Dicembre si sono tenute le elezioni politiche nazionali in Spagna.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il risultato vede un sostanziale equilibrio di forze il cui esito in termini di formazione di un possibile governo rimane ancora molto incerto.</div>
<div style="text-align: justify;">
Al Partido Popular è andato il 28,7% dei consensi, al Partido Socialista Obrero il 22%, a Podemos il 20,6%, a Ciudadanos il 13,9, a Unidad Popular (Izquierda Unida) il 3,67%. Sotto al 3% (a livello nazionale) le forze nazionaliste catalane, basche e galiziane.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il primo elemento che risalta è ovviamente la decisa rottura del bipartitismo PPE (Partido Popular espanol) - PSOE (Partido Socialista Obrero Espanol). Il bipartitismo ha segnato in Spagna più che in altri paesi europei la storia degli ultimi 30 anni confermando la "deriva anglosassone" assunta dalla vita politica dei paesi continentali e mediterranei dagli anni '90 in poi, in concomitanza con il consolidamento di politiche sempre più uniformi gestite da una classe politica omogenea divisa al suo interno da elementi prevalentemente formali.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<a name='more'></a><br />
La storia spagnola è in realtà peculiare, poiché elezioni democratiche rappresentative e pluripartitiste si svolgono dal 1975 dopo la morte di Francisco Franco. Già dagli anni '80 si sviluppa un bipartitismo forte soltanto appena scalfito dai miglior risultati elettorali del Partido Comunista e poi di Izquierda Unida dopo il 1986, con circa il 10% dei consensi.<br />
Ma l'affermazione del bipartitismo dell'omogeneità sostanziale tra i due partiti ha luogo a partire dalla fine degli anni '80 - primi anni '90 quando il Partido Socialista Obrero assume in modo definitivo una deriva neo-liberale contraddicendo alcuni spunti di politica interna socialdemocratica realizzati invece nel corso degli anni '80.</div>
<div style="text-align: justify;">
Da allora, la cosiddetta alternanza tra PPE e PSOE ha significato la realizzazione di due varianti di una stessa politica economica, quella stabilita dal trattato di Maastricht del 1992, imposta dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale del 1988 e confermata dai successivi trattati e direttive europee in tema di politiche fiscali e industriali. In una parola: il paradigma neo-liberale.</div>
<div style="text-align: justify;">
La doppia legislatura di Aznar 1996-2004 diede un colpo definitivo al già avviato smantellamento dell'impresa pubblica, dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori. A ciò si aggiunse una politica estera disastrosa appiattita sugli interessi nord-americani che trascinarono la Spagna nel conflitto afghano e in modo unilaterale (fuori dalla cornice ONU) nella guerra contro l'Iraq. Seguirono 8 anni di governo PSOE di Zapatero, salutato da molte sinistre confusionarie europee come momento rivoluzionario di rottura, in realtà variante culturale libertaria dell'applicazione del paradigma neo-liberale in piena continuità con la politica economica del precedente periodo.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'ottennio di Zapatero si è caratterizzato per la continua enfasi data ai provvedimenti di stampo liberale in materie cosiddette "etiche" (diritti omosessuali, aborto etc), mentre silenziosamente si dava attuazione ad un programma economico di precarizzazione del mercato del lavoro e liberalizzazione finanziaria all'insegna della terza via Blairiana e del superamento (oltre che pratico anche esplicitamente ideologico) della socialdemocrazia tradizionale novecentesca. Allo stesso tempo si concedeva crescente spazio ai nazionalismi regionali con l'approvazione di un nuovo statuto speciale per la Catalogna e l'approfondimento delle disuguaglianze territoriali.</div>
<div style="text-align: justify;">
La profonda crisi in cui l'economia spagnola è precipitata dal 2008 con una forte crescita della disoccupazione, ha segnato il successivo passaggio di governo a favore di un nuovo quasi-ottennio del Partido Popular questa volta liderado da Mariano Rajoy. Stessa musica, stesse politiche neoliberali, al di là delle apparenze estetiche e delle differenze stilistiche di esecuzione.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il governo Rajoy altro non ha fatto che gestire gli anni dell'approfondimento delle politiche di austerità europea in piena concordanza con quanto avvenuto in tutti gli altri paesi (in particolare i cosiddetti PIIGS).</div>
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E arriviamo così ad oggi, in una Spagna afflitta da una crisi economica di gravissime proporzioni con un tasso di disoccupazione che nel 2013 aveva toccato il livello impressionante del 25,7% per poi ridiscendere appena sotto al 24% nel 2014 e attorno al 22-23% nel 2015. Un paese economicamente e socialmente allo stremo, in cui i governi hanno reagito alla crisi applicando pedissequamente le misure di austerità volute dall'Unione europea che hanno aggravato di anno in anno la situazione. Il tutto nel contesto di una generale pregressa deindustrializzazione già in corso dagli anni '80 e '90 che ha reso il tessuto produttivo spagnolo estremamente fragile e vulnerabile. Questo quadro generale è reso ancora più precario da una frammentazione interna sempre più esasperata dalle pulsioni del nazionalismo regionale, culminate nel tentativo di dare alle elezioni regionali catalane di Settembre 2015 un significato di referendum su una possibile secessione.</div>
<div style="text-align: justify;">
In questo clima complessivo nascono e si consolidano i due partiti alternativi alla dinamica bipartitista: Podemos e Ciudadanos.</div>
<div style="text-align: justify;">
Il primo, espressione politica della protesta contro le misure di austerità e la crisi economica e sociale raccolta nel movimento degli Indignados nato dalla manifestazione del 15 Marzo 2011.</div>
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Il secondo, espressione di una protesta anti-corruzione, contro i vecchi partiti, ma di stampo schiettamente liberista.</div>
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Podemos si presenta, quindi, come movimento di critica del capitalismo, in particolare del capitalismo attuale nella sua forma neo-liberale, ma come vedremo, appare segnato da contraddizioni e debolezze programmatiche non secondarie.</div>
<div style="text-align: justify;">
Ciudadanos si presenza invece come la versione pulita e rinnovata del liberismo più puro, andando, in tale direzione, ben oltre il programma economico degli stessi Ppe e Psoe.</div>
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-X3bn2iaDFlE/Vn-7WuiUO6I/AAAAAAAAAkI/5EQe23quVNk/s1600/Elezioni%2BSpagna%2Bpartiti%2B.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="226" src="http://3.bp.blogspot.com/-X3bn2iaDFlE/Vn-7WuiUO6I/AAAAAAAAAkI/5EQe23quVNk/s400/Elezioni%2BSpagna%2Bpartiti%2B.jpg" width="400" /></a></div>
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Vale la pena spendere qualche parola in più sulla natura e il programma politico di Podemos, sul destino di Izquierda Unida al cospetto dell'ascesa di questa nuova forza e sulle prospettive di una possibile discontinuità, quanto meno nei termini dell'esistenza di un'opposizione forte, nella vita politica spagnola.<br />
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Podemos nasce come movimento che unisce elementi di critica generalista "contro la corruzione e la vecchia politica affarista" in nome di una nuova iper-democrazia partecipata, ad un'impostazione di critica più approfondita dei meccanismi economici della società capitalistica. Non a caso una parte cospicua dei suoi fondatori proviene dalla formazione movimentista trotzkista "izquierda anticapitalista". In un certo senso quindi può essere inquadrato come una via di mezzo tra il nostrano movimento cinque stelle e un partito di sinistra anticapitalista radicale contemporaneo.</div>
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La sua forza, che lo ha portato ad ottenere in pochi anni il successo elettorale attuale, è stata quella di portare argomenti di protesta di buon senso in modo non settario nel dibattito pubblico, sfruttando un linguaggio capace di fare breccia non solo sui gruppi sociali tradizionalmente ideologizzati ma anche su strati più larghi di popolazione esasperata da anni di crisi economica e incapacità reattiva dei governi. Lo ha fatto usando argomenti populisti, non c'è dubbio! Ma il populismo, utilizzato oggi come categoria dispregiativa per colpire chiunque metta in discussione il paradigma dominante, è invece una cosa ottima se, sfruttando argomenti facilmente comprensibili, riesce a portare sul terreno del consenso immediato tematiche significative e sostanziali.<br />
Podemos, nel marasma delle sue variegate proposizioni politiche, ha anche portato alcuni argomenti sostanziali rilevanti e condivisibili di critica della società capitalistica, delle ingiustizie sociali, delle disuguaglianze economiche, della perdita di sovranità della politica rispetto agli interessi di una ristretta oligarchia etc etc...</div>
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La debolezza e carenza di Podemos non è quindi di certo il suo "populismo". </div>
<div style="text-align: justify;">
La sua grave debolezza è invece proprio l'evanescenza di alcuni punti programmatici, la fortissima volubilità su importanti questioni (in questo è evidente una certa somiglianza con il movimento 5 stelle) e infine alcune posizioni di fondo fortemente discutibili su temi delicati, quali la forma di Stato della Spagna e il ruolo dell'Unione europea.<br />
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Podemos, nel complesso, appare come una forza politica figlia della destrutturazione sociale in cui versano i paesi europei da ormai trent'anni. Contraddizioni programmatiche; assenza di una visione solida e stabile della società e dei rapporti economici; dichiarazioni politiche che oscillano continuamente in direzioni diverse a seconda della mera opportunità elettorale; idea apparentemente assemblearista di un'impossibile iper-democrazia telematica del tutto contraddetta da scelte stabilite da un gruppo di potere inevitabilmente ristretto; concezione libertaria assoluta nella cosiddette questioni etiche, senza la dovuta problematizzazione di alcuni aspetti più complessi.<br />
Un mix di elementi che richiamano la tipica impostazione del partito "liquido" post-moderno, privato di riferimenti forti, contenuti coerenti e strategie di lungo periodo.<br />
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/-S0gBd1xebTI/Vn-9F5jM8vI/AAAAAAAAAkc/7DnHoJOfuwk/s1600/postmoderno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="370" src="http://4.bp.blogspot.com/-S0gBd1xebTI/Vn-9F5jM8vI/AAAAAAAAAkc/7DnHoJOfuwk/s640/postmoderno.jpg" width="640" /></a></div>
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Scendendo nei contenuti politici più rilevanti, emergono in particolare almeno due aspetti molto problematici:</div>
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1- In primo luogo l'atteggiamento nei confronti dell'appartenenza della Spagna all'Unione europea. Podemos ha nel merito un approccio molto ambiguo che parte dall'idea di proporre misure sociali in buona parte del tutto condivisibili, palesemente incompatibili con l'appartenenza ai trattati europei per creare così una frizione inevitabile che possa portare in qualche modo ad un processo di contrattazione in seno alla stessa UE per una modifica dei trattati che renda possibile l'attuazione delle suddette politiche. Ebbene si tratta dello stesso approccio usato da Syriza in Grecia che purtroppo sappiamo come sia pietosamente finito. E non per cattiva volontà da parte di Tsipras e compagnia, ma per l'oggettivo rapporto di forza di un solo paese in seno all'Unione europea. Pensare di far partire un processo di contrattazione tra paesi in un sistema blindato che per una modifica dei trattati prevede l'unanimità è quanto meno estremamente ingenuo e può essere al limite considerato come obiettivo di lungo periodo. Ha senso fare proposte sociali di rottura con l'ordine costituito senza porsi il problema di come svincolarsi nell'immediato (o comunque in un'ottica di breve periodo) dai trattati UE? Senza affrontare il problema delle possibili alleanze intra ed extra europee per rendere tale percorso politicamente, economicamente e, all'estremo, militarmente sostenibile?</div>
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2- La seconda criticità è l'atteggiamento nei confronti della struttura istituzionale dello Stato. Si apre qui un tema spinoso su cui da anni le forze di sinistra spagnole e internazionali commettono un grave errore di interpretazione e lettura della realtà. Dopo 40 anni di dittatura franchista centralista che pose fine a qualsiasi velleità autonomistica delle regioni spagnole più inquiete (Catalogna e Paesi Baschi), la restaurazione della democrazia rappresentativa si accompagnò ad una drastica riforma istituzionale che previde la creazione di uno Stato delle autonomie con un forte decentramento. A seguire l'intensità delle autonomie è stata via via incrementata fino a fare della Spagna uno dei paesi a più alto grado di decentralizzazione del potere in Europa (anche in relazione alle competenze economiche), con conseguenze non trascurabili in termini di crescente disuguaglianza tra le diverse aree del paese. La richiesta di ulteriori autonomie economiche, in particolare negli ultimi anni, si è spinta in Catalogna fino alla minaccia di apertura di un processo secessionista che è stato tuttavia simbolicamente bocciato dagli elettori nelle elezioni regionali del 27 Settembre di quest'anno, quando il 47,8% dei votanti (corrispondente al 38% degli aventi diritto) ha optato per l'alleanza secessionista. Un numero notevole, ma lontano dalla maggioranza semplice.</div>
<div style="text-align: justify;">
Negli ultimi decenni l'esistenza del sistema delle autonomie ha dato spazio a fermenti separatisti, divisioni culturali, sciovinismi nazionalisti locali che hanno minato anche culturalmente l'unità nazionale politica della Spagna.<br />
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-X_WUSoVtWxY/Vn_Bwt3_EeI/AAAAAAAAAkw/WicHce3e7hk/s1600/Spagna%2Bautonomie.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="336" src="http://3.bp.blogspot.com/-X_WUSoVtWxY/Vn_Bwt3_EeI/AAAAAAAAAkw/WicHce3e7hk/s400/Spagna%2Bautonomie.png" width="400" /></a></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
I partiti di sinistra, in nome di un malinteso complesso culturale post-franchista (come a voler continuare a compensare all'infinito l'ormai lontano quarantennio di centralismo) hanno dato spazio all'idea di una possibile Spagna federale senza comprendere che il federalismo è il cavallo di battaglia ideale del capitalismo e della frammentazione territoriale, confondendo le sacrosante rivendicazioni culturali (difesa delle particolarità linguistiche e delle tradizioni locali) con la decentralizzazione delle competenze fondamentali dello Stato. Questa impostazione "decentralizzatrice" maniacale trova la sua massima espressione simbolica irrazionale nell'uso della locuzione "Stato spagnolo" in luogo di "Spagna" da parte della sinistra movimentista politicamente corretta. Si può dire "Francia, Italia, Grecia, Germania", ma non "Spagna", ignorando 500 anni di storia politica, basata tra l'altro proprio sul riconoscimento, ben più che altrove, delle mille particolarità delle diverse componenti di un paese così ricco di differenze.</div>
<div style="text-align: justify;">
Podemos si spinge ben oltre questa impostazione e, sull'onda di una malintesa applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, aderisce addirittura all'idea di consentire un referendum ai catalani sulla secessione. Si tratta di un precedente molto pericoloso in grado di produrre un effetto domino che potrebbe travolgere la Spagna in quanto Stato unitario e che darebbe spazio alle pulsioni dei nazionalismi che stanno da decenni minacciando in molte aree del mondo l'esistenza di Stati politici a favore di Stati presuntivamente etnici (con grande soddisfazione dell'imperialismo del divide et impera ben espresso dalle direttive del Washington Consensus).<br />
In questione è il concetto stesso di sovranità. Chi è sovrano all'interno di uno Stato nazionale politico, per giunta esistente da 5 secoli come entità collettiva unica? Se sovrane diventano le collettività territoriali locali è evidente che viene meno il principio di sovranità dello Stato politico in quanto luogo della rappresentanza democratica e popolare. E' possibile pensare che una minoranza (ad esempio la collettività catalana) prenda una decisione sul futuro territoriale dell'intero Stato senza che il resto della cittadinanza esprima il suo parere? </div>
<div style="text-align: justify;">
Peraltro porre la questione in questi termini nel momento in cui le elezioni regionali hanno dimostrato che solo poco più di un terzo della popolazione catalana desidera esplicitamente l'indipendenza, appare anche insensato politicamente. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In termini più generali occorre rilevare ancora due importanti aspetti che riguardano l'ascesa di Podemos e impongono una riflessione nel merito:</div>
<div style="text-align: justify;">
1- In primo luogo l'enorme spazio mediatico concesso a Podemos da quando si è affermata come possibile nuova forza politica nello scenario spagnolo. Molti canali televisivi hanno riportato continue interviste a Pablo Iglesias, garantendo una sua presenza costante nei dibattiti, e trasmettendo notizie costanti sul nuovo movimento politico, in termini mai visti fino ad oggi per un partito di opposizione. Un tale spazio mediatico mai e poi mai è stato concesso a Izquierda Unida e al Partito Comunista. </div>
<div style="text-align: justify;">
Come nel caso del movimento 5 stelle, la forte mediatizzazione è stata allo stesso tempo accompagnata da un'operazione simultanea di sovraesposizione e critica/demonizzazione a seconda della catena televisiva. Il risultato, in ogni caso, è stato la fortissima presenza sui media, esattamente come nel caso del movimento 5 stelle nel 2012-2013. </div>
<div style="text-align: justify;">
2- Inoltre Podemos nasce esattamente nel periodo storico in cui tutti i sondaggi prevedevano un deciso rafforzamento di Izquierda Unida, in un periodo di forte crisi economica del paese e di crollo del consenso attorno ai due partiti del bipolarismo PPE e PSOE. L'onda crescente di Podemos ha senza dubbio determinato il drastico ridimensionamento di Izquierda Unida in una fase di enorme crescita potenziale.<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ovviamente tutto ciò non toglie meriti alla dirigenza di Podemos e alla sua capacità di raggiungere livelli di consenso notevoli, né deve portare a ragionamenti complottistici sul ruolo di tale forza politica.<br />
Tuttavia, le debolezze contenutistiche, l'evanescenza programmatica, l'aspetto destrutturato, alcuni salti in avanti molto pericolosi su questioni politiche e sociali delicate, e infine le circostanze mediatiche che ne hanno permesso il rapido sviluppo del consenso, lasciano sorgere forti dubbi sul reale grado di "disturbo" e preoccupazione che una simile formazione politica è in grado di determinare nel sistema di potere dominante.<br />
<br />
Come nel caso del movimento cinque stelle il vero rischio è che si tratti di un diversivo tollerato in un'epoca di vuoto in cui le alternative alla gestione ordinaria dell'economia neo-liberale vengono incanalate in percorsi alternativi privi tuttavia di forza trasformatrice.<br />
Naturalmente è del tutto lecito sperare il contrario, cioè che le debolezze e le incongruenze di un simile partito possano essere ricomposte in un orizzonte politico dotato di prospettive. Ma, stando a molte premesse, i dubbi sono forti!<br />
<br />
Da parte sua, Izquierda Unida, paga senza dubbio il successo elettorale di Podemos. Ma la sua marginalizzazione in termini di consenso è un fenomeno di lungo periodo dovuto sia all'ostracismo nell'esposizione mediatica, sia alla difficoltà di trasmettere parole d'ordine politiche forti (problema evidentemente comune a quasi tutte le sinistre politiche in Europa).<br />
Il rischio che il successo di Podemos ipotechi per lungo tempo il protagonismo di Izquierda Unida nella scena politica è molto alto. Questo senza dubbio è un colpo duro alla possibilità di crescita di una realtà che, con tutti i suoi limiti errori, carenze e fughe post-moderne, presenta una struttura partitica consolidata e una visione politica più solida e coerente.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-E6eZW_Lg9g4/Vn-9vqgkixI/AAAAAAAAAkk/xO96qM2yyBA/s1600/Proteste%2BTrabajo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="http://1.bp.blogspot.com/-E6eZW_Lg9g4/Vn-9vqgkixI/AAAAAAAAAkk/xO96qM2yyBA/s640/Proteste%2BTrabajo.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
Il vero problema, in ogni caso, in Spagna, come in Italia e altrove in Europa, è quello di dare una vera prospettiva di discontinuità programmatica alla caduta del bipartitismo che si va affermando in molti paesi europei. Al momento in tutti i paesi tale vuoto è stato colmato alternativamente da forze di estrema destra (Francia, Inghilterra), da partiti liquidi destrutturati (Italia) o da forze di sinistra totalmente risucchiate, contro i propri stessi propositi, dalla pressione delle politiche dominanti (Grecia).<br />
<br />
Al momento la situazione in Spagna resta bloccata. Le possibilità di formazione di un governo sono molto incerte. Una coalizione tra PPE e Ciudadonos ideologicamente più omogenei nella forma e nella sostanza non arriverebbe alla maggioranza. Una grande coalizione PPE-PSOE è sicuramente l'ipotesi più favorevole per le oligarchie economiche e per l'Unione europea, ma è estremamente difficile che si realizzi poiché, a dispetto della forte convergenza programmatica sostanziale, rimane, in Spagna più forte che altrove, un senso di appartenenza indentitario dell'elettorato che va al di là delle reali politiche compiute dai partiti. Un'alleanza tra PSOE e Podemos, molto difficile per la divergenza su punti chiave come il referendum catalano difeso da Podemos e rifiutato dal PSOE, non arriverebbe comunque a raggiungere la maggioranza. Un'aggiunta di Ciudadanos a questo instabile duetto darebbe ulteriore instabilità e difformità e, in ogni caso, sposterebbe un simile governo su posizioni economiche esplicitamente neo-liberali.<br />
Il rischio di nuove elezioni appare quindi abbastanza elevato. Nelle prossime settimana si avrà un responso al riguardo.<br />
<br />
L'unica certezza è la drammatica situazione economica e sociale che la Spagna sta vivendo da anni, dalla quale non può esservi via di uscita senza un cambiamento deciso delle politiche economiche. Cambiamento che presuppone come logica premessa una drastica messa in discussione dei trattati europei e la seria presa in considerazione della possibilità di uscita dall'Unione. Un passaggio gestibile in modo meno traumatico se concordato con altri paesi europei che si trovano oggi in condizioni simili, a partire da quelli mediterranei.<br />
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<br />Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0Italia41.902277040963696 12.4804687535.642594040963694 2.15332025 48.1619600409637 22.80761725tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-38831291073981327862015-12-11T09:00:00.000-08:002015-12-15T16:30:39.444-08:00Terrorismo e guerra: conflitto di civiltà o strategia imperiale del caos? <div style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-IV1ugZjcp98/VmaVmTRGAWI/AAAAAAAAAeU/hyL9baEbqPs/s1600/Globalizzazione%2Be%2Bterrorismo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="304" src="http://4.bp.blogspot.com/-IV1ugZjcp98/VmaVmTRGAWI/AAAAAAAAAeU/hyL9baEbqPs/s640/Globalizzazione%2Be%2Bterrorismo.jpg" width="640" /></a></div>
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span>
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span>
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">E' ormai trascorso quasi un mese dagli attentati di Parigi! La distanza temporale consente
di osservare con maggior lucidità i fatti e il contesto
politico che li circonda.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">La forza
dell'evento è stata con tutta evidenza enorme, sia per la sua estrema brutalità oggettiva, sia per la gigantesca enfasi
mediatica dedicata cui si accompagna l'alto livello di allerta esasperato in queste settimane dalle
autorità politiche di molti paesi europei.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">A ciò si è
aggiunta la concatenazione convulsa e contraddittoria di reazioni internazionali e più di recente il cruento episodio della strage di San
Bernardino in California dai contorni ancora assai poco chiari. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Uno scenario
confuso che lascia spiazzati e rivela il caos politico
internazionale in cui da ormai molti anni siamo immersi.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"></span><br />
<a name='more'></a><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">In questi
giorni è stato possibile misurare il tenore delle reazioni espresse dal governo
francese e dai governi dei vari paesi europei e di tutto il mondo. Lo scenario
internazionale che si sta delineando è decisamente fosco e vede
simultaneamente apparenti azioni concertate da parte di un’immaginaria e
retorica alleanza internazionale anti-terrorismo e la realtà di una guerra più
o meno silente tra potenze giocata a colpi di provocazioni (la più clamorosa
delle quali è stata sicuramente l’abbattimento dell’aereo russo da parte della
contraerea turca).<o:p></o:p></span><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Al momento, la
certezza più evidente è che gli attentati di Parigi hanno costituito uno
spartiacque e un potente casus belli nella strategia di interventismo militare occidentale
nello scenario medio-orientale che fa perno attorno alla Siria, ma vede
implicata in realtà l’intera macro-regione.</span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Il ruolo attivo della Russia in Siria nella
difesa dei propri interessi è, come nel più vicino caso
dell’Ucraina, la vera variabile inedita rispetto alle precedenti avventure neo-coloniali orchestrate dai paesi occidentali nell'ultimo quindicennio (dalla guerra del Kosovo del 1999 in poi).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">I tragici e brutali attentati di Parigi impongono riflessioni che investono molti aspetti. </span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Per
fare ordine e non finire schiacciati dal tritacarne dell’informazione
istantanea che impone l’immagine di eventi di corto respiro ad alto impatto
emotivo, occorre osservare con attenzione il contesto generale.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">L’evento in sé
naturalmente ha avuto un impatto scioccante, come tutti gli eventi che accadono
a poche centinaia di chilometri di distanza da noi (distanza culturale in
realtà più che fisica). Che sia la distanza culturale e non geografica a fare
la differenza lo dimostrano le reazioni ben più composte e distaccate di fronte
agli attentati avvenuti nella vicinissima Tunisia nell'estate appena trascorsa oppure la scarsissima partecipazione
emotiva agli eventi tragici che hanno colpito l'Ucraina dal 2013, o ancora, tornando indietro nel tempo, ad un passo dalla nostra
frontiera, le continue sciagure belliche che hanno funestato l'ex-Jugoslavia
negli anni '90.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Da un lato, il
forte coinvolgimento emotivo è del tutto ovvio e giustificato sia per la
vicinanza culturale del paese colpito, sia per le modalità dell'attacco
terroristico che richiamano al massimo grado il senso di totale vulnerabilità
della vita quotidiana facendoci sentire dei possibili bersagli casuali. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Tuttavia, da
un altro lato non si può non notare l'indifferenza emotiva che numerosi altri
eventi funesti spesso ben più tragici nelle proporzioni comportano. E questo
più che il segno di una vicinanza culturale tra "vicini di casa" è
piuttosto il sintomo di un occidentalismo suprematista indotto dal sistema mediatico, per cui in fondo in
fondo la vita di un siriano, di un palestinese, di un iracheno o di un afghano,
ma anche di un russo, contano meno della vita di un europeo o di un
nord-americano. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">"Sono diversi,
lontani, hanno un'altra cultura della vita, saltano in aria come niente, sono
abituati alla 'normalità' della morte violenta, sono sempre in guerra per colpa loro"...e via via discorrendo, banalizzando e autoassolvendosi al cospetto delle innumerevoli tragedie che si consumano nel mondo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">L'indifferenza
per i morti "diversi", del resto, è un processo psicologico
sofisticato e stratificato la cui funzione è quella di deresponsabilizzarci da
responsabilità che sono invece evidenti e del tutto visibili a chi vuol
vedere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Se la forza
delle reazioni fosse davvero motivata dalla vicinanza degli eventi e quest’ultima fosse correttamente
misurata sulla base dei vincoli di dipendenza e di ingerenza dei
nostri paesi nei vari scenari mondiali, dovremmo dormire sonni inquieti
e tormentati quotidianamente ormai da molti anni. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Naturalmente,
in questo come in tutti i casi, l’apparato mediatico ha giocato e sta giocando
la sua parte fondamentale nel manipolare l’emotività collettiva incanalandola
su sentieri determinati. Così come dopo gli attentati dell’11 Settembre, anche
in questo caso l’enfasi solenne riposta sull’evento da tutti i mezzi di
informazione con elementi di evidente e ricercata morbosità (racconti
dettagliati delle vite delle vittime) e con una sfacciata insistenza sulla
parola d’ordine “siamo sotto attacco”, hanno incanalato l’opinione pubblica
verso un’inedita attenzione ai fatti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Si sono
raggiunte vette parossistiche anche nei dettagli meno evidenti, come ad esempio in Italia, l’invito da parte del Ministero
dell’Istruzione di dedicare un’ora in ogni scuola ad una riflessione sui fatti
di Parigi oltre ad un minuto di silenzio per le vittime. Non che una
riflessione a scuola sul tema sia un fatto negativo, tutt’altro! Ma colpisce
l’aura di eccezionalità che le istituzioni e i media hanno dato all’evento al
cospetto di altre tragedie sociali e militari che si consumano ogni giorno nel mondo.
Qualcuno, negli anni più recenti, ha mai chiesto un’ora di riflessione nelle scuole
per la guerra in Iraq che ha causato più di un milione di morti? O sui recenti
massacri israeliani in Palestina? E’ mai stata suggerita da un ministro
dell’istruzione un’ora di riflessione e un minuto di silenzio per i massacri
neo-nazisti avvenuti nella vicinissima Ucraina orientale dal 2013? O sugli attentati
terroristici che dilaniano la Siria dal 2011? E l’elenco potrebbe continuare
all’infinito...<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Come
all’indomani dell’11 Settembre 2001 è chiaro che l’obiettivo è insinuare un
sentimento di eccezionalità assoluta dell’evento mobilitando le passioni
collettive per fini ben specifici. L'evento deve apparire eccezionale, unico, isolato da ogni contesto e terrorizzante.<o:p></o:p></span><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">In queste settimane, la lettura dei quotidiani e di molti commenti e articoli in rete ha
mostrato la presenza di diverse narrazioni dell'evento.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">A seguito di
fatti di questa forza esiste sempre una danza delle reazioni dell'opinione
pubblica che segue copioni piuttosto consolidati. Si tratta di copioni che
ricalcano quello che è il generale modo di porsi in rapporto alla realtà
sociale, politica ed economica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Da un lato vi
è una narrazione dominante, sostenuta dai principali media televisivi e
cartacei che ci dà sempre una prima misura generale di quali siano gli
obiettivi fondamentali perseguiti dalle elites al potere. Questa
narrazione dominante, spudoratamente falsa e ipocrita, generalmente presenta
sempre una doppia variante. Una versione dura e volgare, quasi
macchiettistica, persino ridicola se non avesse tragiche conseguenze culturali;
ed una versione edulcorata, più "progressista", più vendibile e fatta
propria dalla gran parte degli intellettuali integrati e dalla maggioranza
dell'opinione comune. Le due versioni si completano e costituiscono l'ossatura
dell'ideologia dominante ad uso e consumo dei progetti egemonici
dell'oligarchia al potere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Di fronte alla
narrazione dominante sorgono poi altre reazioni. <o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">In primo luogo
una reazione "apolitica" che vede nel terrorismo una sorta di
rappresentazione generica dell'odio, della violenza e del male, rinunciando
alla comprensione dei meccanismi politici che lo inquadrano. In secondo luogo
una reazione fatalistica e rinunciataria che a fronte della complessità degli
eventi rinuncia a cercarne una chiave di lettura, rifuggendo dal tentativo di
dare senso al contesto stesso in cui l'evento terroristico si inquadra. Si invoca così un
gioco di potere troppo grande e sfuggente per essere compreso e si percepisce
con tragica impotenza il nostro ruolo di vittime di fronte ad un caos imponderabile
e privo di senso.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">In terzo luogo
una reazione "complottistica" che generalmente rovescia di 360° la
versione dominante e pretende di incasellare ogni evento in un perfetto gioco
di potere facilmente smascherabile. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">E infine, lodevoli
tentativi critici ragionati di comprendere la realtà, tra i quali si
distinguono interpretazioni che considero errate e fuorvianti ed altre che mi
sembra si avvicinino molto di più alla verità.</span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Non è semplice
orientarsi nel marasma delle opinioni, delle suggestioni e degli eventi che si
accavallano di giorno in giorno. E' tuttavia fondamentale, per non precipitare
in narrazioni preconfezionate, o ancora peggio rinunciare del tutto a capire,
fissare alcuni punti fermi che, senza alcuna pretesa di far quadrare ogni pezzo
del puzzle, diano
le coordinate fondamentali di orientamento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Non è
necessario capire tutto! Ne è necessario che ogni dettaglio abbia un senso
specifico e inquadrabile! E’ necessario provare a cogliere gli aspetti
essenziali di quanto è accaduto e sta accadendo, cercando di tenere insieme il passato e il presente e respingendo i tentativi mediatici di fare a pezzi la storia portando gli eventi ad un'isolata sovraesposizione.</span><br />
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Per provare a
trovare le coordinate del contesto, iniziamo a ragionare a partire dalla
narrazione dominante, la più nota e senza dubbio la più pericolosa, carica di
cattive intenzioni e foriera di drammatiche conseguenze culturali, politiche e
militari.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Questa
narrazione riprende perfettamente lo schema interpretativo dell'11 Settembre
2001 aggiornato al 2015. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "times"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman";">Vi sarebbe un mondo
islamico fondamentalista che odia la civiltà occidentale e i nostri valori
(libertà e democrazia) e che ha dichiarato guerra a tutto l'occidente. Nel 2001
colpendo gli Stati Uniti, nel 2015 colpendo la Francia e l'Europa, fari di
libertà e democrazia. <o:p></o:p></span><br />
<span style="background-color: white; color: #eeeeee;"><span style="color: white;"><br /></span>
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #f3f3f3; font-family: "times new roman";">Da qui in</span><span style="color: black; font-family: "times new roman";"><span style="color: #f3f3f3;"> poi la versione dura e la versione morbida della narrazione dominante divergono. La prima sostiene che la cultura dell'odio sia un elemento intrinseco dell'Islam, che l'Islam radicale sia una variante più violenta di una religione comunque intrisa di odio. L'Islam politico diventa così una vera e propria civiltà e cultura nemica che odia la libertà dell'occidente e vuole imporre al mondo la propria egemonia. L'Islam, in aggiunta, finisce per identificarsi per estensione con tutto il mondo medio-orientale o persino genericamente “orientale”, creando una dicotomia conflittuale Occidente-Oriente. Occidente libero democratico, cristiano e illuminista. Oriente oscurantista, premoderno, antidemocratico, dittatoriale. Questa opposizione porterebbe ad un insanabile conflitto di fondo. L'occidente avrebbe il dovere di reagire in qualsiasi modo per combattere una civiltà dell'odio che colpisce la nostra libertà in modo violento e subdolo attraverso il terrorismo. Si tratta dello schema ben descritto dal celebre testo di Samuel Huntington "The Clash of Civilization", uno dei manifesti di propaganda occidentalista più spudorati mai scritti. Si tratta dello stesso filone in Italia ben incarnato in passato dalla vena polemica, islamofoba di Oriana Fallaci e da molti altri personaggi in tinte più o meno edulcorate.</span><span style="color: black;"><o:p></o:p></span></span></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: black; font-family: "times new roman";"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-0oDbIlvGeBE/Vma4JtQ42dI/AAAAAAAAAe8/puISm-EGMJk/s1600/Huntington%2B.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="360" src="http://2.bp.blogspot.com/-0oDbIlvGeBE/Vma4JtQ42dI/AAAAAAAAAe8/puISm-EGMJk/s640/Huntington%2B.jpg" width="640" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La versione morbida della narrazione dominante distingue invece l'Islam in sé dall'Islam radicale e fondamentalista, ma condivide come motivo di fondo l'opposizione tra un occidente libero e democratico e un oriente oscurantista e antidemocratico. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In termini del tutto astratti e privi di una vera sostanza la difesa dell'occidente viene alternativamente associata ad una difesa dei valori cristiani e-o ad una difesa dei valori illuministi e moderni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In tutte le sue versioni, questa narrazione si fonda su basi fragilissime, su una totale ignoranza dei rapporti economici diseguali internazionali da cui deriva l'estromissione delle categorie di colonialismo e imperialismo; su un ossessivo riferimento a valori puramente procedurali (democrazia, diritti umani come valori estraniati dai contesti reali) come parametro per giudicare le vicende interne ai diversi paesi del mondo; e infine, nel dettaglio dell'area geografica più legata ai fatti qui commentati, sulla totale ignoranza della storia più recente del medio-oriente (dalla caduta dell'Impero ottomano ad oggi).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In tale lettura, le categorie con cui si legge la realtà mediorientale, così come del resto tutta la realtà internazionale, diventano concetti astratti generici: dittatura (contro democrazia), fondamentalismo religioso (contro laicità e tolleranza).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E tali concetti vengono usati in modo confusionario astraendo totalmente dai fatti storici, dai contesti, dalle reali circostanze, mischiando realtà completamente differenti in un unico calderone che evochi nel suo insieme lo spettro di un nemico malvagio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il fondamentalismo religioso, con i suoi innegabili orrori, assurge così ad un tassello fondamentale della propaganda imperiale dell'Occidente, dimenticando completamente, come vedremo, la sua genesi, il suo ruolo, la sua funzione oggettiva e i suoi rapporti politici (alleanze, finanziatori etc).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L'Isis, come per molti anni Al Qaeda, viene, in questa chiave, spiegato come una forza oscura, incarnazione del male, nata dal caos di un preesistente medio-oriente egemonizzato da dittature sanguinarie e repressive.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La narrazione dominante ha il preciso ed evidente scopo di arruolare l'opinione pubblica nella crociata neo-coloniale contro il medio-oriente, il nord-africa e l'Asia centrale, scenari geopolitici chiave in cui si gioca l'egemonia tra le potenze, in particolare tra un blocco occidentale dominato dal decadente e sempre più aggressivo potere statunitense (e in subordine europeo) e l'influenza crescente delle potenze emergenti (Russia e Cina in primis) contro le quali gli Stati Uniti stanno adottando da anni un piano di accerchiamento e contenimento contrassegnato da un ciclo di spaventose guerre di confine nei paesi limitrofi o legati alle potenze nemiche da stretti rapporti politici ed economici.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Un modo sicuramente differente di intendere gli eventi, che tuttavia giunge ad un medesimo misconoscimento delle loro reali concause politiche e sociali, è quello di considerare il terrorismo un'espressione generica del male e della violenza non meglio qualificata. In questo caso non si cade nella pericolosa deriva della spiegazione del terrorismo su basi puramente culturali destrutturalizzate ("Islam cattivo" oppure "islamismo radicale cattivo") e la chiave di lettura diventa psicologica o al limite sociologica (il male come tendenza generica deviata dell’essere umano che sorge più facilmente in contesti di degrado sociale). Se questa lettura ha il pregio di analizzare alcuni aspetti sociali (importanti, anche se relativamente marginali) della genesi del terrorismo, tuttavia ancora una volta non coglie affatto l'aspetto politico e storico del problema.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La lettura complottistica degli eventi è invece un'esasperazione distorta di quelle che possono essere corrette interpretazioni critiche del contesto di politica internazionale. Tanto più perché indirizzato spesso su obiettivi corretti, tale approccio risulta particolarmente controproducente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Sia chiaro che l'accusa di complottismo mossa verso chiunque osi mettere in discussione la versione ufficiale di un determinato fatto è diventata un'arma micidiale della propaganda ufficiale per ridicolizzare punti di vista diversi e alternativi togliendogli a priori ogni legittimità. Pertanto va rigettata completamente la tendenza a derubricare nella categoria di "complottistico" ogni tentativo eterodosso di interpretare la realtà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Detto questo, tuttavia, è pur vero che alcune letture degli eventi, per la smania di classificare con sommaria certezza e puntuale identificazione ogni singolo dettaglio finiscono per risultare del tutto inappropriate, a volte forzate, se non addirittura false. La narrazione complottistica pretende di incasellare ogni minuzia in un progetto studiato dall'alto. Nulla sfuggirebbe alla razionalità del complotto, tutto seguirebbe un'unica matrice causale. E' chiaro che il rischio di queste letture parossistiche è quello di gettare involontariamente discredito su altre interpretazioni critiche più ragionate e prudenti. Insomma, in breve, entrando nel merito dei fatti qui commentati, se si vuole ad esempio dimostrare la verità dello stretto legame politico tra terrorismo islamista e potenze occidentali, non è necessario affermare ad ogni costo che l'attentato di Parigi è frutto certo dell'azione diretta dei servizi segreti francesi o statunitensi o legati alla NATO. Non significa che ciò debba essere escluso, ma di certo non è sensato né utile affermarlo con perentoria certezza fino a che non vi siano prove chiare che lo possano dimostrare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Una maggior pulizia e prudenza di analisi, come vedremo, non toglie nulla ad un'argomentazione critica che parta da dati storici inconfutabili e da ragionamenti logici rigorosi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ma riprendiamo ora l’analisi degli eventi in corso nel loro contesto attuale e storico.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Chi è davvero il mediatico "nemico dell'Occidente" che in questi giorni sta scatenando la chiamata alle armi per la guerra di civiltà tra il Bene e il Male? </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Osserviamo dapprima quali sono state le tempistiche dell'uso propagandistico di questo nemico dal 2001 in poi e a seguire approfondiamo il contesto storico e politico di lungo periodo in cui tale realtà prende effettivamente forma.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background-color: white; color: #cccccc;"><span style="color: white;"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-F4yRuw1iUVc/VmaZG8r3ECI/AAAAAAAAAeg/SXj6tArFrCE/s1600/isis-army-700x430.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="245" src="http://1.bp.blogspot.com/-F4yRuw1iUVc/VmaZG8r3ECI/AAAAAAAAAeg/SXj6tArFrCE/s400/isis-army-700x430.png" width="400" /></span></a></div>
<span style="background-color: white; color: #cccccc;"><span style="color: white;"><br /></span>
<span style="color: white;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L'uso del fondamentalismo religioso islamista come mostro e capro espiatorio, a ben vedere, ha seguito dal 2001 in poi percorsi e fasi cronologiche totalmente dipendenti da eventi cruenti, ma estremamente puntuali e circoscritti avvenuti in occidente, a loro volta coincidenti temporalemente con la strategia di destabilizzazione dei diversi paesi dell'area medio-orientale da parte delle potenze occidentali. L'uso retorico del nemico islamista appare invece del tutto indipendente dalle atrocità e i crimini commessi dai gruppi terroristici, in modo ben più continuo e micidiale, nell'area medio-orientale, nord-africana e asiatica nel corso degli ultimi 20 anni. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Di fatto, in occidente, il mostro "terrorista islamico" è stato mediaticamente alternato ai "mostri sanguinari laici" dei vari capi di governo scomodi da rimuovere per realizzare il disegno di un mondo arabo asservito al potere economico nord-americano ed europeo (Iraq-Siria, Libia), a dimostrazione dell’uso puramente strumentale e variabile dei capri espiatori.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il primo clamoroso arruolamento di massa dell'opinione e delle coscienze, in relazione allo scenario mediorientale, si verificò, come ben noto, dopo gli attentati alle Torri gemelle nel tentativo di avallare il ciclo di guerre scatenate dagli USA e dai suo alleati subordinati (guerra contro l’Afganistan, l’Iraq, tentativi di destabilizzazione dell'Iran). D'improvviso l'Islam divenne il nemico assoluto dell'occidente e sorse in breve tempo una sterminata letteratura volgare e "razzista" sul necessario legame tra Islam terrore e violenza. Già da allora, tuttavia, il capro espiatorio dell'islamismo venne alternato al capro espiatorio delle cosiddette "dittature sanguinarie" che con l'islamismo evidentemente non avevano nulla (come il governo laico di Saddam Hussein). L'esportazione della democrazia divenne così la nuova parola d'ordine complementare dei dominatori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Una seconda clamorosa ondata propagandistica legata ad un nuovo arruolamento ideologico è esplosa nel 2011 con la guerra alla Libia di Gheddafi e poi con la destabilizzazione permanente della Siria e la manipolazione delle primavere arabe. In quel caso lo spauracchio si è tutto concentrato sui supposti dittatori sanguinari (laici) e la loro repressione delle supposte rivolte popolari (primavera araba).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ora, quattro anni dopo, a seguito degli attentati di Parigi, torna alla ribalta l'incubo del terrorismo legato ancora al fondamentalismo islamico, con il protagonismo dell'Isis e riparte l'onda anti-islamica e lo spettro ideologico di quello scontro di civiltà ossessivamente declamato dopo i fatti del 2001.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Insomma un nemico a corrente alterna che viene rilanciato ad ondate emotive sulla base di precise strategie di conquista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ma, al di là dei tempi che hanno scandito l’uso strumentale e propagandistico del "nemico islamista", da dove ha origine lo spazio politico e militare del fondamentalismo islamico nel mondo arabo e medio-orientale? Qual è la sua origine storica oltre alle narrazioni destoricizzate profuse dai media?<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L'ascesa de fondamentalismo islamico risponde ad una logica storica ben precisa che deve essere raccontata.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Si tratta di una storia che affonda le sue radici nella caduta dell'Impero ottomano dopo la fine della prima guerra mondiale. Il mondo arabo che aspirava alla costituzione di una nazione araba unificata, venne spezzettato in Stati costituiti a tavolini dalle due potenze coloniali vincitrici (Francia e Gran Bretagna) dai confini del tutto arbitrari. Ebbero così origine protettorati europei, divisi da frontiere casuali, con all'interno un mosaico di popoli e con il popolo arabo diviso in Stati-nazione diversi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il processo di decolonizzazione si estese dagli anni '30 al dopoguerra a seconda dei paesi dando luogo a Stati formalmente indipendenti retti da monarchie del tutto subordinate agli interessi delle vecchie potenze coloniali. Negli anni '50 e '60 una serie di rivoluzioni e colpi di Stato portarono al potere movimenti panarabisti laici, nazionalisti e di orientamento socialisteggiante. Personalità carismatiche come Nasser in Egitto, Aflaq in Siria e poi in Iraq, Gheddafi in Libia, rappresentarono il sogno di indipendenza di paesi fino a quel momento colonie di diritto e poi di fatto dell'Occidente, in un'area del mondo aspramente contesa per la presenza massiccia di petrolio e altre materie prime strategiche e per il suo ruolo geografico di cerniera tra Europa e potenze orientali (Cina e Unione Sovietica, poi Federazione russa).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In quei decenni, contrassegnati dal bipolarismo Usa-Urss, molti paesi arabi poterono avviare percorsi di sviluppo economico endogeno trainato dal controllo statale dei ricchi giacimenti petroliferi. Siria, Iraq, Egitto e Libia in particolare, guidati da formazioni politiche laiche e nazionaliste con forte vocazione sociale, conobbero due decenni di crescita economica a carattere progressivo con forte redistribuzione del reddito a favore delle classi meno abbienti, sviluppo di un solido sistema di Stato sociale, generalizzazione dell'alfabetizzazione, garanzia di laicità dello Stato con piena libertà di culto per tutte le religioni (ivi compresa la nutrita e fiorente comunità cristiana, assai prospera in Siria e Iraq), un'avanzata condizione sociale della donna e un appoggio solido alla causa della resistenza palestinese contro il colonialismo israeliano.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
</span><br />
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<a href="http://3.bp.blogspot.com/-BM_vkUGMb3U/VmcLNdrr2qI/AAAAAAAAAfM/ry4WzXiMD3U/s1600/Nasser.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="258" src="http://3.bp.blogspot.com/-BM_vkUGMb3U/VmcLNdrr2qI/AAAAAAAAAfM/ry4WzXiMD3U/s400/Nasser.jpg" width="400" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">A partire dagli anni '80 il carattere socialmente progressivo del socialismo arabo andò attenuandosi declinando del tutto in Egitto dopo la morte di Nasser e perdendo le sue spinte rivoluzionarie negli altri paesi. La graduale "normalizzazione" in senso filo-occidentale dei governi laici e nazionalisti arabi, favorita da forti pressioni da parte degli Stati Uniti e delle ex-potenze coloniali europee intenzionati a recuperare il proprio controllo su territori geopoliticamente strategici, non è stata tuttavia totale e paesi come l'Iraq, la Siria e la Libia hanno mantenuto un profilo di moderata autonomia politica ed economica nel corso degli anni '80-'90 e primi 2000, nonché di attivismo geopolitico in direzione di alleanze con potenze diverse da quelle occidentali (Cina e Russia).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Allo stesso tempo altri paesi mediorientali guidati da governi legati all'Islam politico oscillavano tra accondiscendenza agli interessi occidentali e tentativi di parziale sganciamento da questi ultimi, conditi da una retorica culturale anti-americana e anti-occidentale. Era il caso dell'Afghanistan precipitato in una terribile guerra civile dopo la rivoluzione filo-sovietica del 1978 brutalmente annichilita dalla guerriglia islamista sostenuta dagli Stati Uniti. Ed era il caso dell'Iran dopo la rivoluzione Khomeinista del 1979.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E’ a partire dagli anni ’80 e ’90 del ventesimo secolo che i gruppi islamisti diventano sempre più forti nella vita politica del medio-oriente. La loro ascesa non è il risultato di una naturale tendenza della cultura politica arabo-islamica (come spesso si sente dire), ma è il frutto inevitabile del fallimento (ampiamente facilitato dalle potenze occidentali) del nazionalismo socialista pan-arabista e del graduale peggioramento delle condizioni sociali delle masse nei paesi arabi a partire degli anni ’80 con accrescimento delle disuguaglianze e tramonto dei sogni di emancipazione e progresso. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La tendenza al consolidamento di forze politiche di stampo conservatore è stata, così come in molte altre parti del mondo, l’esito naturale della caduta del patto sociale dei decenni del dopoguerra colpito al cuore dalle politiche neo-liberiste imposte dalla logica della cosiddetta globalizzazione dei mercati (leggasi estensione dell'imperialismo nel contesto del tramonto del bipolarismo USA-URSS).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’Islam politico si consolida quindi in un contesto di crisi politica e sociale del mondo arabo. Si presenta peraltro, come vedremo, come realtà estremamente variegata e contradditoria con orientamenti diversi sia in politica interna che in politica internazionale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Sicuramente è un fatto storicamente accertato che le forze islamiste a carattere più reazionario, divengono fin dalla fine degli anni ’70 e dagli anni ’80 un prezioso alleato delle potenze occidentali, lautamente sostenute per indebolire i regimi laici e nazionalisti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Lo Stato più fedelmente alleato ai paesi occidentali si confermerà in quei decenni essere l’Arabia saudita, il paese del mondo islamico con la più rigida applicazione della Sharia nonché aperto sostenitore di gruppi fondamentalisti in molti casi legati al terrorismo internazionale. Simile ruolo sarà assunto dagli Emirati Arabi Uniti e dal Qatar.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Allo stesso tempo, proprio in quegli anni, sorgono in molti paesi forze islamiste dal carattere anti-imperialista ostili all’occidente, a conferma del ruolo ambivalente assunto da tale fenomeno politico.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Dagli anni ’90 si consolida il ruolo ambiguo dell’Islam politico rispetto ai rapporti con l’Occidente. Osteggiato dai paesi occidentali nelle sue componenti più sensibili alla trasformazione della società in una direzione non pienamente compatibile con le pure leggi del mercato e allo stesso tempo sostenuto nelle sue componenti più reazionarie per minare la stabilità dei paesi più laici o per seminare il caos e la distruzione in contesti geopolitici di estrema criticità (come in Afghanistan, in Pakistan e in Palestina).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il sostegno di lungo periodo fornito alla guerriglia afghana antisovietica di orientamento islamista, dal 1979 in poi, diverrà uno dei punti fermi della politica estera statunitense e una delle più clamorose prove del rapporto strumentale e manipolativo tra imperialismo americano e frange estremiste e terroristiche di stampo islamista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La guerriglia dei mujaeddin in Afghanistan, alimentata con il ruolo attivo dell’Arabia saudita e l’”esportazione” di guerriglieri dalla penisola arabica e dal Pakistan, diventerà una vera e propria focina inesauribile di militanti pronti a combattere in molteplici scenari dando vita ad una sorta di esercito flessibile che verrà utilizzato dalle potenze occidentali, negli anni successivi, per destabilizzare numerosi scenari geopolitici, con due clamorosi esempi interni al contesto europeo e russo: la delicatissima regione del Caucaso nel corso degli anni ’90 (in particolare nella tormentata Cecenia) con la sistematica destabilizzazione della Russia lungo le proprie frontiere meridionali e l’appoggio attivo a tale operazione da parte degli Stati Uniti; e i Balcani, con il ciclo delle guerre jugoslave (guerra civile 1991-1995) e la guerra alla Serbia (1999) e la nota infiltrazione di jiahadisti cosiddetti “afghani” (in realtà provenienti da numerosi paesi islamici e già usati nella guerriglia afghana anti-sovietica) nelle fila di miliziani bosniaci e poi kosovari, in chiave anti-serba. Anche in questo caso è più che noto il ruolo di sostegno attivo del caos balcanico da parte dei servizi segreti tedeschi e statunitensi in particolare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Dal 2001, a seguito dell'attentato alle Torri gemelle, lo scenario mediorientale cambia brutalmente e all’improvviso il fondamentalismo islamico internazionale diventa il suo apparente nemico e capro espiatorio. Nell'Ottobre del 2001 viene bombardato e invaso l'Afghanistan, ritenuto responsabile di proteggere i terroristi di Al Qaeda, dalla coalizione internazionale Usa- Gran Bretagna sostenuta poi dal 2002 da una missione Nato avallata dall'Onu.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-_CIhuqm56SY/Vmngvd5OvPI/AAAAAAAAAgk/RvB87ZyrZNQ/s1600/Bush%2Be%2Bblair.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="271" src="http://2.bp.blogspot.com/-_CIhuqm56SY/Vmngvd5OvPI/AAAAAAAAAgk/RvB87ZyrZNQ/s400/Bush%2Be%2Bblair.jpg" width="400" /></a></div>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel 2003, con la scusa del possesso di presunte armi chimiche e di legami con il terrorismo internazionale, viene bombardato e invaso l'Iraq dando inizio ad una delle più devastanti aggressioni imperialistiche degli ultimi decenni, sotto la regia di Usa e Gran Bretagna e con l'attiva complicità secondaria di altri paesi europei (tra cui l'Italia). L'Iraq da paese relativamente prospero e socialmente molto avanzato (malgrado i 12 anni di criminali sanzioni economiche imposte dalle Nazioni unite, dalle tragiche conseguenze umanitarie), si trasforma in un'infernale polveriera e regredisce all’età della pietra. Alle distruzioni drammatiche provocate dalla guerra aerea e terrestre si sommano anni di guerra civile tra milizie sanguinarie con continui attentati, in un contesto di spaventosa frammentazione territoriale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel 2005 in Iran vince le elezioni Ahamdinejad, il presidente più laico e "progressista" dal tempo della rivoluzione khomeinista. Ha inizio una martellante campagna mediatica e diplomatica contro il paese con continue minacce di aggressione militare con l'obiettivo ufficiale di porre fine al programma di dotazione nucleare civile portato avanti dalla nazione persiana.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Tra il 2009 e il 2014, intanto, la Palestina conosce alcuni tra i suoi più tragici momenti degli ultimi 70 anni di colonialismo israeliano, in particolari con le operazioni militari “piombo fuso” nel 2009 e “margine di protezione” nell'estate del 2014, che causano almeno 3500-4000 morti civili in Palestina. Il tutto con l'avallo complice, passivo o attivo delle nazioni occidentali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel contempo l’apparente guerra al terrorismo islamico globalizzato non impedisce alle potenze occidentali, Stati Uniti in testa, di mantenere silenziosamente stretti rapporti con numerosi gruppi fondamentalisti. Rapporti che torneranno alla ribalta all’inizio dell’attuale decennio con lo scoppio delle cosiddette primavere arabe.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Proprio in concomitanza di tali eventi (complessi e variegati nel loro insieme) si apre una nuova fase contrassegnata da nuovi tentativi di destabilizzazione di nazioni sovrane in medio-oriente e Africa mediterranea. Ed è qui che ci avviciniamo non solo cronologicamente ma anche logicamente agli eventi di questi giorni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La strategia statunitense cambia del resto con l’amministrazione Obama (in termini di modalità esecutive, non certo di fini e conseguenze): non più politiche militari di aggressione diretta (con operazioni di invasione di terra), ma destabilizzazione e distruzione delle nazioni ostili attraverso la creazione del caos attraverso l’uso di forze interne a tali paesi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Con la scusa di una presunta repressione unilaterale della rivolta libica da parte del governo Gheddafi, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (questi ultimi paradossalmente con un ruolo più marginale) avviano una campagna di bombardamenti contro la Libia, con il successivo avallo della Nato e il contributo di altre nazioni tra cui l'Italia (legata peraltro alla Libia da un precedente trattato di amicizia). Mentre gli aerei occidentali lavoravano dall'alto dei cieli distruggendo il paese e le sue infrastrutture e seminando morte, dal basso i cosiddetti ribelli armati e addestrati preventivamente dalle nazioni occidentali, seminavano caos, massacri e distruzione. L'epilogo dell'avventura bellica fu l'uccisione di Gheddafi nell'Ottobre del 2011. Il paese da allora è precipitato in un caos senza via d'uscita, dilaniato da signori della guerra che spadroneggiano tra le diverse aree e tribù, gruppi islamisti radicali in conflitto tra loro in un contesto di totale instabilità. Una sorta di guerra civile permanente a bassa intensità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Sempre nel 2011, mentre i disordini politici in Tunisia ed Egitto vengono riportati all'ordine incanalando la protesta verso la creazione di governi fedeli agli interessi occidentali (in continuità con quelli precedenti, lì già ben consolidati), un altro paese subisce un'operazione di forte destabilizzazione: la Siria.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Una rivolta composita costituita da settori variegati dell'opposizione siriana viene immediatamente elevata al rango di scontro armato frontale con il governo di Assad. A dimostrare la volontà di una guerra civile da parte delle frange estremiste dei ribelli vi è la morte fin dai primissimi momenti della rivolta di un gran numero di poliziotti e soldati (dinamica molto simile a quanto accadrà in Ucraina solo due anni e mezzo dopo).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E' da questo caos, unito al caos iracheno, che nasce e prospera l'Isis, lo Stato Islamico di Iraq e Siria, noto anche come Daesh. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #f3f3f3; font-family: "times new roman";">Derivazione di Al Qaeda, l'Isis si propone come soggetto politico intenzionato a creare uno Stato islamico fondamentalista tra Iraq e Siria abbattendo il governo di Assad e il debole governo fantoccio iracheno, considerato troppo filo-iraniano (e dunque non allineato agli interessi dell’Arabia saudita, burattinaio diretto dell’Isis). Vi sono prove chiarissime dell’addestramento e finanziamento dei miliziani dell’Isis da parte di Arabia Saudita, Qatar e Turchia nell’ambito di una vera e propria guerra regionale totale intesa a far sparire la Siria come stato sovrano, operazione ampiamente appoggiata dagli Stati Uniti, dalla Francia e dalla Gran Bretagna, che, </span><span style="color: #f3f3f3; font-family: "times new roman";">a</span><span style="font-family: "times new roman";">nalogamente a quanto avvenuto in Libia, </span><span style="font-family: "times new roman";">hanno attivamente finanziato e preparato a operazioni di guerriglia e terrorismo i gruppi più violenti dell’islamismo fondamentalista (tra cui lo stesso Isis).</span></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee;"><span style="font-family: "times new roman";"><br /></span></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-V-gexePKbvE/VmcNkUHddCI/AAAAAAAAAfg/AOghOlV_POw/s1600/Isis%2Bisraele.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="331" src="http://4.bp.blogspot.com/-V-gexePKbvE/VmcNkUHddCI/AAAAAAAAAfg/AOghOlV_POw/s400/Isis%2Bisraele.jpg" width="400" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee;"><span style="font-family: "times new roman";"><br /></span></span>
<span style="color: #eeeeee;"><span style="font-family: "times new roman";"><br /></span></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La Siria conosce una tragica guerra civile da quasi 5 anni che ha causato centinaia di migliaia di vittime difficilmente quantificabili con esattezza (le cifre riportate sono molto divergenti), la distruzione di numerose infrastrutture del paese e del suo eccezionale patrimonio archeologico e la divisione in aree di influenze. Una riedizione esatta del caos iracheno e libico, con un epilogo tuttavia al momento assai differente (il legittimo governo di Assad è ancora al potere e controlla una parte cospicua del territorio siriano) dovuto in buona parte al diverso ruolo assunto dalla Russia, che diversamente dal caso libico, per la difesa dei propri stessi interessi, non ha permesso, fortunatamente, il totale sfaldamento dello Stato siriano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel contempo l’Isis, come Al Qaeda negli anni ’90 e primi 2000 si trasforma in un cavallo impazzito e sfugge al controllo dei suoi stessi burattinai passando da un ruolo di forza di destabilizzazione ad un ruolo attivo di protagonista dello scenario siriano desideroso di quote di potere, nonché di esportazione del terrorismo verso altri paesi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E arriviamo così agli attentati di Parigi del 13 Novembre 2015 e alla successiva mobilitazione della Francia, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (e probabilmente di altri paesi interni alla NATO tra cui la Germania) per un intervento militare approfondito e su larga scala in Siria inteso (ufficialmente) a colpire le postazioni dell’Isis.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">A questo punto è legittimo chiedersi se le azioni dell’Isis sono ancora controllate dai suoi finanziatori e sostenitori (Arabia Saudita, Turchia e paesi occidentali), oppure se il giocattolo si è trasformato in un mostro fuori controllo che colpisce realmente e in modo indipendente gli interessi delle stesse potenze che lo hanno sostenuto fino a ieri (fino all’exploit degli attentati di Parigi). Sono domande molto serie, complesse e più che legittime, ma probabilmente </span><span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">non essenziali al cospetto della comprensione generale del contesto storico di fondo in cui gli eventi attuali si svolgono.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Indipendentemente dalle risposte a queste domande puntuali sul presente, il punto focale è infatti la totale e grottesca inconsistenza della narrazione dominante sul ruolo del fondamentalismo e terrorismo islamico e sulle motivazioni che spingono i paesi occidentali ad intervenire militarmente in Siria e in medio-oriente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il fondamentalismo islamico, come visto, in quanto forma radicale di islamismo politico, prende piede in un contesto in cui, già a partire dagli anni ‘80 i regimi politici laici iniziano a vacillare tradendo le proprie aspirazioni emancipative e le speranze delle masse impoverite e marginalizzate del mondo medio-orientale. Speranze tradite che si vanno ad incanalare verso soluzioni conservatrici immediatamente cavalcate e manipolate a proprio vantaggio dall’imperialismo occidentale che ha fatto di una parte dell’Islam radicale un valido alleato per i propri disegni egemonici, basati su una strategia di “divide et impera”, sulla deflagrazione degli Stati nazionali sovrani e la generalizzazione del caos, nel contesto di una guerra tra potenze intesa a contenere gli interessi della Russia e della Cina in tale area strategica e a depredare il ricchissimo territorio medioerientale delle sue materie prime, consentendo allo stesso tempo la strategia espansionistica di Israele come potenza regionale alleata.</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel contempo l’islamismo fondamentalista è stato usato come facile e apparente nemico ideologico usato a corrente alterna per giustificare operazioni militari dirette o indirette in aree geografiche ritenute strategiche.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Di fronte a tale scenario caotico, è quindi sufficiente porsi alcune domande fondamentali, molto semplici ma sempre evitate dalla retorica propagandistica e silenziate dal flusso isterico delle reazioni ai singoli eventi ad alto impatto emotivo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il primo ordine di domande è: sulla base di quale motivo scatenante le potenze occidentali sotto l'egida degli Stati Uniti e della NATO con in subordine i paesi europei (con in testa Francia e Gran Bretagna) stabiliscono di intervenire militarmente in determinati paesi? Qual è il vero scarto tra<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">motivazioni ufficiali propagandistiche e ragioni reali? <o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: black; font-family: "times new roman";"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-HlFpRFEn-Q8/Vmabk6QJdoI/AAAAAAAAAes/XQosqLmiWIk/s1600/guerra%2B.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="249" src="http://4.bp.blogspot.com/-HlFpRFEn-Q8/Vmabk6QJdoI/AAAAAAAAAes/XQosqLmiWIk/s400/guerra%2B.jpeg" width="400" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In linea generale la propaganda ufficiale ha sempre proposto due tipi di motivazioni per giustificare una guerra. 1- Il paese attaccato rappresenta una minaccia per la sicurezza dei paesi occidentali; 2- Il paese attaccato si è reso artefice di crimini orribili e gli occidentali buoni devono intervenire per fermarli.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ad un'analisi minimamente attenta entrambe le motivazioni appaiono chiaramente risibili.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L'Afghanistan rappresentava in sé una minaccia alla sicurezza nazionale statunitense? La risposta è del tutto negativa. Al Qaeda nasce come organizzazione terroristica dal mondo saudita-yemenita, come caratterizzazione estremistica di quel particolare filone dell'Islam, detto wahhabismo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">I veri protettori di Al Qaeda si trovavano quindi nella penisola arabica. Se l'Afghanistan rappresentava senza dubbio una focina inesauribile di jihadisti ebbene la causa di questo va proprio ricercata nella storica alleanza degli Stati Uniti con l'islamismo radicale in chiave anti-sovietica proprio nel teatro di guerra afghano dal 1979 in poi. Vi sono prove inconfutabili del ruolo attivo della CIA nel finanziamento massiccio della guerriglia afghana condotta in buona parte dalle frange estremiste dell'Islam con guerriglieri addestrati in Arabia Saudita e Pakistan. Così come è innegabile il ruolo attivo degli Stati Uniti nel sostegno della stessa Al Qaeda, come ha seraficamente ammesso Hillary Clinton pochi giorni fa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Allo stesso tempo gli Stati Uniti da decenni hanno tra i loro alleati preferenziali nell'area medio-oriente proprio l'Arabia Saudita il Quatar e gli Emirati Arabi, paesi protettori dei gruppi islamisti fondamentalisti e del terrorismo internazionale nonché patrie e sponsor di Al Qaeda. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Dunque qualcosa non torna. Perché attaccare l'Afghanistan nel 2001?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La risposta è ovviamente economica e geopolitica. L'Afghanistan venne attaccato pochi mesi dopo il fallimento della trattativa tra Talebani e governo USA sul passaggio di un fondamentale oleodotto che avrebbe dovuto portare il petrolio dal Caspio al Golfo Persico rifornendo il ricchissimo mercato asiatico. Inoltre l'Afghanistan è il cuore dell'Eurasia, collocato a cavallo tra potenze ostili agli interessi americani, e potenziali (nel 2001) e oggi ormai effettive concorrenti. Un Afghanistan fantoccio del tutto piegato agli interessi americani, utilizzabile come base militare permanente nel cuore dell'Asia, era senza dubbio un obiettivo appetibile.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’Iraq nel 2003 rappresentava un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, e poi dell’Italia, della Spagna e degli altri paesi subordinati che hanno seguito l’iniziativa criminale anglosassone di invadere lo Stato sovrano e prospero iracheno?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">No, nella maniera più assoluta. Al di là della ridicola bufala delle armi chimiche (con la celeberrima e grottesca provetta di Colin Powell), tra l’Iraq di Saddam e il terrorismo islamista di Al Qaeda non vi era ovviamente alcun legame. Anzi non vi era Stato medio-orientale più lontano dal terrorismo islamista fondamentalista del laico Iraq pre-2003.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">C’entrava forse qualcosa allora la famosa esportazione della democrazia da parte dei benintenzionati governi anglo-americani? Qui ogni commento credo sia superfluo. Basta gettare uno sguardo ai paesi meno democratici del mondo degli ultimi 50 anni e alle loro eccellenti relazioni con gli Stati Uniti: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Cile, Argentina, Uruguay e Brasile negli anni delle feroci dittature filo-Usa, Grecia dei colonnelli….e il lunghissimo elenco è appena agli inizi, ma credo possa bastare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La risposta della guerra all’Iraq è ancora una volta economica e geopolitica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’Iraq era ed è uno dei paesi con la più alta concentrazione di petrolio del medio-oriente. Il governo baathista di Saddam Hussein era da anni inviso alle potenze occidentali e ad Israele in quanto<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>troppo sovrano e indipendente e in grado di rappresentare una potenza regionale autonoma. In Iraq le risorse petrolifere erano nazionalizzate e usate per programmi di sviluppo sociale del paese. La presenza di una dittatura e di un partito unico (con repressione politica delle opposizioni), fenomeno comune ad altre centinaia di paesi nel mondo, si accompagnava tuttavia ad un progresso sociale impensabile nella stragrande maggioranza di altri paesi dell’area (ad eccezione, guarda caso della Siria e, allargando il campo all’Africa araba, della Libia).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La prosperità e l’indipendenza dell’Iraq sono stati i motivi della sua distruzione totale da parte dei neo-colonizzatori (con centinaia di migliaia di morti e un paese letteralmente sepolto di macerie, ivi compreso il suo millenario patrimonio storico archeologico e artistico cancellato dalla storia)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’attentato terroristico dell’11 Settembre è stato quindi una mera scusa per una rinnovata politica imperialista in Medio-oriente da parte degli Stati Uniti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Questa asserzione, puramente logica, implica forse che gli attentati dell’11 Settembre 2001 debbano essere necessariamente interpretati come una enorme messa in scena orchestrata come casus belli? No, non è assolutamente necessario dimostrare questa tesi, come del resto non è fondamentale né utile confutarla.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ciò che conta è il nesso tra lo spettacolare e tragico attentato e il ciclo di guerre aperto dopo il 2001. Un nesso affermato come esistente nella propaganda degli aggressori, ma in realtà del tutto inesistente nella logica dei fatti. Iraq e Afghanistan non avevano alcun legame con gli attentati dell’11 Settembre, né con la sicurezza nazionale degli Stati Uniti o dell’Europa né tanto meno con le leggende della democrazia, dei diritti umani e via fantasticando.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ogni indagine seria sul casus belli dell’11 Settembre naturalmente è del tutto benvenuta. Tuttavia sostenere la tesi dell’auto-attentato (con tutte le varianti di questa possibile tesi) oppure, al contrario, dell’attentato condotto da Al Qaeda in modo indipendente all’insaputa del governo americano e di tutte le alte gerarchie politiche e militari, non cambia di una virgola la critica radicale del criminale intervento bellico da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati subordinati in Afghanistan e in Iraq che con l’attentato dell’11 Settembre non ha nessun nesso logico né una correlata giustificazione morale o politica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Tesi complottiste che insistono in modo preponderante sulla spiegazione dell’attentato in termini di auto-attentato (o attentato indipendente di cui si era però già prima a conoscenza) sono senz’altro legittime e spesso anche interessanti e fondate, tuttavia insistono su un punto non cruciale e che rischia di deviare l’attenzione dal problema principale che è l’assenza di nesso logico (non solo di proporzionalità come è ovvio, ma proprio di nesso causa-effetto) tra il presunto casus belli e la successiva barbarie della guerra di distruzione e colonizzazione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Lo stesso tipo di domande possono e devono essere poste in occasione di ogni guerra con relativo casus belli declamato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Per restare agli ultimi 20 anni, basti pensare alla prima grande guerra di invasione e distruzione di un paese sovrano avvenuta dopo la fine della guerra fredda Usa-Urss: la guerra del Kosovo, ovvero la guerra di distruzione della Serbia da parte della Nato con il protagonismo statunitense, preceduta pochi anni prima da una terribile guerra civile jugoslava aizzata dalle potenze europee con il ruolo protagonista della Germania (paese che fin dagli anni ’90 ha concentrato le sue mire espansioniste sullo scenario est-europeo)<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
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<a href="http://2.bp.blogspot.com/-C_A5LLjcRz8/VmcLuuA60mI/AAAAAAAAAfU/JiPhoGIfP-I/s1600/Kosovo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="425" src="http://2.bp.blogspot.com/-C_A5LLjcRz8/VmcLuuA60mI/AAAAAAAAAfU/JiPhoGIfP-I/s640/Kosovo.jpg" width="640" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel caso della guerra alla Serbia del 1999, la scusa per l’intervento fu la necessità di una “missione umanitaria” per salvare la popolazione albanese-kosovara oppressa dai serbi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Si trattò naturalmente di una scusa risibile per nascondere il vero obiettivo di annichilire la Serbia di Milosevic, troppo indipendente economicamente e troppo vicina alla Russia geopoliticamente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Adottiamo ora la stessa logica e poniamo gli stessi dubbi ai più recenti eventi di guerra contro la Libia (2011) e di destabilizzazione permanente della Siria (dal 2011 ad oggi).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La versione ufficiale ci racconta che in Libia era necessario intervenire per fermare presunte stragi di Gheddafi contro i “ribelli”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La storia ci racconta invece che una ribellione armata ha avuto inizio ben prima delle reazioni del governo libico, a partire dai territori separatisti della Cirenaica già da tempo ostili al governo centrale. Tale ribellione ha visto come protagonisti aggiunti gli islamisti del LIFG e di Ansar al Sharia, questi ultimi legati strettamente ad Al Qaeda.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">A seguito della reazione militare del governo centrale (ovvia e scontata visto che si contrapponeva ad una ribellione armata), ha avuto inizio la propaganda martellante sui presunti crimini del governo Gheddafi, dando origine ad una gara di numeri impossibili (si parlò di 10.000 morti dopo pochi giorni e di fosse comuni mai esistite). Da lì, a breve, l’intervento militare della Francia coordinato con Gran Bretagna e USA.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Era forse la salvaguardia della popolazione libica il vero obiettivo dei bombardatori? Naturalmente no, altrimenti ci dovrebbero spiegare il perché nessuno mosse un dito in quegli stessi mesi per fermare i massacri in altre aree del mondo, ad esempio quelli perpetrati in Bahrein proprio in quei mesi da forze saudite amiche dell’occidente e così in altre decine centinaia di scenari di repressione in tutto il mondo nel presente e nel passato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’obiettivo dei bombardamenti in Libia era la rimozione del governo Gheddafi da sostituire con un governo fantoccio al servizio dell’occidente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In Libia, così come in Iraq prima del 2003, il petrolio era in buona parte nazionalizzato. Il paese, malgrado la virata in senso maggiormente liberista delle politiche di Gheddafi dagli anni ’90, rimaneva ancora costituito su un solido Stato sociale finanziato con i proventi di un petrolio. Elevata alfabetizzazione, bassa disoccupazione, livelli di vita inimmaginabili in qualsiasi altro paese africano. La Libia era inoltre orientata vero un panafricanismo politico ed economico con programmi di investimenti e collaborazione economica tra i paesi Africani, visto con paura dai colonialisti d’occidente, il cui obiettivo è naturalmente uno stato di sottosviluppo economico e dipendenza permanente di tutti i paesi del terzo mondo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Infine il governo Gheddafi era geopoliticamente ostile al blocco delle tre potenze bombardatrici, poiché negli ultimi anni aveva rivolto le proprie attenzioni principali all’Italia, nel mediterraneo, e alle potenze orientali (Cina e Russia). Da ricordare il trattato di “amicizia italo-libico” siglato nel 2009 dal governo Berlusconi in continuità con una forte azione diplomatica già iniziata dai precedenti governi, con cui a coronamento di una definitiva pacificazione post-coloniale, i due paesi sancivano una politica attiva di collaborazione: in cambio di infrastrutture costruite nel paese, all’Italia venivano date garanzia ingenti forniture di petrolio tramite l’ENI. La guerra in Libia cui l’Italia stessa vergognosamente parteciperà cedendo le proprie basi militari ai bombardatori e a sua volta mettendo a disposizioni propri aerei e navi da combattimento, fu, tra le altre cose, anche una guerra intra-europea contro gli interessi energetici dell’Italia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ecco quindi i variegati motivi reali della guerra alla Libia. Contesa del petrolio tra le potenze occidentali e ostilità per un governo indipendente che pratica una politica autonoma panafricanista e in una certa misura “terzomondista” e si orienta troppo verso altre potenze mondiali egemoni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Identici motivi ispirarono la destabilizzazione armata della Siria avvenuta nel 2011. Anche qui la narrazione ufficiale parlò di pacifica protesta antigovernativa violentemente stroncata dal governo di Assad. Stesso identico copione di sempre.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Nel caso siriano per diversi anni non si è arrivati ad un intervento militare diretto degli Stati Uniti e degli accoliti europei probabilmente per il ruolo ben più attivo giocato dalla Russia a difesa dei suoi interessi (la Siria di Assad era ed è un paese fortemente legato agli interessi russi anche dal punto di vista militare).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In Siria transitano importanti oleodotti che conducono il petrolio mediorientale verso il mediterraneo. In Siria, come in Serbia prima del 1999, in Iraq prima del 2003, in Libia prima del 2011, vi è un governo dotato di una propria linea autonoma, che, similmente al caso libico, malgrado una virata recente verso politiche aperte al mercato, aveva mantenuto saldo un solido Stato sociale, un sistema con il più alto grado di sviluppo umano del medio-oriente, una totale laicità delle istituzioni che garantiva tra l’altro la prosperità delle fiorenti e libere comunità cristiane. Era infine un baluardo regionale contro l’espansionismo indiscriminato di Israele.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Stati Uniti, Regno Unito e Francia, in stretta alleanza con Turchia, Arabia Saudita e le altre petromonarchie del golfo, con il beneplacito di Israele, hanno per anni contribuito ad addestrare gruppi di ribelli armati sia laici che islamisti per preparare il terreno ad una rivolta armata contro Assad gettando il paese nell’anarchia di una terrificante guerra civile che tutt’ora lo dilania e consegnandolo di fatto, a seguito di una fase di caos e lotta per l'egemonia tra le fazioni anti-governative, nelle mani delle frange più estremiste e organizzate, tra cui l’ormai celebre Isis (Daesh), lo Stato islamico, gruppo islamista fondamentalista nato a sua volta in Iraq dalle macerie di quel paese dopo il 2003.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Quali sono stati e quali sono oggi allora gli obiettivi della distruzione della sovranità siriana? Ancora una volta gli stessi obiettivi delle guerre precedenti. Un cambio di regime per favorire l’ascesa di un governo amico che serva gli interessi economici e geopolitici dell’occidente e soprattutto indebolisca la Russia che nella Siria di Assad ha un fedele alleato. Cambio di regime ottenibile anche, come alternativa, tramite il diretto sfaldamento dello Stato siriano da spezzettare in Stati etnici o etnico-religiosi, privi di qualunque forza e sovranità effettiva al servizio degli interessi neo-coloniali statunitensi ed europei. <o:p></o:p></span><br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-HQonDooyB_c/VmogfseeStI/AAAAAAAAAg4/M5In45koh7Q/s1600/Siria.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="464" src="http://3.bp.blogspot.com/-HQonDooyB_c/VmogfseeStI/AAAAAAAAAg4/M5In45koh7Q/s640/Siria.gif" width="640" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Oltre la patina della retorica bellicista dell’inevitabile scontro di civiltà e oltre alla risibile mitologia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dell’esportazione della democrazia e dei diritti umani i veri obiettivi comuni di ogni guerra imperialista sono in realtà sempre gli stessi: annientare la sovranità politica di Stati indipendenti ostili agli interessi economici e geopolitici dell’Occidente. Stati spesso collocati in aree del mondo strategiche o per la presenza di ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale, o per il transito di condutture per il loro trasporto. Oppure Stati che giocano un ruolo sgradito nella contesa internazionale tra potenze.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il vero nemico delle oligarchie economiche occidentali al potere non è il terrorismo islamico, né le dittature autocratiche laiche, né la leggendaria e risibile contrapposizione di valori tra occidente e oriente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il vero nemico sono gli Stati prosperi e indipendenti che adottano una propria linea di sviluppo endogeno, che instaurano relazione economiche e politiche con potenze diverse da quelle occidentali e che pretendono di gestire le proprie ricchezze per proprio conto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Vi è in proposito un’interpretazione critica che considero errata, tipica di una certa sinistra che confonde il sacrosanto internazionalismo dei popoli con la generalizzazione di una dicotomia semplificata in cui vi è sempre e comunque uno Stato cattivo e oppressore e un popolo buono pronto a ribellarsi. Si tratta di una volgarizzazione del trotkismo storico che finisce per prestare il fianco, senza volerlo, alla retorica dell’imperialismo occidentale consistente nell’enfatizzare le malefatte vere o presunte di dittatori autocratici (veri o presunti) con il solo fine di demolire le sovranità statuali scomode.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">All’indomani dei fatti di Parigi il Nouveau Parti Anticapitaliste francese, di orientamento neo-trotzkista, ha diffuso un comunicato la cui tesi fondamentale era che l’aggressione francese e occidentale alla Siria era fin dal 2011 finalizzata a stroncare la ribellione del popolo siriano contro il dittatore Assad. E’ un’interpretazione relativamente diffusa all’interno di alcune correnti politiche anticapitalistiche. Lo stesso tipo di chiave di lettura venne data per il caso libico. Anche lì si parlò di tentativo di frustrare la proteste del popolo libico contro il dittatore Gheddafi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Non pretendo di addentrarmi con precisione nelle dinamiche sociali interni alla Siria o alla Libia, che ammetto di conoscere in modo sicuramente approssimativo. Tuttavia mi sembra estremamente azzardato eliminare da un’analisi dei rapporti di forza internazionale tutti quei passaggi intermedi (perfettamente analizzati del resto dalla teoria marxista dell’imperialismo a partire da Lenin), che ci mostrano l’esistenza di scontri tra Stati e di una ben precisa gerarchia tra Stati forti e Stati deboli, nonché l’esistenza di Stati che, sebbene lontani anni luce dall’applicazione di sistemi economici socialisti, assumono storicamente orientamenti non del tutto conformi ai desiderata del capitalismo dominante e più pericoloso e aggressivo, che in questa fase storica è ancora senza dubbio quello degli Stati Uniti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ritenere quindi, anche con il senno di poi, che la distruzione deliberata della Libia in quanto Stato indipendente, precipitata nel più brutale caos politico e sociale e la gravissima destabilizzazione della Siria (soltanto frenata, fortunatamente,a dal reiterato intervento russo, sia sul piano diplomatico che, da ultimo, militare) risponda ad una strategia di difesa dei regimi al governo in quei paesi da parte dell’Occidente, appare quanto meno azzardato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Che Stati Uniti e alleati europei nel caso della Siria abbiano potuto esitare nel dare un incondizionato appoggio ai cosiddetti ribelli per paura di esiti non chiari nella lotta di potere che ne sarebbe seguita, è sicuramente più che plausibile. Ma da qui a negare il carattere di aggressione contro lo Stato siriano in quanto governato da una classe dirigente non del tutto piegata ai piani egemonici occidentali, passa una grande distanza. Questa lettura produce un grave errore interpretativo che altro non fa che nascondere i rapporti di potere gerarchici internazionali, dietro l’illusoria immaginazione di un’unitaà dei popoli oppressi in lotta contro ogni forma di potere costituito. Nulla di più errato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Oggi il vero obiettivo dell’imperialismo non è certo quello di stroncare spontanee ribellioni popolari (ahinoi!) per lo più ridotte a fenomeni marginali, ma quello di fare piazza pulita di ogni capacità di resistenza da parte di Stati non allineati oppure allineati con potenze ostili all’imperialismo occidentale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Affermare questo, naturalmente, non significa non poter rilevare le macroscopiche malefatte o persino i crimini dei paesi nemici del nemico principale, ma significa quanto meno usare la massima prudenza nel valutare l’ordine prioritario degli eventi e la loro gerarchia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Che piaccia o no, i veri argini all’illimitata espansione dell’imperialismo sono proprio la residua e sempre più compromessa sovranità di Stati che hanno mantenuto un profilo di minima indipendenza nonché la presenza di un crescente equilibrio multipolare in grado di dissuadere almeno in parte la potenza militarmente ancora egemone (gli USA) da un illimitato allargamento dei fronti di guerra.</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-T26y0OEzLfk/Vmdk9gET1II/AAAAAAAAAf4/TsoSqyqulDA/s1600/Bandiera%2BSiria%2B.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="http://2.bp.blogspot.com/-T26y0OEzLfk/Vmdk9gET1II/AAAAAAAAAf4/TsoSqyqulDA/s400/Bandiera%2BSiria%2B.jpg" width="400" /></a></div>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Questa è la dinamica storica e politica entro cui si collocano il terrorismo islamista, gli attentati di Parigi, le reazioni politiche e militari e tutti gli eventi a ciò connessi di queste settimane.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Un medio-oriente ridotto da anni di guerre di invasione e ingerenze organizzate dai paesi occidentali ad uno spaventoso caos politico e sociale. Stati sovrani relativamente prosperi precipitati nell’anarchia e trasformati in terre infernali dominate da scontri tra fazioni rivali e gruppi fondamentalisti di tagliagole in lotta tra loro. Dilagante fanatismo religioso, comunità cristiane deportate e decimate. Devastazione materiale di interi paesi, ridotti all'età della pietra da una precedente condizione di relativa prosperità e pace. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In una parola implosione di ogni forma di civiltà in luoghi del mondo in la civiltà storica è nata 6000 anni fa. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Tutto questo grazie alla criminale politica estera di invasione diretta o deflagrazione indiretta dei paesi mediorientali più prosperi e strutturati da parte degli Stati Uniti e dei paesi europei.</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Un vero e proprio abominio realizzato nel corso di quindici anni che ha implicato centinaia di migliaia (forse milioni) di morti, di feriti, mutilati e orfani. </span><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E’ allora evidente che ogni associazione logica che cerchi di inquadrare i fatti di politica internazionale in termini di valori divergenti incasellati in schemi apparentemente sensati è per forza di cose totalmente errata e fuori binario.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Non esistono blocchi di alleati e nemici accomunati da simili identità apparenti. Non esiste l’Islam politico nemico dell’occidente, come del resto non esiste un Islam politico unitario che serva (celatamente) gli interessi occidentali. Le alleanze dei paesi occidentali non sono strutturate su profili ideologici. Alleati e nemici si plasmano sulla base della maggiore o minore propensione ad assecondare gli interessi economici delle potenze mondiali egemoni. L’ultra-confessionale e anti-democratica Arabia Saudita è da decenni il migliore alleato dei paesi occidentali e nessuno si è mai sognato di agitare lo spettro dei crimini commessi ogni giorno da questo paese dentro e fuori le proprie frontiere. Islamisti oggettivamente filo-occidentali sparsi in tutto il medio-oriente si scontrano apertamente con gruppi politici ispirati all’Islam di orientamento invece anti-imperialista (Hezbollah in Libano ad esempio o Hamas in Palestina).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’unica costante rintracciabile è l’esigenza da parte dell’imperialismo occidentale, laddove venga scartata l'opzione dell'invasione diretta, di servirsi di alleati e burattini il più possibile brutali e disposti ad azioni di efferata violenza per portare a termine con successo i fini di asservimento dei paesi più riottosi a cedere la propria sovranità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Che tali alleati e burattini siano gruppi neo-nazisti (Ucraina 2013-14), islamisti tagliagole (medioriente), dittatori sanguinari neo-liberisti (Sudamerica anni ’70), gruppi di narcotrafficanti, separatisti usati per spezzare le unità nazionali politiche, è un dettaglio di scarso rilievo, utile forse per pubblicare libri su improbabili scontri di civiltà, ma del tutto marginale per comprendere le dinamiche di potere che spiegano la realtà.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Sia chiaro che i burattini non sempre sono forze completamente asservite e controllate. In primo luogo perché la base sociale su cui si costituiscono è in larghissima parte convinta di agire per proprio conto e sulla base di proprie spinte ideologiche o propri interessi. I legami politici si manifestano sempre ai piani alti delle strutture, mai con la loro base.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In secondo luogo perché è sempre possibile che gruppi inizialmente utilizzati per azioni di destabilizzazione si trasformino poi in forze parzialmente autonome decise a perseguire in modo relativamente indipendente i propri progetti. In terzo luogo perché i legami di alleanza anche a priori non sono sempre chiari e determinati. E’ sempre possibile infatti che alcune forze politiche vengano sì sostenute, ma solo in modo parziale, magari con una politica di doppio gioco volta a contenere fazioni in lotta tra loro reciprocamente. Infine è spesso possibile che all’interno dell’establishment di un paese dominante che pratica una politica di aperta ingerenza internazionale si creino forti spaccature (con cordate di potere interessate a seguire alcuni percorsi di politica internazionale ed altre che remano in una direzione parzialmente divergente almeno in relazione ai metodi prescelti). Ed è su questa complessità che spesso la narrazione complottista esasperata cade in interpretazioni semplicistiche e fuorvianti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Tale complessità, che sicuramente turba i sogni di chi vorrebbe trasformare la politica internazionale in una facile partita di risiko, deve essere considerata per prevenire eccessive semplificazioni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Allo stesso tempo è una complessità che non impedisce affatto di cogliere le dinamiche più generali storiche e politiche assumendo un punto di vista lucido sugli eventi nel loro complesso, in un’ottica di lungo periodo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">I fatti di Parigi e agli eventi di questi giorni possono essere letti entro la lente interpretativa chiarita in queste pagine.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">In relazione all’evento in sé è evidente che le ipotesi sulla matrice effettiva degli attentati possono essere molteplici. Si può ritenere che l’Isis abbia autonomamente e per propri fini voluto portare il terrore in Europa. I fini strategici non sarebbero affatto chiari visto che una simile azione, isolata e a casaccio, non apporta alcun beneficio concreto ai possibili interessi politici dello Stato islamico, né produce forme di pressione sulla Francia e l’Europa verso una maggiore accondiscendenza ai piani di espansione dell’Isis in medio-oriente. Semmai produce ritorsioni militari (già ampiamente annunciate)! Si può allora pensare ad un mero atto irrazionale di ostilità contro l’occidente come vendetta per l’interventismo militare in Siria, diretto (sebbene in minima parte) anche contro le postazioni dell’Isis.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">O ancora si potrebbe pensare all’azione di cellule autonome che agiscono come schegge impazzite senza alcun piano dietro la generica sigla internazionalizzata dell’Isis.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Queste prime interpretazioni considerano l’Isis una realtà in qualche misura autonoma che agisce per proprio conto come soggetto indipendente sullo scenario internazionale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Vi sono poi altre interpretazioni che, partendo dal fatto incontrovertibile dell’aperto sostegno militare fornito dai paesi occidentali ai gruppi di ribelli siriani (ivi incluse le frange islamiste radicali, tra cui l’Isis) nell’ambito della campagna per la destabilizzazione della Siria di Assad, ritengono l’Isis una vera e propria creatura manipolata dell’occidente stesso e pienamente controllata in ogni suo movimento. Se così fosse gli attentati di Parigi sarebbero il frutto di un vero e proprio complotto organizzato dai servizi segreti dei paesi occidentali (in accordo o in conflitto tra di loro) per disporre di un potente casus belli che spinga le scelte dei governi in direzione di una guerra aperta in medio-oriente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ebbene, alla luce di quanto fin’ora esposto, ritengo relativamente poco utile e tediosa una domanda alla quale probabilmente per molti anni non sarà possibile dare una risposta chiara.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E’ davvero così importante sapere se l’Isis agisce ormai per proprio conto oppure se è una creatura integralmente manipolata (e se sì da chi esattamente) oppure se è solo in parte sotto il controllo di qualcuno ma ha acquisito parziali margini di indipendenza?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Personalmente ritengo che l’ipotesi che l’Isis goda di parziali margini di indipendenza e volontà propria all’interno di una precedente strategia di controllo e manipolazione sia la più plausibile. Credo però che non sia fondamentale avere un’idea definitiva su questo punto e che le domande appena riportate non siano dunque essenziali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ciò che è invece essenziale, esattamente come nei giorni immediatamente successivi all’11 Settembre 2001, è la chiara conoscenza del retroscena storico-politico e una schietta riflessione sul “cui prodest”!<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il retroscena storico-politico è stato abbondantemente scavato a fondo e di certo non fornisce una patente di affidabilità o credibilità a coloro che, da Occidente, dichiarano che occorre scatenare una guerra internazionale contro l’Isis! Piuttosto tale intenzione appare risibile e chiaramente intenzionata a rafforzare le posizioni dei paesi belligeranti in Siria e in medio-oriente. Se fosse mai esistita realmente la volontà di smantellare l’Isis e tutti i gruppi terroristi islamisti non si sarebbero realizzate politiche di distruzione degli Stati più laici del medio-oriente usando per giunta come bassa manovalanza proprio il contributo di tali gruppi; non si sarebbe osteggiata l'azione militare promossa dalla Russia contro le postazioni dell'Isis e non si continuerebbe ad affermare che è necessaria la caduta del governo di Assad.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il “cui prodest” dei fatti di Parigi, appare altrettanto evidente. Un’opinione pubblica occidentale scioccata è sicuramente più ben disposta ad accettare da qui ai prossimi mesi e anni un’intensificazione degli impegni militari dei paesi occidentali in medio-oriente, in Africa e in Asia, ovunque vi possano essere frammenti dell’organizzazione internazionale dell’Isis o di gruppi ad esso legati. La lezione dell’11 Settembre 2001 è in questo senso assolutamente emblematica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Lo scenario geopolitico da allora è fortemente mutato. L’unipolarismo assoluto statunitense è stato in questi 14 anni trascorsi sfidato dalla crescente influenza della Cina e della Russia (nonché di altre potenze intermedie in continua crescita). Questo da un lato ha frenato di fatto le pretese espansionistiche degli Stati Uniti, dall’altro ha però reso la contesa internazionale ancora più aspra accelerando il declino della potenza americana e con esso anche l’aggressività della sua politica estera (più o meno coordinata e confliggente con quella europea), sempre più isterica e ad un passo da confronti internazionali di estrema pericolosità. Quanto avvenuto in Ucraina due anni fa, all’interno di un’area di diretta influenza russa dimostra che il pericolo di un confronto diretto tra potenze non è affatto scongiurato e che le continue avvisaglie di una guerra mondiale sono sempre in agguato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Quello che è certo è che, in maniera ben più generalizzata di quanto sia avvenuto durante l’epoca della guerra fredda, i paesi che si trovano nelle aree di frontiera di un possibile scontro diretto tra le grandi potenze o che assumono posizionamenti geopolitici autonomi o sgraditi all’occidente, subiscono le tragiche conseguenze della sistematica destabilizzazione, che può assumere forme più o meno violente ed estreme (dalle ingerenze indirette alla guerra di invasione e annichilimento).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L’estensione di un capitalismo privo di qualunque forma di mediazione politica all’intero globo, sostenuta da interessi economici sempre più ristretti e concentrati provoca la totale intolleranza da parte delle oligarchie che detengono il potere per qualunque forma di sovranità politica che possa in qualche misura frenare la conquista integrale di ogni spazio geografico ed esistenziale non ancora asservito alla logica del mercato globale. Tale dinamica si verifica all’interno di ciascun paese e all’esterno nei rapporti di forza internazionali. All’interno, con la messa in pratica in ogni Stato di politiche di generalizzazione della logica del mercato ad ogni ambito della vita sociale (distruzione dello Stato sociale, schiavizzazione del lavoro, invasione da parte del mercato di ambiti della vita fino a pochi anni fa considerati “sacri” e protetti); all’esterno, nelle relazioni internazionali, attraverso i brutali rapporti di forza e la distruzione della sovranità politica degli anelli più deboli della catena gerarchica globale.<o:p></o:p></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il compimento di tale logica espansionistica, che risponde ad una lotta di classe interna e internazionale dall’alto verso il basso, sempre più priva di argini e capacità reattive dal basso verso l’alto, necessita naturalmente di un sistema capillare di consenso, attivo o passivo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">E’ in questa logica che si innesta il fenomeno del terrorismo, tanto più del terrorismo brutale e indiscriminato. Cui prodest?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il cui prodest del terrorismo, ieri come oggi, è fin troppo evidente: è la logica di affermazione della repressione, del controllo e della guerra su scala globale, presentata come reazione inevitabile e conseguente al corso degli eventi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Il terrorismo produce uno stato di tensione, di insicurezza, di ansia sociale, di isteria, tale da generare quell’atmosfera di passivo consenso verso il potere e la sua logica di affermazione. Logica che include, tra i suoi capisaldi, la generalizzazione della guerra negli scenari strategici globali.</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Tutte le reazioni politiche e securitarie successive agli attentati del 13 Novembre, del resto, hanno assunto un carattere volutamente estremizzato, il cui punto culminante, dopo la Francia, è stato toccato in Belgio con la militarizzazione di Brussels: un'intera città mantenuta irresponsabilmente in uno stato di terrore ed emergenza per giorni. </span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-9YYonma8I50/VmcOgtbd5OI/AAAAAAAAAfo/Ci6ZT0AvLM8/s1600/Carriarmati%2BBrussels.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color: #cccccc;"><img border="0" height="299" src="http://3.bp.blogspot.com/-9YYonma8I50/VmcOgtbd5OI/AAAAAAAAAfo/Ci6ZT0AvLM8/s400/Carriarmati%2BBrussels.jpg" width="400" /></span></a></div>
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Questa consapevolezza del “cui prodest” non implica affatto necessariamente letture complottistiche degli attentati di Parigi e di altri simili eventi. Non vi è alcun bisogno logico di descrivere attentati orchestrati ad hoc dall'interno per ottenere effetti politici, come del resto non vi è alcuna necessità di escludere una simile evenienza. Entrambe le posizioni non colgono il punto essenziale, oscillando tra i due poli in fondo complementari del complottismo e dell’ingenuità, e perdono di vista la logica più generale di affermazione del potere, che prescinde dal controllo stretto di ogni singolo dettaglio della realtà, ma allo stesso tempo è pronto ad utilizzare ogni mezzo (compresi i più spietati e impensabili) per ottenere i propri fini.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ci sono centinaia di eventi cruenti nella storia le cui responsabilità dirette e indirette possono essere definitivamente chiarite soltanto dopo molti anni dal loro verificarsi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Ciò che conta nell’immediato, per interpretare il presente, è saper contestualizzare tali eventi inquadrandoli storicamente, valutare la conseguenzialità logica delle reazioni a catena che da essi ufficialmente prendono spunto e infine comprendere, a posteriori, la scia di eventi successivi che i primi hanno oggettivamente contribuito a tracciare. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<!--EndFragment--><span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Alla luce dell'inquadramento storico e politico dei recenti eventi, la "risposta" politica deve assumere una direzione ben chiara: si deve rifiutare con la massima determinazione l'ennesimo arruolamento di massa dell'opinione pubblica verso nuove e tragiche campagne militari dirette e politiche di ingerenza indiretta in Medio-oriente e ovunque nel mondo. Occorre rifiutare categoricamente la retorica dello scontro di civiltà, denunciare il ruolo di diffusione di caos e distruzione giocato dalle politiche neo-colonialiste dei paesi occidentali e la connivenza di tali politiche con il terrorismo. Occorre difendere il principio di sovranità degli Stati ponendo fine alla strategia del divide et impera che da decenni dilania e indebolisce gli Stati nazionali politici a favore del sorgere di microstatualità etniche impotenti Occorre inoltre auspicare un equilibrio geopolitico di forze che consenta la difesa sostanziale delle sovranità statuali frenando le volontà espansionistiche dell'imperialismo. </span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #eeeeee; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Gli effetti immediati di politica interna degli eventi di Parigi sono altrettanto devastanti e richiedono un pari grado di attenzione e lucidità. I governi europei, all'indomani dell'accaduto hanno gettato la maschera chiarendo che non vi saranno limiti di spesa pubblica agli investimenti in sicurezza e in spese militari. Da un lato vincoli di bilancio rigidissimi per la spesa sociale, le pensioni, la sanità, gli investimenti in infrastrutture etc; dall'altro totale libertà di spesa per guerra e sicurezza. </span></span><br />
<span style="color: #cccccc;"><span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Le fasi di emergenza del resto, hanno spesso il "pregio" di rendere più trasparente il carattere meramente ideologico della copertura retorica delle scelte politiche dominanti.</span></span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Dal punto di vista delle opzioni securitarie è più che evidente la propensione ad adottare provvedimenti da vero e proprio stato di eccezione che, oltre ad incrementare il clima di paura e tensione, restringeranno la libertà di espressione dei cittadini. E' proprio di due giorni fa la notizia della possibile approvazione di una legge in Francia per la detenzione preventiva senza processo sul modello di Guantanamo negli Stati Uniti. Si tratta di un segnale estremamente inquietante cui prestare l'adeguata attenzione nei prossimi tempi! Ciò che oggi viene ufficialmente usato per sospetti terroristi islamici un domani potrà essere un'efficace arma di controllo di qualunque forma di dissenso!</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">La vittoria del Front National in Francia nelle elezioni regionali va inquadrata invece come esito naturale non solo e non tanto dell'impatto degli eventi di Parigi, quanto piuttosto dello stato di crescente sfiducia verso le istituzioni europee e nazionali nella gestione della crisi economica e dei suoi impatti sociali più devastanti. Il partito di Marine Le Pen segue un'ondata di crescita costante che prosegue ormai da anni. Pensare che il suo successo sia legato esclusivamente al clima post-attentati significa ignorare completamente la responsabilità dei partiti al potere nel finto bipolarismo politico europeo nella macelleria sociale che prosegue da venti anni. In assenza di una forte alternativa sociale credibile e coerente, è purtroppo inevitabile che il consenso politico si sposti ovunque su false soluzioni di carattere reazionario. Inveire contro i partiti "populisti" e reazionari come realtà decontestualizzate non serve a nulla se non si capisce che la classe politica di sistema in tutte le sue varianti (di centro, di destra, di centro-sinistra) è la prima responsabile della situazione sociale drammatica in cui versano i paesi europei, stretti nella morsa delle politiche neo-liberiste di austerità. </span><br />
<br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Un unico filo logico tiene legata la politica estera e la politica interna. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">L'opposizione alla retorica bellicista internazionale esasperata dal casus belli degli attentati parigini, deve necessariamente muoversi di pari passo con il rilancio di una seria alternativa politica interna che inverta radicalmente il senso delle politiche sociali ed economiche degli ultimi anni. </span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";">Solo percorrendo tale strada è possibile opporsi coerentemente (respingendo allo stesso tempo ogni falsa alternativa) alle scelte politiche che stanno devastando le nostre società.</span><br />
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span>
<span style="color: #cccccc; font-family: "times new roman";"><br /></span></div>
<span style="background-color: white; color: #f3f3f3;"><span style="color: white;"><br /></span>
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
</div>
<span style="background-color: white; color: #f3f3f3;"><span style="color: white;"><br /></span>
</span><br />
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<span style="color: white;"><br /></span>
<br />
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<span style="color: white;"><br /></span>
<br />
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<span style="color: white;"><br /></span></div>
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<span style="color: white;"><br /></span></div>
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<br />
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<br />
<div>
<br /></div>
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Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-45041411567960348752014-01-04T15:15:00.001-08:002015-12-13T06:16:17.252-08:00Relativismo e universalismo. Riflessioni per l'impostazione del problema filosofico della Verità e del Bene.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-WUYZCG_KRec/Vm19mmVoQFI/AAAAAAAAAh0/e0yrQp8N6iU/s1600/Scuola%2Bdi%2BAtene.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="360" src="http://3.bp.blogspot.com/-WUYZCG_KRec/Vm19mmVoQFI/AAAAAAAAAh0/e0yrQp8N6iU/s640/Scuola%2Bdi%2BAtene.jpg" width="640" /></a></div>
<span style="text-align: justify;"><br /></span>
<span style="text-align: justify;">Ripropongo qui un articolo scritto circa un anno fa per la Rivista Koiné focalizzato sulla dicotomia relativismo-universalismo.</span><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Rimango sempre più fermamente convinto che la questione filosofica fondamentale da cui muovere per dare un orizzonte di senso alla realtà che ci circonda, saperla interpretare e quindi adoperarsi per poterla modificare, ruoti attorno al problema della verità.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nello scritto che segue esprimo quella che vuole essere l'impostazione generale del problema. Chiariti i presupposti è poi possibile procedere oltre e dare linfa, sulle scie di una tradizione filosofica di lungo periodo, ad una filosofia della verità in cui venga compiutamente definita l'ontologia umana (ovvero la natura specifica dell'essere umano). </div>
<div style="text-align: justify;">
Riconosciuta l'esistenza di una specifica ontologia umana è possibile avviare una critica radicale delle strutture sociali e interrelazionali della società contemporanea.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Relativismo e universalismo astratto: le due facce
speculari del nichilismo. Bene e Verità come concetti “rivoluzionari” alla base
di un universalismo sostanziale e di una critica radicale del capitalismo.<o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Introduzione <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La cultura dominante dell’Occidente capitalistico si
manifesta come un’unità inscindibile e complementare di relativismo ed
universalismo astratto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per comprendere come questi due “caratteri” della cultura,
dell’ideologia e della simbologia occidentale presentino una forte
complementarietà, bisogna dapprima definirli correttamente. Se in apparenza si
pongono come contrastanti, in realtà, il relativismo e quel tipo di
universalismo che definisco “astratto” non sono altro che due facce di una
stessa medaglia: quella del nichilismo. Scetticismo antiveritativo e disincanto
di fronte alla realtà, da un lato; affermazione della libertà assoluta come
valore procedurale e contemporaneo “colonialismo” culturale delle categorie
liberali occidentali, dall’altro, si fondono nel comporre la natura di quello
che si potrebbe definire in prima approssimazione “occidentalismo”. Tale
termine naturalmente non indica affatto la cultura occidentale nella sua
straordinaria e feconda stratificazione dai Greci ad oggi, bensì l’insieme di
ideologie interne all’attuale paradigma culturale integrato nell’occidente
capitalistico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<br />
<a name='more'></a><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il relativismo e la verità<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per relativismo si può intendere una posizione filosofica di
negazione dell’esistenza o conoscibilità della verità, dove per verità non si
intende naturalmente l’accertamento esperienziale di dati oggettivi
verificabili di carattere fisico, ma si fa riferimento ad una verità sulla
condizione umana in senso generale. Si tratta, cioè, della possibilità di
affermare delle verità universali sull’Uomo che prescindano da meri dati di
carattere materiale autoevidenti, del tipo: “l’uomo se non mangia muore”;
oppure: “l’uomo senza gambe non più camminare”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Oltre tali verità biologiche e
scientifiche vi è la verità filosofica. Essa è la base di ogni universalismo ed
è negata dal relativismo. Tale verità potrebbe consentire di affermare, pur con
tutta la prudenza del caso, asserzioni generali quali, ad esempio, tale
definizione di Uomo che qui propongo in termini esemplificativi: “L’uomo è un
essere sociale e comunitario che non realizza sé stesso fuori dalla comunità in
totale isolamento. Ciononostante presenta caratteri contraddittori per cui
istanze egoistiche e prevaricatrici si fondono con istanze solidaristiche e di
condivisione. Inoltre l’uomo è un essere universale che tende, contrariamente
agli altri esseri viventi, a pensare sé stesso in quanto appartenente ad una
specie, il genere umano, cui istintivamente si rapporta (tramite la mediazione
continua delle comunità e dei gruppi collettivi cui appartiene), e da cui non
può isolarsi per la propria realizzazione intima. Infine l’uomo, pur legato
biologicamente ad indiscutibili bisogni materiali (essi stessi Veri) è portato,
nella realizzazione della propria natura, ad elevare il proprio spirito oltre
tali bisogni e ad interrogarsi circa la sensatezza dell’esistenza e circa la
propria fine. Alla luce di tutto questo, l’uomo può ontologicamente
disumanizzarsi (l’esistenza di tale verbo è di per sé eloquente) mentre il cane
non può smettere di essere cane, e la pianta non smettere di essere pianta in
senso ontologico, in quanto esseri dotati di una pura determinazione biologica
”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Si tratta, di una definizione di
Uomo molto ampia ed articolata che tuttavia può essere portatrice di un primo
criterio veritativo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ma la verità filosofica potrebbe andare anche oltre e, pur
con aggiuntiva e rinnovata prudenza e attenzione, potrebbe provare ad
affermare, ad esempio, che: “l’uomo realizza pienamente sé stesso e persegue la
felicità reale quando è dedito al bene”; ed ancora, conseguentemente: “il bene
è qualcosa di conoscibile ed universalizzabile”; ed infine, per chiudere
logicamente con la definizione di bene: “la caratteristica minima del bene
consiste nella comunione cosciente con il prossimo e con sé stessi in una
situazione di armonia ed equilibrio tra gli esseri umani, laddove l’equilibrio,
dal momento che l’uomo è per natura mosso da forze contraddittorie, può anche
implicare come esito il confronto sotto forma di scontro”. Si tratta di prime
definizioni minime piuttosto inclusive e generali, al momento prese solo come
esempio, che consentono tuttavia di affermare verità che pretendono
un’universalità e una generalità. Esse naturalmente possono essere contestate,
ma la loro contestazione, per chi le afferma, non ne implica una perdita di
forza universale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il relativismo nega di fatto la
possibilità di assumere un punto di vista veritativo sulla condizione umana e
si limita ad affermare la verità di ogni punto di vista preso per sé stesso e
quindi la sua ineluttabile relatività. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Da un punto di vista relativista, esistono soltanto opinioni
e l’unica verità accertabile è quella biologica. Se un uomo afferma di
perseguire il bene e la felicità trucidando bambini, ciò diventa vero in
termini relativi (per il solo fatto che quell’uomo ne é persuaso e lo afferma).
Il suo errore, in termini relativistici, è solo il suo crimine, quello, cioè,
di violare l’altrui volontà e libertà imponendo la propria con la violenza. Ma
la sua convinzione di essere appagato dall’azione infanticida, non può essere
messa in discussione (ad esempio in termini di deviazione alienata dalla
realizzazione umana e dal concetto di bene), poiché essa rimane relativa al suo
giudizio (a meno che non si dimostri che quell’uomo é biologicamente
“deformato”, ovvero “neurologicamente” pazzo). Rifiutando qualunque ontologia
stabile dell'essere umano, il relativista può prendere in considerazione, come
certezza empirica, soltanto la variazione dei dati biologici. Il resto è
relativo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Si tratta di un esempio estremo,
espresso volutamente in questi termini. Tuttavia si possono fare decine di
esempi assai meno estremi altrettanto pregnanti. In termini relativistici non è
possibile affermare come vero per l’Uomo alcunché. Ciò perché semplicemente si
nega una verità in merito alla natura umana, intesa come verità sulla
realizzazione dell’uomo. Se la natura umana è indefinibile e l’uomo è una
tabula rasa che determina sé stessa senza riferimenti universali e
universalizzabili, è evidente che i pensieri, le azioni, i valori, la morale,
la cultura possono essere giudicati soltanto entro le categorie, relative,
interne ad una collettività ristretta o persino (in ultimo) interne ad un solo
individuo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Non è possibile dire, in ottica
relativistica, per fare qualche esempio con immediata ricaduta politica, che,
per l’uomo in generale, la partecipazione attiva alla vita politica e
decisionale di una comunità (che non c’entra nulla con la differenza tra
democrazia e dittatura basata sulle categorie proceduralistiche occidentali) è
migliore dell’isolamento e dell’esclusione politica; oppure che il diritto alla
casa e al lavoro garantiti è migliore della sua negazione sostanziale; oppure
che la logica mercantile e capitalistica estesa all’intera riproduzione sociale
è sempre e comunque devastante e indesiderabile per la stessa natura dell’uomo
(in primis per i dominati e gli oppressi e indirettamente anche per i
dominanti). Tutte queste asserzioni in ottica relativistica non possono essere
verità, ma punti di vista ed opinioni. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il relativismo conduce per forza
di cose allo scetticismo ed al disincanto di fronte alla conoscenza della
realtà come totalità espressiva e riduce l’umanità ad insieme di opinioni
individuali relativamente valide.<br />
E’ l’antitesi dell’universalismo e dell’idea
di genere umano come totalità conoscibile, descrivibile e dotata di senso e di
verità oltre le ovvie ed indiscutibili determinazioni biologiche. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La funzione positiva della “relativizzazione”, come
pratica provvisoria diversa dal “relativismo”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Se il relativismo compiuto che assurge a posizione ideale di
lettura del mondo è l’anticamera del nichilismo e del disincanto sul mondo ed
in tal senso è integralmente negativo ed inadatto all’universalità intrinseca
dell’Uomo, è importante, invece, riconoscere
una funzione positiva a quella che definisco “pratica della
relativizzazione”.<br />
Con questo concetto intendo la capacità critica di saper
“relativizzare provvisoriamente” gli elementi della realtà per leggerli entro
il contesto in cui tali elementi si sviluppano e prendono forma. Si tratta di
una pratica necessaria per evitare l’assolutismo delle categorie, ovvero
l’arbitrio di attribuire proprie categorie già compiute e tipiche di un
contesto, in forma approssimativa e spicciola, ad ogni altra realtà e contesto
esterno. La relativizzazione naturalmente è una pratica della conoscenza che
non può che essere provvisoria e rinnovarsi ad ogni stimolo critico. E’
provvisoria poiché se diventa permanente sfocia inevitabilmente nella sua
cristallizzazione definitiva che in fondo non è altro che il relativismo
stesso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
D’altro canto il relativismo
nasce proprio dall’esasperazione e dalla cristallizzazione della
relativizzazione. A forza di relativizzare, in sostanza, se non si giunge mai
ad un punto fermo, si cade inevitabilmente nella posizione anti-veritativa di
tipo relativistico, si sospende cioè il giudizio su qualsiasi cosa. Si tratta, a
ben vedere, di un paradosso solo apparente: la relativizzazione, infatti, ha di
per sé una funzione positiva irrinunciabile perché consente di giungere ad una
verità che non sia puramente formale ed apparente e che scavi nella sostanza
ultima della realtà. Serve, come vedremo, proprio ad evitare di cadere in
quello che definisco “universalismo astratto o procedurale”. Serve, quindi, a
rafforzare l’universalismo stesso (criticandone la versione astratta e
debolista) e consentendo il raggiungimento di un punto di vista universale
sostanziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E tuttavia, la relativizzazione, che è in sé una sana
pratica finalizzata all’universalismo sostanziale, se cristallizzata si
trasforma in relativismo, ovvero nel complemento logico dell’universalismo
astratto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Universalismo astratto e procedurale. L’altra faccia del
relativismo.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’universalismo astratto è una forma di universalismo debole
nella sostanza, ma forte e pervasivo nella forma, che ha una duplice radice: da
una parte è il frutto di una pratica universalistica che non relativizza mai sé
stessa (in tal senso è forte nella forma e arrogante negli esiti); dall’altra è
una comoda, ipocrita e debole reazione consolatoria (in tal senso è debole
nella sostanza) al relativismo. Il relativismo puro è infatti insopportabile
per l’uomo e tende generalmente a trovare una falsa copertura universalistica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’universalismo astratto può
essere descritto come il tentativo di universalizzazione di “valori” e criteri
di tipo prettamente formale, procedurale, o semplicemente assolutizzati in sé,
del tutto estranei alla sostanza delle cose. Tipici esempi sono i cardini
dell’universalismo liberale (punto di arrivo massimo dell’universalismo
astratto): la democrazia come procedura assolutizzata e i diritti umani come
ideale formalizzazione di un principio astratto calato dall’alto fuori dalla
contestualizzazione. Altro esempio di universalismo astratto è il principio
della non violenza (non la sua pratica che è di per sé un nobile e a volte
utile strumento di lotta e metodo di azione). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Più in generale l’universalismo
astratto afferma delle verità in generale, autonome, la cui sostanza prescinde
totalmente dalla contestualizzazione e dalla storicizzazione minima,
configurando quindi una vera e propria morale autonoma (che è speculare
all'assenza di morale). Ad esempio se io affermo che la frase “uccidere è
sbagliato” è sempre e comunque vera, sto affermando che è sbagliato uccidere in
tutti i casi, anche come legittima difesa o come forma di resistenza contro
un’aggressione. Sto, cioè, decontestualizzando un principio morale generico che
assurge a verità. Mentre il relativista assoluto afferma che non vi è alcuna
possibilità di stabilire una verità sul fatto che “uccidere è sbagliato” anche
a seguito di una contestualizzazione accurata dell’omicidio, l’universalista
astratto afferma a priori che uccidere è sbagliato indipendentemente dalla
contestualizzazione. In entrambi i casi si svuota la realtà di senso e quindi
si cade nel nichilismo. Il relativista nega la verità, l’universalista astratto
l’afferma al di là della realtà. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La Verità invece, per quanto non
sempre di immediata comprensione, esiste ed esiste all’interno della realtà, ed
è universale, ovvero è valida per tutti in generale (anche per chi non la
accoglie soggettivamente) e non è frutto di opinioni relative tutte egualmente
valide e tutte dotate di senso relativo. Per verità, ovviamente, non intendo
(ribadirlo è sempre utile) il solo accertamento dei fatti e degli eventi per
come si sono oggettivamente svolti (oltre le interpretazioni parziali e
filtrate dalle soggettività). La Verità, in senso filosofico, esiste anche in
termini di giudizio di “Buono” e “Cattivo”, “Giusto”e “Sbagliato”, “Umano” e
“Disumano”. Naturalmente, e qui si apre un problema gigantesco, essa è
difficile da definire, da conoscere e soprattutto da rendere conoscibile, nota
e universalmente accettata. Ma queste enormi e apparentemente spaventose e insormontabili
difficoltà non possono impedire di affermare che la Verità (intesa non solo
come accertamento dei fatti) esiste, anche quando la sua conoscibilità e
accettazione appaiono impraticabili. In un’epoca in cui la manipolazione
mediatica integrale della realtà arriva a toccare anche i fatti stessi, che
perdono di consistenza e di verità e rimbalzano ai nostri occhi sotto forma di
opinioni e di sentito dire, l’affermazione appena fatta può apparire enorme. Ma
a ben vedere non lo è. E’ solo la diretta conseguenza della necessaria fiducia
nella possibilità e necessità di un universalismo sostanziale come derivato
intrinseco della stessa Natura umana.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tornando, in ogni caso, alla
descrizione dell’universalismo astratto (nemico mortale, con il relativismo, dell’universalismo
sostanziale), si può ribadire, per chiarezza, che alla sua base vi è l’idea di
“affermazione di verità generale decontestualizzata”. L’esempio “uccidere è
sbagliato in sé” è un esempio estremo, poiché quasi chiunque in fondo finirebbe
per ammettere la liceità della violenza in condizioni di estrema necessità.
Tuttavia ciò che conta sono le conseguenze che ha di fatto l’universalismo
astratto in termini di lettura della realtà e di posizionamento etico e
politico rispetto ad essa. L’universalismo astratto induce all’assunzione di
verità formalistiche e procedurali, come le forme di governo (oltre la sostanza
dei rapporti politici ed economici) le forme del diritto (oltre la sostanza dei
rapporti di forza), le forme della morale individuale autonoma (oltre la
sostanza dell’etica collettiva) le forme dell’agire (oltre la sostanza
contestuale dell’azione)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Universalismo astratto, individualismo, comunitarismo<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In particolare l’universalismo astratto non può che avere
una matrice individualistica, nella misura in cui, per giungere ad un’immediata
(nel senso letterale di “senza mediazione”) verità universale (per giunta
debole) deve saltare la verità come portato delle collettività e delle
comunità. L’individuo deve cioè essere immediatamente collegato all’universale
assumendo principi generali slegati dalla storia, dalla tradizione e dalle
comunità reali nelle loro infinite particolarità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’universalismo astratto si
configura così come furia del dileguare, di matrice illuministica, a carattere
anticomunitario e costruito sulla base di una morale autonoma assolutizzata.
D’altro canto al suo (apparente) opposto esiste una forma di relativismo
comunitaristico (che altro non è che un relativismo spostato dall’individuo
alla comunità o, in termini ancor più ampi, alla civiltà) altrettanto
pericoloso che vorrebbe rendere ingiudicabili di per sé quelli che sono i
valori, i costumi, le usanze e, in ultima istanza, le verità di ogni comunità
dotata di una propria personalità specifica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Esiste in molti paesi europei,
in particolare in Francia, un costante dibattito tra universalismo astratto di
tipo illuministico e comunitarismo relativistico. Anche in questo caso siamo di
fronte a due facce della stessa medaglia in contrapposizione apparente tra di
loro. Gli anticomunitaristi militanti (corrente in cui potremmo inserire ad
esempio in Italia la rivista Micromega, sempre solerte nel denunciare il
pericolo comunitarista anti-illuminista) se la prendono contro la pretesa delle
comunità (ivi compresi gli Stati) di fondare su sé stessa e sui propri
valori la propria stessa esistenza,
schiacciando con questo il principio di autodeterminazione individuale (che per
costoro è la base astratta dell'universalismo illuministico cui si appellano).
D’altro canto i teorici del comunitarismo relativistico oppongono
all’universalismo astratto l’inconoscibilità di una verità universale del
genere umano predicando persino aberrazioni come la sovranità micro-comunitaria
entro gli Stati nazionali . Entrambe le posizioni cadono nel nichilismo da due
precipizi opposti, ovvero in una posizione di distaccamento della realtà umana
nel suo complesso (realtà umana che è insieme particolare ed universale). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il comunitarismo, come sarà poi
ribadito, laddove inteso diversamente, é invece totalmente compatibile con una
prospettiva universalistica sostanziale. Di più, l’universalismo sostanziale è
possibile soltanto in termini comunitari, laddove l’universalismo
individualistico si manifesta sempre e soltanto come universalismo astratto e
furia del dileguare abolizionistica. Lungi dall'essere due termini in
opposizione comunitarismo (universale) e universalismo (sostanziale) sono in
realtà due termini in reciproco rapporto di dipendenza.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Relativismo e universalismo astratto come doppia base dell’ideologia
e della “cultura” capitalistica. Nichilismo della merce e compensazione
universale pseudo-umanistica fondata sui pilastri concettuali della libertà e
del progresso.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il capitalismo è accumulazione illimitata di merci senza
fine temporale e senza fine (scopo) sociale. Il rapporto di produzione
capitalistico è l’unione di libero sfruttamento e di libera concorrenza al puro
fine della massimizzazione del profitto e del potere. Il mercato, luogo di
queste libertà, è per definizione il luogo del “relativo”. Ogni cosa, nel
mercato, ha valore, solo in relazione al suo valore di scambio, che non è
intrinseco, e in relazione al fine (non sociale) di consumo e produzione come
atti individualizzati e scissi da qualsiasi criterio collettivo e comunitario di
valutazione, pianificazione e controllo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Inoltre il capitalismo, pur
generalmente entro una cornice legale che si autorappresenta come non
arbitraria e contrattuale, deve far uso della violenza come forza sistematica
di imposizione della propria logica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Per queste ragioni il
capitalismo non tollera la verità e non sopporta l’universalità. La verità e
l’universalità impongono riflessioni sulla bontà delle cose e non ammettono ciò
che si autolegittima in sé come meccanismo e automatismo neutro le cui dinamiche
non possono essere valutate e giudicate. La verità giudica e pretende; la
logica capitalistica sfugge al giudizio e si presenta come meccanismo puro
asettico ed efficientistico. Per questo motivo il capitalismo non può che avere
come fondamento ideologico il relativismo, ovvero la professione di
ingiudicabilità della realtà, alla cui base vi è, come visto, la proclamata
impossibilità di asserire verità generali non puramente biologiche e fattuali
sulla condizione umana. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La filosofia che ha sempre funzionato
da sponda ideologica del capitalismo, ovvero il liberalismo, contiene in sé e
nella sua contraddizione il segreto dell’unità inscindibile tra relativismo
(come sfondo ineliminabile su cui scorrono la merce, lo scambio, il consumo, la
concorrenza e lo sfruttamento) e universalismo astratto (come compensazione
necessaria e coscienza infelice della borghesia in quanto classe
pseudo-universalista). Le dinamiche capitalistiche che nel loro svolgimento
sono puramente nichilistiche (ovvero non rispondono a nulla che sia
riconoscibile come criterio valoriale), necessitano pur tuttavia di un falso
universalismo consolatorio, poiché l’uomo è, è stato e sempre resterà un essere
veritativo ed universale (che non può vedere sé stesso come atomo relativo
isolato dal genere umano). E questo universalismo compensativo che compensa
l’intollerabilità del nichilismo puro va ricercato in due concetti: la libertà
e il progresso. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
A ben vedere si tratta degli
unici due concetti fondamentali che nell’ideologia liberale vengono
universalizzati, dal momento che tutto il resto rimane relativo, soggettivo,
arbitrario e ingiudicabile. Qual è l’elemento che caratterizza i valori di
libertà e progresso? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’essere entrambi legati all’idea di massima
autodeterminazione individuale e l’essere entrambi pre-relazionali. Mentre ad
esempio il criterio di giustizia e di bene, o il criterio di solidarismo
prevedono a priori forme di contatto comunitarie (poiché sono concetti
relazionali), la libertà, come valore in sé, è un concetto individuale cui ogni
altro valore è sottomesso; allo stesso modo il progresso è un valore di per sé
scevro da condizionamenti comunitari impositivi. Vediamone meglio i dettagli. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per ciò che riguarda la libertà, in ottica liberale,
l’individuo deve godere della massima libertà assoluta per poter egli stesso
scegliere liberamente di aderire al bene o al male, al solidarismo o
all’indifferenza, alla comunione o all’egoismo. E’ la libertà assoluta ad
essere universale, non i valori relazionali, che sono invece il frutto di
libere scelte soggettive. Ciò implica l’azzeramento d’ogni altro valore
generalizzabile che è rimesso alla stessa libertà dei singoli e non può essere
di per sé universalizzabile. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Naturalmente il liberalismo
riconosce limiti alla libertà individuale, ma soltanto nella misura in cui essa
violi l’altrui libertà (concetto di libertà negativa). Si tratta di una formula
che esclude ogni limitazione della libertà che sia per il conseguimento del
bene comunitario che sia a fini educativi, o che sia per la stessa limitatezza
conoscitiva del singolo inteso come estraniato dal suo contesto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Che il liberalismo reale si sia
sempre coniugato con forme di moderazione e limitazione del proprio stesso
principio assoluto di libertà e che quest’ultima sia stata, in contesti
liberali, violata anche per fini collettivi e comunitari, non può essere
negato. Tuttavia si tratta sempre di correttivi al principio generale, digeriti
come dosi di realismo a fronte della complessità della realtà. Ciò che conta è
però il principio, non i suoi correttivi contingenti. Ed il principio della
libertà assoluta è il principio primo dell’universalismo liberale, ovvero della
forma più completa e pervasiva di universalismo astratto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’aspetto paradossale, che rende
il principio di libertà assoluta universalizzato particolarmente pericoloso, è
che esso si autorappresenta come neutrale. Mentre principi come la giustizia,
il solidarismo, il bene comune e collettivo e qualsiasi altro principio forte
relazionale vengono giudicati (ed in effetti lo sono) come principi impositivi,
il principio di libertà è giudicato come neutro, poiché in apparenza non
obbliga, non impedisce, non costringe, non limita, non frena. Si tratta del
paradosso del liberalismo, un paradosso di una potenza ideologica sconfinata
che rende tale ideologia particolarmente aggressiva nei fatti e apparentemente
docile nell’immagine. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La libertà assoluta, in realtà,
è essa stessa un principio impositivo tanto quanto lo è la giustizia, il bene e
ogni altro principio. Ponendosi, infatti, come principio primo inviolabile,
subordina a sé stessa ogni altro principio limitando di fatto la stessa scelta
dell’essere umano in quanto essere sociale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
D’altro canto è chiaro che se
l’essere umano viene visto come atomo slegato dalla società, il principio di
libertà assoluta appare come un principio non solo ovvio, ma anche l’unico
principio primo possibile. Ma il problema è proprio nelle premesse. Dal momento
che l’uomo non è un atomo pre-relazionale, ma è un essere sociale e comunitario
il principio di libertà assoluta si configura come un principio impositivo e
coercitivo (anche se apparentemente libertario), in quanto impedente
l’universalizzazione di altri principi primi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Una coercizione che assume le vesti apparenti della massima
libertà di scelta e di autodeterminazione individuale e che pertanto vorrebbe
sfuggire al suo stesso carattere impositivo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Emerge qui la peculiarità del
principio di libertà assoluta che si manifesta chiaramente come principio
relativistico (e in quanto tale debole) poiché, esattamente come il
relativismo, si fonda su un micidiale paradosso: nega di essere impositivo, ma
in realtà ha un suo principio impositivo. Nel relativismo, inteso in senso
generale, il principio impositivo è la negazione dell’esistenza della Verità (e
la professione di validità relativa di ogni verità). Similmente nel liberalismo
il principio impositivo è la massimizzazione della libertà e la conseguente
professione di indifferenza, in termini universali, verso gli altri valori
subordinati a libere scelte relative. Il liberalismo manifesta chiaramente la
stessa radice del relativismo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
In questo senso il liberalismo è
una realizzazione del relativismo e il suo universalismo astratto fondato sulla
libertà assoluta è l’altra faccia speculare del relativismo stesso. E’ in fondo
il relativismo che si universalizza facendo proprio un principio universale che
appare come inclusivo d’ogni altro principio. Un universalismo che allo stesso
tempo funziona come consolazione del vuoto lasciato dal relativismo preso nella
sua purezza insostenibile ed insopportabile.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E’ la consolazione della borghesia settecentesca che si
professa classe portatrice di valori universali e di liberazione; ed è la
consolazione, ben più grottesca, dell’uomo contemporaneo occidentale che
universalizza nel mondo i valori estraniati di diritto e di democrazia.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Al valore di libertà assoluta
come fondamento del liberalismo si aggiunge il valore di progresso che completa
la giustificazione morale del capitalismo e completa la costituzione dell’universalismo
astratto di matrice liberale. Dal momento che lo svolgimento delle dinamiche
capitalistiche pure (concorrenza, sfruttamento, assenza di fini sociali
premeditati, dominio dell’economia sulla politica) non Ë giudicabile, si impone
la necessità di dare un senso generale alla dinamica del rapporto sociale
capitalistico. Anche in questo caso, va ribadito che l’uomo Ë per definizione
portato ad attribuire un senso generale alle sue azioni e alla sua esistenza,
singola e sociale. Non può, cioè, fare a meno di una metafisica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Demolita ogni metafisica forte
(religiosa, politica, umanistica che sia) che possa intralciare e limitare il
libero funzionamento della logica del capitale e del mercato, rimane soltanto
la metafisica del progresso. Se la libertà assoluta funge da giustificazione a
priori dell’accumulazione di denaro, della competizione e dello sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, il progresso funge da dotazione di senso ultimo a
posteriori. Le dinamiche violente e nichilistiche del capitalismo (di per sé
prive di qualunque fine sociale, che non sia il fine di arricchirsi) possono
così acquisire sensatezza generale nell’orizzonte del progresso materiale
dell’umanità, nell’avanzamento della tecnica, nel superamento dei limiti
terreni dell’uomo che la natura gli impone. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’universalismo liberale e
capitalistico si tinge così anche di progressismo ideologico, oltre che di
libertà assoluta, ma il progressismo ideologico in quanto privo d’ogni valore
sostanziale è esso stesso un lasciapassare per il relativismo e per il
nichilismo (dal momento che non si interroga sui valori di fondo che precedono
e permettono la sua realizzazione, ma si assolutizza come valore in sé,
relativizzando ogni altra cosa).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Libertà e progresso diventano le
due colonne portanti dell’universalismo astratto per eccellenza e del
relativismo in quanto facce della stessa medaglia. Tra i due termini (libertà e
progresso) vi sono in mezzo le relazioni di produzione capitalistiche
giustificate dalla libertà e riempite di senso dal progresso secondo tale
semplice logica schematica: Libertà – Rapporti capitalistici – Progresso. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Sono dunque il principio
apparentemente neutrale della libertà assoluta e il principio apparentemente
neutrale del progresso, entrambi posti come a-valutativi, ed entrambi scissi
dalle dinamiche reali della società e dai rapporti dell’uomo con l’uomo, che
mostrano in maniera evidente la complementarietà e la specularità
dell’universalismo astratto e del relativismo, il loro essere cioè le due facce
di un’unica medaglia: quella del nichilismo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella libertà in sé e nel progresso in sé, vi è infatti il
nulla, dal momento che tali pseudo-valori prescindono totalmente dalle
dinamiche umane relazionali nel loro svolgersi ed evolversi. La libertà è uno
pseudo-valore aprioristico che precede la relazione. Il progresso è uno
pseudo-valore a posteriori che dà senso astratto ad una relazione priva di
senso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>L’universalismo astratto e procedurale e la teologia
interventistica occidentale della democrazia e <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>dei diritti umani<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il relativismo è spesso posto in contrasto con
l’universalismo astratto, poiché in effetti, il relativismo puro negherebbe
formalmente anche l’universalizzazione dei concetti di libertà e progresso (e i
loro corollari: democrazia procedurale, diritti umani etc etc). Di tale
apparente contrasto vale la pena segnalare due aspetti. Il primo concerne la
sostanza reale di questo contrasto, il secondo l’uso strumentale ideologico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Dal punto di vista sostanziale
si può dire che l’universalismo astratto in generale (e in particolare nella
sua realizzazione liberale) parte senza dubbio da una corretta polemica
anti-relativistica nel tentativo di opporre all’esplicito nichilismo del
relativismo, un metro di misura della realtà tramite categorie
universalizzabili. Tuttavia le categorie universalizzate finiscono per essere,
come visto, del tutto astratte, sganciate dal contesto reale e dalla verità
comunitaria e collettiva, dunque individualistiche e prive di sostanza.
Pertanto se la reazione al relativismo ed ai suoi esiti nichilistici Ë
corretta, tuttavia gli esiti dell’universalismo astratto finiscono per essere
essi stessi nichilisitici. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Vi è poi un secondo aspetto,
assai gravido di conseguenze, che concerne l’uso imperialistico e
colonialistico dell’universalismo astratto. Si tratta di un vero e proprio
abominio, di un’impostura concettuale
asfissiante che fa ed ha fatto da base ideologica, in particolare negli ultimi
venti anni, alla strategia imperialistica occidentale di conquista, distruzione
e sottomissione di ogni area del mondo ostile ai propri piani egemonici. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si tratta di quella che Costanzo Preve ha correttamente
definito “teologia interventistica dei diritti umani” e che sempre
correttamente ha chiamato “l’equivalente contemporaneo della teoria della razza
di Hitler”.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Gli agenti culturali della
supremazia occidentale (in buona o cattiva fede poco importa) alzano la
bandiera dell’universalismo astratto dei diritti umani e della democrazia
prendendosela con la “non-ingerenza” accusata implicitamente di insensibile
relativismo culturale e indifferentismo per le sorti dei più deboli e i destini
dei popoli. La guerra ideologica contro l’Islam (con centinaia di libri scritti
per dimostrare l’incompatibilità strutturale tra Islam e democrazia, Islam e
diritti umani e civili etc etc) è un esempio decisivo di tale crociata
occidentalista. Chi non si schiera urlando e strepitando contro il Burka e
contro la lapidazione delle adultere è tacciato di relativismo culturale, di
incapacità di difendere i sacri (o profani) valori dell’occidente cristiano
(per la destra) e illuminista (per la sinistra). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Naturalmente, in un’ottica
universalistica sostanziale vi sono ottimi argomenti per respingere come odiosa
la pratica della lapidazione delle adultere (sul Burka la cosa è più complessa
anche se si può ben dire che si tratta di una sgradevolissima coercizione ). Il
punto quindi non è certo giustificare o accettare come relativamente valide (in
ottica relativistica, appunto) pratiche evidentemente odiose. Il punto è
semplicemente comprendere il carattere totalmente parziale e strumentale della
crociata ideologica e tirarsene fuori. La crociata, non a caso ha sempre
obiettivi specifici (Islam, Cina, “dittature” sud-americane, diritti umani in
Sudan, dittature militari in Medio-Oriente e in Asia centrale etc etc) e raramente affronta il problema
dell’universalismo dei valori e dei principi mettendo sull’arena della Verità
tutte le immondezze culturali e sociali prodotte dalle diverse società, a
partire ovviamente dalle società occidentali capitalistiche ciniche spietate
dissolute e prostituite. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il vero obiettivo della crociata
non è il Burka o la lapidazione delle adultere, né l'integralismo islamico in
sé (come noto svariati gruppi islamisti anche estremisti integrabili sono stati
finanziati lautamente dai servizi segreti occidentali per obiettivi
geopolitici). Il vero obiettivo della crociata anti-islamica sono i limiti al
capitalismo finanziario posti dalla Sharia, le incompatibilità tra un certo
Islam politico e il capitalismo assolutizzato, gli obblighi caritatevoli
strutturali delle economie islamiche e, naturalmente, la conquista geopolitica
del cuore dell’Asia e del Medio-Oriente (altro che il Burka o l'incompatibilità
tra Islam e diritti umani).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
In questo senso, quindi, il dibattito
tra universalisti con il fucile e gli aerei carichi di bombe contro antropologi
relativisti non offre davvero alcuno spunto sostanziale, se non l’interessante
studio sociologico e politico della “teologia interventistica dei diritti umani
e della democrazia”. Tale immonda cultura è così pervasiva da aver penetrato
tutti gli ambienti ideologici, da destra e sinistra, assumendo secondo i casi
diverse sfumature. Ma la sostanza ultima è sempre la medesima: tutti i popoli
del mondo dovrebbero anelare a società basate sulla democrazia procedurale di
tipo occidentale e sui diritti umani e se non anelano a questo è perché
sbagliano e non sanno cosa devono volere, e pertanto siamo legittimati ad
imporglielo, con le buone (propaganda, radio, pubblicità, pornografia) o con le
cattive (bombe, uranio impoverito, invasioni terrestri, stermini di massa,
occupazioni militari permanenti). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Ma vediamo meglio i due cardini
di tale ideologia interventistica. La democrazia, svuotata completamente di
sostanza, è intesa come democrazia liberale di società capitalistiche,
possibilmente a sistema maggioritario e possibilmente con il diritto di
spendere miliardi in campagne di propaganda finanziata da banche, assicurazioni
e grande imprenditoria da parte degli unici due candidati ammessi di fatto. Si
tratta naturalmente di un’impostura concettuale di inaudita gravità. Democrazia
letteralmente significa potere del popolo, o, ancora meglio, popolo al potere
ed intende, in termini sostanziali, la partecipazione più o meno diretta (e più
o meno delegante) del popolo alla gestione del potere e del governo, alla
gestione quindi di tutti i momenti della socialità materiale e ideale che si
esprimono collettivamente. Non è questa la sede per un’accurata disamina del
significato profondo di democrazia e di tutte le sue potenziali innumerevoli
sfumature. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E’ tuttavia certo che la
democrazia agitata dai teologi dell’interventismo occidentale è solo ed
esclusivamente una procedura formale ed una struttura istituzionale ben precisa
cui viene contrapposto sempre l’incubo della dittatura indipendentemente dai
rapporti sociali sostanziali che una determinata società esprime. Il
pluripartitismo ad esempio, o l’esistenza di elezioni ogni cinque anni non sono
di certo garanzia di democrazia in senso sostanziale. D’altro canto il
monopartitismo non è di certo sinonimo di dittatura e di assenza totale di
democrazia. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
In un paese come Cuba si vota
ogni 2 anni per le assemblee municipali e ogni 5 anni per quelle provinciali e
nazionali ed esiste, a livello municipale il diritto di destituzione
dell’eletto da parte degli elettori (cosa da noi inesistente). Nelle elezioni è
vietata la propaganda pubblicitaria e i candidati si possono confrontare in
arene pubbliche dove possono esprimere le loro idee, i loro meriti senza
denigrare l’avversario. L’affluenza alle urne
mediamente supera il 98% degli aventi diritto. Vi è però un partito
unico (che coordina l’attività politica ed è di per sé estraneo all’assemblea
legislativa) e i candidati non si scelgono sulla base del pluripartitismo, ma
all’interno della legittimità costituzionale su base personale. Tutto questo
per sovrana decisione del popolo cubano che ha ratificato tramite referendum la
costituzione del 1976 che tra le altre cose prevede anche il sistema monopartitico.
A Cuba inoltre esiste il diritto assoluto al lavoro, ad uno stipendio
dignitoso, alla sanità e all’istruzione gratuite. Esistono altresì particolari
doveri di fedeltà alla nazione e allo Stato: ad esempio in termini di
prestazioni sanitarie in loco da parte di medici formati dal sistema
universitario nazionale (con i soldi di tutti) e che non possono (giustamente)
andare a guadagnare miliardi in qualche clinica statunitense. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tutti questi elementi, senza per
questo affermare che Cuba sia l’esempio cristallino di democrazia perfetta (di
problemi in questo senso ne ha sicuramente molti), sono nella sostanza elementi
forti di partecipazione del popolo al potere e alla comunità nazionale, in un
reciproco rapporto di diritti e doveri e in un tentativo di neutralizzare il
potere (ben più debole tra l’altro rispetto ad un paese capitalista) del denaro
(divieto di propaganda). Al contrario invece, nei termini della teologia
democratica interventista, si tratta di elementi che limitano e ostacolano la libertà
e quindi la democrazia (in particolare il monopartitismo e i vincoli di fedeltà
allo Stato, ripetutamente presi ad esempio del carattere dispotico e
dittatoriale dell’isola caraibica). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Al contrario gli USA e i paesi
dell’Unione Europa sono, nell’ottica della teologia democratica, paesi
democratici a priori. Anche se i governi hanno ad esempio sottoposto (nel caso
dei paesi europei) le loro stesse costituzioni a pesanti modifiche sostanziali
a causa dell’adesione a trattati UE non soggetti a consultazione popolare
(oppure, se sottoposti a referendum, senza alcuna considerazione del
risultato); anche se nelle elezioni è permessa la propaganda e il libero
finanziamento da parte di privati miliardari; anche se esercita di fatto il
diritto di voto il 40-50% della popolazione (Stati Uniti); anche se esistono
sistemi maggioritari che impediscono ai partiti meno forti di avere voce in
capitolo; anche se un cittadino può avere una grave malattia e non essere
curato etc etc…<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Siamo di fronte quindi ad un
tentativo di imporre un concetto puramente procedurale di democrazia, che, nel
suo aspetto strumentale, altro non è che la copertura dei termini più volgari e
diretti “capitalismo” e “mercato”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Discorso analogo vale per i
cosiddetti diritti umani, estrapolati come categoria generica. Andiamo in
questo caso direttamente al loro aspetto manipolativo e strumentale. I diritti
umani diventano il metro di giudizio per incriminare qualunque capo di Stato
scomodo che attui politiche repressive o di limitazione di alcune libertà. Il
contesto in cui tali pratiche avvengono, naturalmente per i teologi
interventisti non ha nessuna importanza. Mentre scrivo assistiamo impotenti ai
criminali bombardamenti imperialisti sulla Libia effettuati con la scusa
ignobile della difesa dei diritti umani della popolazione civile. E’ormai
evidente a tutti che la controffensiva di Gheddafi (al di là del suo carattere
sproporzionato o meno che fosse) è tuttavia avvenuta in risposta ad azioni di
violenza e conquista militare da parte di gruppi armati decisi a rovesciare
l’ordine costituito con la forza (altro che manifestazioni pacifiche di
piazza!). Qualunque capo di Stato al mondo sarebbe intervenuto (e avrebbe fatto
il suo dovere) con l’esercito in difesa dell’integrità territoriale del proprio
paese e della sua sicurezza. Questo va affermato al di là delle ragioni o dei
torti delle due parti e al di là dei rapporti con l’imperialismo straniero (con
tanto di dotazione di armi e linee strategiche) che i ribelli hanno avuto.
L’intervento dell’esercito di Gheddafi è stato quindi un intervento ordinario e
consequenziale alla natura degli eventi. Inoltre (e qui siamo alla menzogna
mediatica diretta) non vi è stato nessun bombardamento di folle inermi o di
manifestanti pacifici, né fosse comuni (tutte notizie la cui falsità si è poi
rivelata esplicitamente). Eppure l’intervento armato degli imperialisti è stato
giustificato con la scusa dei diritti umani e della violazione dei diritti
della popolazione civile. Una logica che Ë stata sostenuta (in diverse versioni
e sfumature), oltre che dalla classe politica per intero (o quasi), da decine
di intellettuali di sinistra (da Flores d’Arcais a Rossana Rossanda) sacerdoti
“pacifisti” della teologia interventistica (in alcuni casi favorevoli alle
stesse bombe “umanitarie”, in altri favorevoli ad un “pacifico” cambio di
regime comunque eterodiretto e per giunta evidentemente favorevole agli
interessi occidentali). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Lo stesso copione si è
verificato d’altro canto in situazioni preparative di intervento armato o semplice
pressione diplomatica finalizzata ad ingerenze contro paesi sovrani. Alcuni
esempi: in Serbia nel 1999 (per il supposto genocidio, rivelatosi poi
inesistente, della minoranza albanese-kosovara); in Cina nel 2008 (per la
repressione della rivolta tibetana, che ha rivelato poi uno scenario
capovolto); in Birmania nel 2007 (la repressione dei monaci zafferano); in Iran
(i supposti brogli di Ahmadinejad nel 2009); in Sudan per diversi anni (per il
genocidio dei neri del Darfur). Alla base degli interventi armati in
Afghanistan e Iraq vi è stata, sotto le bufale di Al Qaeda e delle armi di
distruzioni di massa, anche la retorica dell’esportazione della democrazia. E
così via…<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Più in generale si tratta della demonizzazione del tiranno
(qui democrazia e diritti umani fanno un unico gioco), dell’ipostatizzazione
dei concetti di dittatura e dispotismo che assurgono a categorie del Male
pseudo-universali speculari a quelle di democrazia e diritti umani che
assurgono a categorie del Bene pseudo-universali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il problema della teologia
interventistica, naturalmente, non si limita ai cosiddetti interventi umanitari
armati oppure alle pressioni diplomatiche provenienti dall’alto. Si generalizza
in termini di mentalità e di cultura anche all’interno di forze non immediatamente
al servizio degli interessi del capitale, a partire dalla sinistra,
letteralmente infestata dalla mentalità formalistica “missionaria” e
suprematista dei diritti umani. Il comunicato di Sinistra e Libertà contro la
guerra in Libia, uno dei tanti comunicati connotati dal medesimo tono, parla
chiaro: “<i>Per noi il no alla guerra e l’inimicizia e l’avversione nei
confronti di Gheddafi hanno ugual rilievo. Dobbiamo uscire dal vicolo cieco tra
inerzia e guerra per generalizzare il tema dei diritti umani e della
democrazia”</i>. E ancora:…”<i>con l’obiettivo di mantenere l’integrità e
l’autonomia di quel Paese sotto un nuovo governo</i> <i>democratico”</i>; e in
aggiunta:….<i> “l’Italia si faccia promotrice di una iniziativa politica per
determinare il cessate il fuoco e l’apertura del tavolo negoziale, oltre a
richiedere l’applicazione delle parti della risoluzione 1973 che
consentirebbero di promuovere un’ intervento positivo per il cambio del regime
e la protezione dei civili”</i>. Siamo di fronte non soltanto all’equidistanza tra
aggressione imperialista e (supposta) repressione interna (in verità
configurabile come legittima risposta armata ad un attacco armato); ma anche (e
ciò per alcuni versi è ancor più grave) ad un’asserita e ribadita volontà
missionaria di esportazione della democrazia (nel senso occidentale) tramite il
rovesciamento golpista dall’esterno di quello che è un governo (nel bene e nel
male) legittimo e che ha goduto e gode dell’appoggio di larga parte della
popolazione libica. Un rovesciamento che, visto il richiamo alle Nazioni Unite
come missionari democratici, imporrebbe, alla luce dei rapporti di forza
internazionali, un governo fantoccio al servizio degli interessi occidentali.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Siamo di fronte, pertanto, ad una esplicita mentalità
coloniale in versione umanitaristica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Nel paragrafo finale sarà
discusso brevemente il problema del cosiddetto interventismo e della violazione
della sovranità degli Stati in un’ottica universalistica sostanziale (libera
sia dalle astrattezze che dalla strumentalizzazione imperialistica). Si tratta
di un problema non banale che non può essere liquidato con prese di posizione
sbrigative.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per il momento basti ribadire come l’universalismo astratto,
oltre ad avere esiti nichilistici sovrapponibili al relativismo, è oggi anche
la sponda preferita dell’occidentalismo culturale ed armato. Tanto più per
questa ragione è decisivo prenderne le distanze e confutarlo come falso. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Relativismo e universalismo astratto. Un’ unica cultura
alla base dell’individualismo e del nichilismo occidentale <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A questo punto si può sinteticamente descrivere alla luce di
quanto detto finora, quale sia il carattere complessivo della cultura
relativistica e universalistica astratta dell’occidente, ovvero, in sostanza
quale sia il carattere del cosiddetto occidentalismo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Si tratta dell’unificazione
completata del concetto di libertà liberale classico che dalle sfere
dell’economia e della politica si generalizza, nella società contemporanea
europea, anche ai costumi e alla morale, dopo la rottura degli argini morali
della borghesia (con il suo moralismo religioso e il suo patriarcalismo
autoritario) e degli argini resistenziali delle classi subalterne contadine ed
operaie (cultura rivendicativa forte, orgoglio di classe, senso del dovere,
appartenenza comunitaria tradizionale). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Una volta rotti questi argini
borghesi e proletari insieme, le società europee (la società nord-americana ha,
da questo punto di vista, tempi e peculiarità proprie), hanno generalmente
abbracciato in tutti gli ambiti dell’esistenza il concetto di libertà liberale.
A questo si unisce il mito del progresso depotenziato del suo carattere
sociale, così come era stato ereditato dall’illuminismo da parte delle tradizioni socialista e comunista. Il progresso,
non più sociale, torna ad essere progresso in sé, riassunto nel termine
generico quanto pericoloso di modernità che, nella realtà dei rapporti di
forza, finisce per essere un termine edulcorato per indicare il “progresso”
nella valorizzazione del capitale. Ogni misura contro il lavoro, di precarizzazione
e individualizzazione delle relazioni contrattuali, così come l'apertura dei
mercati, le liberalizzazioni e le privatizzazioni sono sempre descritti come
progresso e modernizzazione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Quella parte dei termini
“progresso” e “modernizzazione” che faceva riferimento fino a trenta anni fa ad
un significato sociale di tipo emancipativo delle classi subalterne (che
tutt’oggi continua ad avere nelle “periferie” del mondo), si svuota di
contenuto sociale e mantiene il carattere puramente scientifico e
apparentemente tecnico che altro non è che l’appannaggio degli interessi
capitalistici. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Libertà e progresso, svuotati
d’ogni contenuto e ridotti a feticci astratti, procedurali e tecnici, possono
essere infine alzati come bandiera dell’occidente civilizzato e possono
diventare la base dell’universalismo astratto, ideologia che consola milioni di
cittadini occidentali ridotti allo stato plebeo di consumatori di merci. Il
relativismo assoluto e totalitario della merce e del denaro come unico
parametro e metro di giudizio e paragone, viene compensato dalla patina
universalistica-astratta della libertà e del progresso, con i loro miti
derivati della democrazia e dei diritti umani.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La brutalità di una
vita piegata ai voleri divinizzati dei cosiddetti “mercati finanziari” giudici
di ultima istanza di ogni scelta politica; la miseria di un’esistenza sociale
asservita alle logiche mercantili che profanano il sacro e divinizzano il
profano. Tutto ciò viene nascosto dal problema (elevato a scontro di civiltà)
dei dittatori, dell’integralismo islamico, della tirannia, dei totalitarismi
politici, dei partiti unici, dei tentativi tirannici (non sia mai) di
sganciarsi dal capitalismo internazionale e di recuperare la sovranità politica
(interpretati come casi patologici di società chiusa popperiana che rifiuta il
confronto con l’inevitabile destino della cosiddetta globalizzazione). La
miseria e il declino culturale e spirituale del mondo occidentale vengono così
coperti dagli umanitarismi “missionari”
per la democrazia e i diritti umani nel mondo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il relativismo totale
dell'Occidente, rappresentazione ideale della sostanza materiale capitalistica,
è coperto da un ipocrita universalismo astratto privo di sostanza e (per
giunta) armato fino ai denti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E così il vero totalitarismo, quello più pervasivo
rappresentato dalla sovranità della merce sul mondo è coperto con il ben più
debole spauracchio dei totalitarismi politici.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Verso un universalismo sostanziale<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’uso imperialistico disgustoso dell’universalismo astratto
della democrazia e dei diritti umani, potrebbe indurre ad una sensazione di
rigetto del falso universalismo occidentalista così forte da far abbandonare il
bambino (l’universalismo) con l’acqua sporca (il suo carattere astratto e
procedurale e il suo uso colonialistico). Tuttavia è bene che alla prima
reazione di semplice disgusto segua immediatamente la volontà di pensare alle
basi di un universalismo sostanziale, partendo dal fatto che è proprio
l’assenza di universalismo la condizione privilegiata per l’insorgere
dell’universalismo astratto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Un universalismo sostanziale non
solo è possibile, ma è necessario se non si vuole seguire la corrente che i
tempi sembrano imporre ed è altresì necessario se si vuole opporre al sistema
di relazioni sociali capitalistiche un sistema di relazioni sociali
strutturalmente solidaristiche.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Non vi è, d’altra parte,
anticapitalismo coerente senza un universalismo sostanziale e una critica
egualmente efficace tanto del relativismo quanto dell’universalismo astratto e
formalistico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Se nella forma di merce è contenuto il relativismo, nella
demercificazione della vita sociale deve essere contenuto il suo opposto. Non
vi è critica efficace delle relazioni capitalistiche che non si basa su criteri
veritativi potenzialmente universalizzabili.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Ogni idea politica che si
propone il perseguimento di obiettivi sociali e comunitari forti, per forza di
cose dovrà ledere quel principio che tiene insieme in un’unica ideologia
distruttiva il relativismo e l'universalismo astratto, ovvero il principio
della libertà assoluta. Questo non deve essere taciuto, ma rivendicato. Un
principio preminente per forza di cose dovrà ledere un altro principio. Il
liberalismo finge che ciò non sia vero e rivendica il suo falso carattere
libertario e inclusivo, ma la sua logica sibillina e strumentale alla difesa di
relazioni di potere, va respinta e le cose vanno presentate per come sono. Se
riteniamo giusto il diritto alla casa, dovremmo ledere la libertà di libera
compravendita delle case. Se riteniamo giusti salari più alti, dovremmo ledere
orgogliosamente il diritto di pagare salari bassi. Se riteniamo cattiva e
umiliante la prostituzione femminile dovremmo ledere due libertà: quella dello
sfruttatore di sfruttare la prostituzione, ma anche quella della donna di
volersi prostituire per soldi ricevendo per questo un riconoscimento sociale
(quand’anche in una libera società senza sfruttamento); se riteniamo pernicioso
l’uso della droga e decidiamo di bandirla dovremmo ledere due libertà: quella
del venditore di venderla e quella del consumatore di consumarla; se riteniamo
buona la sanità pubblica e vogliamo generalizzarla dovremo ledere un’infinità
di principi tra cui ad esempio quello di libertà di lucrare sulla sanità
privata, quello di libertà del medico di andare a lavorare all’estero per
cliniche private per un certo numero di anni etc etc. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La libertà pertanto come
concetto in sé, se si parte da una concezione sociale dell'essere umano, non
può che essere subordinata a criteri più profondi e sostanziali e a finalità
più alte. Ciò non significa certo che la libertà personale si eclissi e cessi
di esistere. Significa al contrario che deve essere spogliata della sua
assolutezza per interagire con il contesto collettivo e quindi, in conseguenza,
realizzarsi in pieno come libertà sostanziale individuale e sociale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Al criterio capitalistico e liberale della libertà da
qualcosa va sostituito il criterio della libertà comunitaria di libertà per
qualcosa.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Anche il concetto di progresso
materiale deve essere spogliato della sua assolutezza, rivendicando la
sovranità umana e collettiva sui suoi meccanismi apparentemente automatizzati e
neutrali (ma che neutrali non sono affatto). Il progresso deve rientrare in una
decisione di tipo politico e non scaturire da forze impersonali e la stessa
decisione politica deve contemperare l’esigenza imprescindibile del progresso
materiale e scientifico in termini di sviluppo con altre priorità esistenziali
e sociali egualmente politiche (problemi etici di qualsiasi tipo). La scienza,
oggi tendente ad assolutizzarsi, deve tornare ad essere sottomessa alle
decisioni etiche umane ponderate sulla base di principi diversi, a volte
conflittuali, egualmente degni di considerazione. Anche il progresso, quindi,
come la libertà, deve essere subordinato ad altri criteri di valutazione e
spogliato del suo carattere assoluto e apparentemente neutrale. Deve essere
demolito come ideologia e considerato semplicemente come validissimo strumento.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
I movimenti comunisti e
socialisti del novecento hanno ereditato dalla tradizione illuministica sia il
concetto di libertà che il concetto di progresso sottoponendoli tuttavia ad
un’efficace e importante critica. In particolare la libertà è stata riabilitata
come libertà sostanziale in opposizione alla libertà formale di tipo borghese.
L’uomo, cioè, può essere davvero libero se liberato dalla catene dello
sfruttamento sostanziale. Allo stesso modo il progresso generico di tipo
borghese è stato da un lato assimilato
in senso filosofico come ideologia lineare, da un altro lato reinterpretato
come progresso sociale (sia materiale che morale). In particolare comunismo e
socialismo, così come tutte le istanze politiche socializzatrici contrapposte
materialmente al capitalismo e ideologicamente al liberalismo e ad ogni altra
giustificazione filosofica del capitalismo, hanno contrapposto alla libertà e
alla giustizia contrattualistica borghese, una libertà ed una giustizia
sostanziali possibili solo all’interno di relazioni produttive cooperative ed
egualitarie.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Ciò che però è quasi sempre
mancato nella tradizione comunista e socialista è l’ammissione esplicita della
necessità di agire in nome di un criterio di Bene e non solo di Giustizia
(intendendo quest’ultima come criterio di proporzionalità tra lavoro profuso e
salario pagato) e di Liberazione dalle catene della dipendenza e dello
sfruttamento<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Vi è qui un passaggio fondamentale che sarà spiegato
accuratamente nei prossimi paragrafi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Dall’universalismo incompleto della Giustizia di classe e
dell’uguaglianza sostanziale, all'esplicitazione del concetto di Bene<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per principio o concetto di Bene come criterio valutativo
della realtà umana mi riferisco ad un orientamento che considera possibile
interpretare come Buono o Cattivo, sulla base della distinzione tra Bene e Male,
tutto ciò che è proprio dell’Uomo e
appartiene all’Uomo. Una interpretazione che è possibile solo se si ammette
l’esistenza di una Verità sulla condizione umana in generale, sui bisogni
dell’Uomo e sulla sua realizzazione esistenziale, ovvero una Verità ontologica
sull’essenza generica dell’essere umano, cioè sulla Natura umana.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La comprensione del fatto che la
società è classista, che esistono proletari e borghesi, salariati e
capitalisti, dominati e dominanti, sfruttatori e sfruttati etc etc.. è chiaramente
decisiva sia per la lettura dei rapporti di forza sia per il superamento di
approcci moralistici e generalistici di carattere puramente buonista, avulsi
dalla realtà e di fatto o indirettamente schierati dalla parte del più forte, o
semplicemente incapaci di cogliere i caratteri sistemici delle strutture
sociali (in nome di un malinteso ed astratto criterio di Bene alienato dalla
realtà). L'analisi strutturale dei modi di produzione e la conseguente forte
rilevanza posta sugli aspetti sistemici e gli automatismi delle strutture
sociali, veri punti forti e
irrinunciabili dell'analisi marxiana, mettono al riparo dal rischio di cadute
moralistiche o prive di sistematicità e di capacità di sintesi completa della Totalità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tuttavia la divisione materiale in
classi e l'esistenza di forze ed automatismi sistemici e strutturali, non è una
buona scusa per fare finta che l’Uomo (Uomo come ente generico, non come
persona singola) non esista. L’Uomo esiste eccome ed esiste non solo come
maschera di carattere sociale, ma come Uomo in sé. Per questo il concetto di Bene per l’Uomo,
purché inteso e compreso contestualmente alla dinamica classista, diseguale e
strutturale della società, è un concetto universalistico dirompente, assai più
dirompente dell’universalismo della Giustizia di classe e dell’Uguaglianza
sostanziale (concetti, in verità, inclusi essi stessi entro il concetto di
Bene).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La preminenza logica del concetto di Bene presuppone per
forza di cose un superamento-conservazione dei concetti puri e semplici di
Liberazione sociale, di Uguaglianza sostanziale e di Giustizia presi di per sé
(concetti centrali, pragmatici ed ideali insieme, della tradizione socialista e
comunista). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’universalismo della giustizia
di classe (universalismo della prassi) e dell’uguaglianza sostanziale
(universalismo ideale della prospettiva) è stato il punto forte
dell’universalismo dei movimenti comunisti e socialisti di stampo marxista.
Tale universalismo ha avuto senza dubbio una funzione decisiva e grandiosa
nello smascheramento dell’universalismo astratto di tipo borghese e liberale, poiché ha rivelato la sostanza
classista e violenta dei rapporti economici oltre la loro apparente forma
armonica e libera. Ha così universalizzato il concetto di giustizia e di
uguaglianza in senso sostanziale, rompendo l’ipocrisia della giustizia e
uguaglianza formalistica liberale e rompendo altresì le ipocrisie di ogni
umanismo destrutturalizzato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Oltre questa straordinaria
operazione di pulizia e di chiarezza sociale compiuta dalla tradizione
socialista e comunista (in buona parte sulla base delle categorie marxiane),
resta, tuttavia, il problema della debolezza di un universalismo basato sia
sulla verità della giustizia di classe o, più in generale, sulla verità della
giustizia degli oppressi (che, sia chiaro, hanno il sacrosanto diritto di
ribellarsi contro i loro oppressori), sia sull’uguaglianza sostanziale degli
uomini. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Due osservazioni devono essere svolte in proposito. Prima di
tutto tale universalismo (che pure mantiene una sua forza ineliminabile)
conosce una sua specifica degenerazione che è
l’humus culturale di gran parte dell’attuale mondo di sinistra nelle sue
varie componenti; inoltre, cosa ben più importante, rimane un universalismo in
sé incompleto. Vediamo questi due aspetti separatamente. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La degenerazione che può subire
l’universalismo (nella sua componente “pragmatica”) basato sul concetto di
Giustizia sociale per gli oppressi e gli sfruttati, è quella di cadere in una
forma di mitologia moralistica a base sociologica che esalta la figura dello
sfruttato come motore assoluto della storia e portatore incondizionato della
verità e del trionfo delle ragioni dei deboli sui forti. Si tratta di una
impropria traduzione morale delle categorie sociali marxiane. Da ciò derivano i
numerosissimi miti moralistici del Soggetto rivoluzionario e-o ribelle, non più
visto in termini scientifici marxiani come elemento oggettivo intermodale (che
può oggettivamente rovesciare il modo di produzione capitalistico), ma inteso
moralmente nelle sue innumerevoli specificazioni (classe operaia, terzo mondo,
dannati e ultimi della terra, migranti etc etc) come portatori della ragione e
della giustizia. La versione degenerata del mito sociologico moralizzato è il
mito della ribellione in sè, della rivolta contro il potere in sè, che diventa
un concetto romantico che si generalizza e si astrae dalla stessa realtà. Buoni
e cattivi, giustizia e ingiustizia, ragione e torto diventano concetti
sociologicamente determinati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Le conseguenze farsesche di
questa mitologia sono quelle dell’ultra-sinistra moderna che (andando persino
oltre lo stesso determinismo sociologico) abbraccia la ribellione a priori
senza scomodarsi di intenderne il ruolo oggettivo, le ragioni, i metodi, e, in
ultimo (in termini totalmente anti-marxisti) neanche la stessa composizione di
classe. E’ l’apologia della rivoluzione intesa in termini di movimento puro
senza fine, quasi come processo estetico, che va a colmare probabilmente il
tragico vuoto politico e di prospettive che si respira in
questi anni nella maggior parte dei paesi occidentali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E’evidente che si tratta di una ricaduta totale nel peggiore
degli universalismi astratti del tutto speculare a quello liberale dei diritti
umani e della democrazia (tinteggiato però di toni romantici e ribellistici).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’aspetto invece più importante
della questione, riguarda il fatto che l’universalismo della Giustizia degli
sfruttati e dell'Uguaglianza sostanziale, è di per sé un universalismo
incompleto, poiché ha una base puramente sociologica (la Giustizia) e si
articola su un terreno fondamentalmente economico (l'Uguaglianza). Ha pertanto
una valenza limitata ed uno spazio angusto. Con la scusa (peraltro di per sé
corretta) che la Verità ed il Bene possono essere strumenti classisti di falso
universalismo usati da "preti, intellettuali di regime ed agenti del capitale",
che occultano la sostanza della divisione in classi della società,
l’universalismo pragmatico della Giustizia degli oppressi finisce per
autolimitarsi, riducendo la stessa portata universale della trasformazione
sociale. L’universalismo (prospettico)
dell’Uguaglianza sostanziale, invece, ha da un lato una portata più universale (non avendo una
base sociologica pura), ma é però esso stesso limitato dal proprio terreno
preminentemente economico.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’anticapitalismo e il comunismo
non possono reggersi esclusivamente né su un universalismo a base sociologica
(la Giustizia di classe), né su un universalismo a base esclusivamente
economica (l’uguaglianza sostanziale). L’universalismo, così inteso, per quanto
benemeritamente sostanziale, rimane incompleto e ridotto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per una metafisica sociale e personale del Bene come base
di un pensiero forte. </i><i>Bene sostanziale come soluzione della falsa opposizione tra nichilismo e moralismo.</i><br />
<i><br /></i>
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il comunismo, se non ridotto a pura pratica di equa
distribuzione delle risorse materiali in base al lavoro prestato (cosa
senz’altro fondamentale, ma che è soltanto una parte del problema della
trasformazione sociale), non può che
agire in nome di un riferimento al Bene di tutti. Di fatto lo stesso comunismo
storico e politico ha sempre agito in nome del Bene. Anzi, paradossalmente,
spesso lo ha fatto persino troppo, senza cioè i dovuti riguardi per le libertà
e le autonomie personali e per una maggiore democratizzazione sostanziale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E tuttavia, per ironia della
sorte, il comunismo ha sempre respinto una metafisica umanistica del Bene in
nome di una metafisica “materiale” della Giustizia di classe (ritenendo la
metafisica del Bene un residuo reazionario per ingenui religiosi, per idealisti
o per intellettuali al libro paga dei servizi segreti).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il concetto di Bene come
concetto strutturale (e non puramente individuale, opinionistico e spontaneo) è
invece un concetto guida irrinunciabile. Allo stesso tempo il suo abuso è
gravido di conseguenze pericolose. E’ cioè, da una parte, una base
irrinunciabile per un pensiero universale e veritativo, ma allo stesso tempo se
ipostatizzato o frettolosamente ingigantito ed esteso diviene la base della
soppressione del libero pensiero e dell’autonomia personale assumendo le sembianze del moralismo formale, bigotto e coercitivo (nemico giurato della Verità).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
D’altronde è proprio con la scusa del rischio della
soppressione dell’autonomia dell’individuo e del rischio di scadere nel moralismo, che il concetto di Bene è stato derubricato, dalla cultura dominante liberale (in tutte le sue varianti), a
codice dittatoriale degno degli Stati totalitari, o meglio ancora degli Stati
etici dittatoriali (dove il termine etico è usato spregiativamente, magari in
diretto riferimento alle tentazioni fasciste). Eppure non vi è Stato più etico
di uno Stato socialista e comunista che dirige una società alla luce di istanze
solidaristiche e di pianificazione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Se il comunismo, come pensiero
politico, si appropriasse di una metafisica sociale del Bene ben ponderata e
moderata abbandonando la Metafisica (parziale e sociologica) della Giustizia
(non abbandonando la giustizia sostanziale, ma la metafisica “materialistica”
della giustizia) ne avrebbe tutto da guadagnare: in primis si spoglierebbe
della pesante eredità di quelli che altro non sono che elementi liberali e
positivistici che lo depotenziano nel suo significato veritativo ed universale
e lo possono ridurre a fenomeno puramente economico o ancor peggio a fenomeno
puramente rivendicativo costruito sulla cultura della rivalsa; inoltre agendo ed ammettendo esplicitamente di agire sulla base di un
criterio universale di Bene politico e sociale, il comunismo sarebbe
sicuramente più in grado di riflettere sui limiti stessi dell’uso del criterio
di Bene collettivo evitando o limitando fortemente le invadenze e le pratiche
coercitive a ciò connesse. Solo chi cerca di agire eticamente e moralmente, del resto, può imparare a conoscere ed evitare le degenerazioni che si risolvono in moralismo formale e bigotto. Chi nega invece un orizzonte morale ed etico alla vita oscillerà in perpetuo tra nichilismo e moralismo (i due estremi opposti complementari che si completano vicendevolmente per riempire i propri vuoti speculari).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Una metafisica del Bene ben
intesa, a ben vedere, non è nient’altro che una metafisica di orientamento che sappia
ponderare in maniera equilibrata le sue pretese universali fondamentali con il
rispetto delle particolarità dei gruppi e degli individui, che sappia quindi
ponderare l’universalità con la libertà, l’assoluto con il relativo, la persona
con la comunità e la comunità con l’universalità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La metafisica del Bene permette di affermare che qualcosa è
buono per l’uomo indipendentemente dal suo desiderio contingente e individuale
temporaneo. Permette allo stesso tempo di fondare una società su criteri non
solo di giustizia, ma anche di buon esempio, virtù, senso del limite,
solidarismo strutturale, cura dell'immanenza e della trascendenza come pratiche
sociali e comunitarie e non soltanto puramente individuali (tutte cose che una
pura Metafisica della Giustizia di per sé ignora). Nel concreto solo una
Metafisica del Bene sociale e personale può permettere (senza cadere nel
moralismo) di bandire il consumo di droghe devastanti come pratica antisociale
e anti-personale o la prostituzione per soldi come pratica umiliante per la
dignità umana; oppure può permettere di considerare l'educazione, la
sessualità, la fine della vita (e tutte le enormi problematiche a ciò legate) e infine, le stesse necessità spirituali dell'uomo come
fatti sociali di rilevanza etica non solo personale, ma anche collettiva. Più in generale
solo una metafisica del Bene sociale e personale può dare una sostanza
etico-politica a tutto ciò che non risponde semplicemente al criterio
valutativo di Giustizia-Ingiustiza (formalistico liberale o sostanziale socialista che
sia). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Una metafisica del Bene permette
inoltre di strutturare il Bene all’interno di una tradizione materiale e ideale
che diviene sistemica facendo in modo che essa non sia relegata soltanto ad una
scelta e una scoperta esclusivamente personali. Tipico del liberalismo e spesso
anche di un certo cattolicesimo ultra-personalistico è relegare al piano
personale la virtù considerando il piano comune e collettivo come pura materia
neutrale priva di forza espressiva, provocando così una grave scissione tra
piano sociale e piano personale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Allo stesso tempo, trattandosi
di una metafisica ben ponderata (non invasiva dunque), la Metafisica del Bene
permette di tenere distinti (ma non separati) il terreno personale e il terreno
comune, sapendo ad esempio stabilire un confine (esso stesso etico e cosciente)
tra scelta personale e scelta comune e sapendo altresì comprendere la
centralità della persona e del suo cammino esistenziale per l’acquisizione del
Bene stesso; sapendo, in definitiva, intendere “personale” e “comune” come
piani distinti, ma non separati e sfuggendo contemporaneamente sia il pericolo
dell’annullamento di una metafisica sociale (relativismo sociale in tutte le
sue forme) sia il pericolo opposto dell’invasività e dell’annullamento della
persona (ipostatizzazione assoluta della metafisica sociale del Bene ed
annullamento della sfera personale,
con possibile insorgenza del relativismo dei costumi e della morale come naturale risposta oppositiva).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E' evidente che, una volta posta
la necessità di una Metafisica del Bene, il rischio di una ricaduta nel
relativismo è un rischio che può insorgere da due direzioni, nel momento in cui
la Metafisica del Bene si riduce a Metafisica parziale solo personale o solo
sociale. In questi casi il relativismo si appropria della dimensione sociale o
della dimensione personale lasciando campo libero al moralismo, che altro non è se non la realizzazione parziale e scissa di una Metafisica privata della
totalità. Soltanto una Metafisica del Bene personale e sociale può fungere da
vero antidoto verso il rischio di una ricaduta nel relativismo e nel suo contraltare: il moralismo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Metafisica del Bene e unificazione dei concetti di Bene e
Giustizia.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E’ chiaro che una metafisica del Bene, personale e sociale,
è a priori incompatibile con il capitalismo come modo di produzione che ha e
non può che avere come base logica e filosofica di legittimazione il nichilismo
(che è per definizione al di là del bene e del male). Ogni tentativo di
conciliare il capitalismo (tanto più il capitalismo privo di compromessi
politici forti e di mediazione sociale) con una metafisica del Bene finisce per
risultare non soltanto contraddittorio, ma anche enormemente pericoloso.
Sarebbe infatti destinato a scadere nel moralismo, nella scissione del piano
sociale da quello personale e nella legittimazione di fatto delle strutture
sociali nella loro ingiustizia, nel loro classismo e nel loro nichilismo
strutturale. Si avrebbe cioè esattamente quella situazione di ipocrisia sociale
e morale che ha spinto comunisti e socialisti a contrapporre una metafisica
secolare della Giustizia di classe all’ipocrita metafisica del Bene, coperta viscidamente dal falso cristianesimo, dei
sacerdoti e dei falsi universalisti della società classista capitalistica. Ma
come al solito con l’acqua sporca (uso moralistico e classista del Bene e
metafisica ipocrita del Bene) è stato buttato via anche il bambino (la metafisica
del Bene in generale).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Al rovescio, ogni tentativo di
proporre un’alternativa strutturale solidale al capitalismo (società socialiste
e comuniste) private di una metafisica sociale del Bene è destinato ad essere
fagocitato all’interno delle stesse categorie concettuali proprie del
liberalismo (ben adatte invece al
capitalismo), ed a scontare un'eguale scissione tra piano personale e piano
sociale, piano economico (egualitario e quindi necessariamente ispirato ad un
criterio forte di Bene, che lo si ammetta o no) e piano non economico.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Bene e Giustizia in verità si
dovrebbero fondere in un unico concetto sintetico, impedendo contemporaneamente
sia le fughe sociologiche e deterministiche (che temono il Bene come paravento
idealista interclassista), sia le fughe moralistiche e de-strutturate (che
concepiscono la Giustizia in termini interni alle strutture sistemiche.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
D’altro canto il Bene senza
Giustizia diventa moralismo consolatorio e la Giustizia senza Bene diviene una
pura pratica di equa distribuzione e di equa corrispondenza tra dare e avere. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Va detto comunque che in termini puramente logici il Bene
precede la stessa Giustizia che da esso scaturisce ed in esso si struttura. La
stessa possibilità di pensare la Giustizia ci è data dal discernimento tra Bene
e Male. In questo senso un concetto di Bene inteso correttamente ed
esaustivamente dovrebbe includere in sé il concetto di Giustizia ed entrambi
dovrebbero essere la base ideale per un universalismo sostanziale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La Metafisica del Bene e il pensiero di Marx<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il rifiuto (implicito) di una metafisica del Bene nel
pensiero di Marx ha probabilmente due origini: la prima è stata già tracciata
nei paragrafi precedenti e concerne il problema del rapporto tra
Giustizia-Uguaglianza e Bene. Si tratta del fatto che il Bene senza una
contestuale analisi strutturale della società, si trasforma in un concetto
parziale e moralistico al servizio, spesso e volentieri degli interessi della classe dominante. Il rifiuto di tale categoria come riferimento ontologico è quindi da
questo punto di vista fin troppo spiegabile e storicamente sensato. Tuttavia, come già detto, l'errore
è rinunciare alla categoria in sé per colpa del suo evidente uso moralistico e
classista degenerato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Vi è però un secondo problema,
forse più importante e decisivo. Si tratta dell'essenza stessa del sistema
filosofico di Marx all'interno del quale non vi è spazio per una concezione
sistematica del rapporto tra individuo e collettività. E' un problema enorme al
quale in questa sede si accennerà soltanto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Nel sistema marxiano, interpretato
globalmente, non vi è spazio per una concezione del rapporto tra individuo e
comunità fondata sulla distinzione e insieme la reciproca interdipendenza e
unità tra persona e comunità, tra singolo e forze sistemiche (distinti, ma
interconnessi). Questo perché l'immensa (e insuperabile) teoria strutturale dei
modi di produzione concepisce (giustamente!!) la persona come maschera sociale, e
(in quella sede) fa benissimo a farlo per non scadere in spiegazioni
moralistiche dei processi sociali, cogliendoli nello loro oggettività (in
questo sta la grandezza inestimabile dell’analisi dell’economista-filosofo di
Treviri).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tuttavia Marx non lega a tale insuperabile
teoria strutturale, una autonoma teoria filosofica della natura umana e della
persona (unificando poi il tutto in un’unica teoria filosofica complessiva), ma
subordina quest'ultima alle stesse conclusioni “strutturalistiche” tracciate
nella teoria strutturale dei modi di produzione. Ovvero propone una concezione
dell'Uomo in termini integralmente storicistici (e quindi nichilistici). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tale forma di determinismo è
alla base di una proposizione del comunismo in termini integralmente economici
come semplice rovesciamento del capitalismo, seguito dallo spontaneo
instaurarsi di libere associazioni di produttori, senza Stato, senza potere - la
dittatura del proletariato è una fase temporanea inter-modale - (che non sia la
mera amministrazione delle cose), senza intermediazioni a carattere etico e
strutturale. Nel comunismo realizzato, non solo lo Stato, ma la Politica, il
Diritto, la Filosofia sono destinate a dissolversi nella realizzazione della
definitiva riconciliazione dell'Uomo con sé stesso e con la Natura. Si tratta
di un'utopia economica e, paradossalmente intimistica e individualistica (come
rovesciamento di un iniziale approccio iper-sociale), in cui la mediazione
strutturale di tipo sociale e politico può sparire per la definitiva
riconciliazione dell'individuo con la società. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E'chiaro che, entro le
coordinate di un siffatto comunismo, lo spazio per qualsivoglia metafisica del
Bene sociale e personale non può esservi, poiché non vi sarebbe a priori alcuna
necessità di una metafisica strutturale che elevi l'idea di Bene a riferimento
sistemico. Il Bene nel comunismo marxiano non ha bisogno di strutturazione,
poiché è acquisizione naturale di uomini liberi cooperanti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Paradossalmente, da questo punto di vista (e solo da questo
punto di vista) siamo di fronte ad una concezione non troppo dissimile (seppur
opposta nei punti di partenza) dalla concezione espressa da un certo
cristianesimo ultra-personalistico (da distinguere dal cattolicesimo sociale)
che ignora (o meglio ignora selettivamente) le forme sociali nella loro
sostanza etica totale, e non troppo dissimile dalla concezione dello stesso liberalismo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Nel pensiero di Marx la persona
si dissolve nelle forme sociali del capitalismo, mentre le forme sociali si
riconciliano totalmente, annullandosi (ovvero destrutturandosi e perdendo di
consistenza sistemica) con la persona nel comunismo realizzato, che è infatti
il rovesciamento puro del capitalismo e la soluzione finale della
contraddizione tra individuo e società. Pertanto non v'è spazio per un rapporto
dialettico e complesso tra individuo e comunità. Si passa cioè
dall’assorbimento della persona nelle strutture sociali (capitalismo) alla sua
emancipazione nella liberazione da queste ultime (comunismo realizzato).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Nel cattolicesimo “ultra-personalista”
(selettivamente), così come nel liberalismo (integralmente), le forme sociali
sono invece a priori separate e spogliate di sostanza etica ed è solo la
persona (nei rapporti con l’altro) o l’individuo (assolutizzato) ad essere
titolare della moralità (che fa tutt'uno con l'eticità). Anche in questo caso
non vi è spazio per un rapporto etico dialettico tra strutture sociali (dotate
esse stesse di sostanza etica propria e strutturale) e persona (l'elemento
morale fondamentale). Non vi è spazio cioè per una <i>Verità sociale e personale</i> insieme distinta e unificata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Pur partendo da opposti punti di
partenza il pensiero di Marx, il liberalismo e il cattolicesimo
ultra-personalista, condividono l'impossibilità di definire un rapporto
dialettico di interdipendenza tra individuo e comunità. Proprio per questa ragione condividono l'impossibilità di fare
propria una metafisica strutturata del Bene insieme sociale e personale. Il
liberalismo non può per definizione avere una metafisica del Bene, poiché è
fondato su un concetto astratto di tipo relativistico, ovvero quello di Libertà
assoluta. Il cattolicesimo politico, nelle versioni ultra-personalistiche
integrate di fatto nel paradigma liberale, propone una metafisica del Bene
personale scissa però dalle dinamiche sociali (considerate solo selettivamente
per ciò che concerne i cosiddetti temi etici - aborto, eutanasia, sessualità etc).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il pensiero di Marx rinuncia di fatto ad una
metafisica del Bene per aver sottomesso l'intero sistema filosofico alla logica
della teoria strutturale dei modi di produzione, isolando la persona ad ente
morale insieme inglobato nelle e separato dalle strutture sociali, senza
possibilità di <i>un’unità nella distinzione</i>
tra persona e società e quindi di una comunicazione costante tra il piano etico
personale e sociale-strutturale. L’aspetto critico del pensiero di Marx non è
tanto un presunto schiacciamento della persona e dell’Uomo nel mostro economicistico
della società collettivizzata e anonima (critica totalmente superficiale e poco
incisiva condivisa dai liberali e da buona parte dei cattolici); l’aspetto
critico è, al contrario, la mancata dialettizzazione tra sfera personale e
sfera sociale dovuta, non ad un eccesso di collettivismo de-individualizzante,
quanto, all’opposto, ad un salto nel vuoto dall’individuo alla totalità
universale, ovvero ad una personalizzazione dell’universale senza mediazioni (o
se si preferisce ad un’universalizzazione del personale). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Paradossalmente, come visto, si tratta dello
stesso identico vizio filosofico dei critici radicali del marxismo, liberali e
cattolici ultra-personalisti. Mentre
però questi ultimi neutralizzano a priori l’eticità delle strutture sociali (e
quindi non hanno alcuna intenzione di modificarle - di qui la loro totale
adesione al capitalismo-) il pensiero di Marx invece (e qui ovviamente sta la
gigantesca differenza) ne esalta il carattere condizionante e determinante (in
negativo), e ne auspica pertanto la neutralizzazione e la destrutturazione
finale, che potrà avvenire soltanto nella liberazione sostanziale, quella del
comunismo realizzato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Dal momento però che le
strutture sociali non scompariranno mai in quanto strutture condizionanti
(poiché permanenti e parti integranti
del rapporto contraddittorio e complesso tra Uomo e società), l’unica
possibilità (scartando a priori la ricaduta nelle categorie sociali e
istituzionali capitalistiche, per quanto socialdemocratiche possano
essere) è far si che esse siano buone
secondo la natura Umana e i Bisogni umani. Buone in quanto <i>strutture sociali sistematizzate</i> e portatrici di eticità sociale e
comunitaria (materiale e ideale) che si propaga verso le stesse persone
unificando (nella distinzione e nella reciproca interazione infinita) etica
sociale e moralità personale, sfuggendo in tal modo lo spettro del moralismo
sociale e insieme del socialismo de-eticizzato. Strutture sociali, infine, che siano buone senza che tale bontà diventi una soluzione messianica e secolare del male umano. Una bontà misurata, quindi, che non travalichi, affondandolo, lo spazio della singola persona, ma lo contamini e lo guidi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Alla luce di queste
considerazioni si può dire che, soltanto l'innesto di una metafisica del Bene e
della Verità, sociale e insieme personale, all'interno dello strutturalismo
marxiano (ovvero all’interno dell’irrinunciabile comprensione della centralità
delle forze sistemiche materiali e non), può fungere da terreno ideale per un
pensiero politico di opposizione radicale alle dinamiche capitalistiche nonché
per un universalismo forte di tipo sostanziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La Metafisica del Bene e il comunismo storico
novecentesco<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il comunismo storico novecentesco (da tenere ben distinto
dal pensiero di Marx), così come tutte le società che hanno posto come
principio irrinunciabile un dominio e un controllo politico forte sui
meccanismi distruttivi del sistema di sfruttamento e concorrenza e sulla
dissoluzione dell’anarchia sociale, ha implicitamente fatto ricorso ad una
metafisica sociale del Bene, inconsapevolmente o meno che fosse. E, al di là
della giustissima critica delle invadenze e delle gravi illiberalità commesse,
ha fatto benissimo a servirsene (anche se per questa ragione ha dovuto sorbirsi
le malintese critiche libertarie confusionarie) poiché una metafisica,
quand’anche malintesa, del Bene sociale e dell’equilibrio, è pur sempre
superiore all’apologia del nulla e dell’abolizionismo sociale caotico (che
stanno invece benissimo con il capitalismo, ed è per questo che, anche quando
assumo i panni dell'anticapitalismo, sono ampiamente tollerati dagli apparati
politici e mediatici di controllo delle società occidentali) <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
La mancata ammissione di ciò che
è invece ovvio (ovvero che il Comunismo è possibile soltanto alla luce della
centralità del criterio di Bene e di una metafisica del Bene), ha portato,
nelle società del comunismo storico novecentesco a due ordini di conseguenze:
da un lato l'assunzione di inutili ed
odiose posizioni quali l’ateismo di Stato o le crociate anti-religiose
(compensate in parte e fortunatamente da un certo pragmatismo tradizionalistico
successivo, come nel caso dello stesso stalinismo); da un altro lato
all'incapacità nel saper limitare le invadenze impositive del sistema politico
collettivo, paradossalmente proprio in nome di un malinteso ed iper-esteso
criterio di Bene secolarizzato e nascosto sotto il nome di Giustizia
proletaria.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’eccesso dispotico del
socialismo reale, in questa chiave di lettura, non è stato il frutto di una
concezione politica assolutistica veritativa esplicita (idea questa condivisa
dall’ultra-sinistra libertaria e dai liberali e neo-liberali); è stato, al
contrario, il frutto della mancata ammissione esplicita di riferimento ad una
metafisica sociale complessiva, della sua contestuale copertura con una
metafisica “materiale” parziale della Giustizia (apparentemente oggettiva e
naturale) e la conseguente incapacità di limitare le stesse pretese della
Metafisica sociale di cui di fatto si faceva (correttamente) uso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
D’altro canto la non ammissione
esplicita del ricorso ad una metafisica del Bene (e la conseguente mancata
riflessione moderata e “democratica” sul concetto di Bene) conduce
necessariamente a due strade senza ritorno: o quella del riassorbimento entro i
sistemi e le categorie capitalistiche
(per perdita di vigore etico e morale) o
quella della paradossale ipostatizzazione della stessa metafisica del Bene
(mascherata nominalmente da metafisica della Giustizia) e di invadenza nella
vita delle persone (poiché un concetto che non sa di esistere e non ammette di
esistere non può neanche riflettere su di sé e, per definizione, si manifesterà
di fatto in maniera parossistica ed estrema). Entrambe le strade sono
accomunate dalla perdita del rapporto di distinzione e insieme reciproca
influenza della sfera personale e della sfera comune e sociale. In un caso vi è
un Bene gigantesco e iper-esteso (che per di più rifiuta di definirsi tale e si
maschera di Giustizia materiale pura) che invade le due sfere soggiogandole.
Nell’altro caso, il peggiore, (quello del ritorno alle categorie del
capitalismo) vi sono due possibili esiti specifici: o il Bene è relegato (liberalismo condito da ipocrisie
religiose e morali) alla dimensione personale mentre si violenta, neutralizzandola,
quella sociale; oppure (liberalismo puro) il Bene semplicemente scompare. Che
dire? Meglio le ipocrisie religiose e moralistiche del nulla, ma in tutti i
casi pur sempre di un ritorno al relativismo e al nichilismo si tratta. Che sia
un'ipocrisia nichilistica o un nulla nichilistico in fondo cambia poco. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Bene e verità come concetti rivoluzionari alla base di un
universalismo sostanziale<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Vediamo, a questo punto, in che senso possiamo considerare
Bene e Verità i due concetti alla base di un universalismo sostanziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’esistenza della Verità è un presupposto della stessa
possibilità di definire il Bene. Il Bene, d’altro canto è il principio primo
che consente di risalire all’esistenza stessa della Verità come parametro
universale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bene e Verità, così concatenati, sono i due cardini di un
possibile universalismo sostanziale. In quanto tali sono due concetti
rivoluzionari che sconvolgono l’assetto delle relazioni capitalistiche fondate
sul relativismo e l’universalismo astratto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Ma come e perché il criterio di
Bene (a sua volta costituito
sull’esistenza di una Verità ontologica sull’essere umano e la sua natura) può
fungere realmente da base per un universalismo sostanziale? <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il concetto di libertà assoluta
(con i suoi corollari concetti di democrazia,
diritti umani etc etc) è di per sé nichilistico, anche quando si traveste da
valore universale. Questo perché la libertà in sé è il nulla ed è il regno del
relativo. Una volta posta la libertà infatti ogni istanza relazionale umana è
relativizzata e ridotta ad opinione. La libertà in sé non include alcun
principio sostanziale. La sua assolutezza significa esattamente la professione
di impossibilità di conoscenza del bene per l'Uomo in generale e la sua
riduzione a parametro relativo variabile da individuo a individuo. Per questa
stessa ragione il criterio di libertà assoluta preclude un confronto tra
culture e tra civiltà.. Non scavando nella sostanza dei rapporti umani e
sociali, non può porsi come parametro per il confronto universale di diverse forme
culturali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il criterio di Libertà assoluta
è dunque un criterio puramente relativistico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I criterio di Giustizia degli sfruttati e di Uguaglianza
sostanziale sono invece criteri sostanziali (dunque non relativistici), ma,
come visto, presi di per sé hanno carattere parziale e incompleto poiché
costruiti su basi puramente sociologiche ed economiche.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Diversamente il criterio di Bene
per l'Uomo in relazione alle sue caratteristiche e suoi ai bisogni universali
può porsi come criterio per una lenta e faticosa universalizzazione
sostanziale. E lo può fare solo una volta che è espresso come sintesi unitaria
di Bene – Giustizia - Uguaglianza, una volta cioé che abbia fatto i conti con
il carattere classista della società capitalistica (accogliendo la logica della
teoria strutturalistica marxiana), disvelando la natura strumentale ed astratta
dell’universalismo liberale e borghese. In quel momento e solo in quel momento
si può porre come principio universale che superi, demolendola, l’astrattezza
delle relazioni sociali apparenti (universalismo borghese e universalismo
moralistico) e superi altresì, conservandoli ed includendoli in sé, il
sociologismo dell’universalismo della Giustizia di classe e il carattere
economico dell’Uguaglianza sostanziale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E’ bene, a questo punto,
specificare una cosa. Bene e Libertà assoluta si pongono in totale antitesi non
in quanto valori (la libertà è e resta comunque un valore fondamentale), ma in
quanto principi guida di orientamento per un pensiero universale. Il criterio
guida di libertà assoluta è un' esplicita asserzione di sospensione del
giudizio sull'Uomo in generale, ovvero di relativismo (mascherato da
universalismo), poiché rimette la stessa definizione di bisogni umani e di
realizzazione umana al totale arbitrio dell'opinione individuale. Al contrario
porre il criterio del Bene come criterio preminente significa professare la
conoscibilità generale di tali bisogni e di tale realizzazione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Naturalmente la libertà e il
diritto come principi non perdono di sostanza e forza espressiva (e universale)
una volta innestati nel criterio più generale del Bene. Al contrario essi
acquistano concretezza e perdono quel carattere assoluto che finisce per
rivoltarsi contro sé stessi. D’altronde è facile osservare che la libertà
assoluta finisce sempre per negare la libertà così come il diritto assoluto
finisce per negare il diritto in quanto contraltare logico del dovere e della
partecipazione attiva. Libertà e diritto entro la categoria di Bene, invece,
diventano essi stessi concetti portanti di qualunque pratica politica e guai a
considerarli zimbelli borghesi privi di consistenza (come spesso ha fatto
erroneamente il comunismo storico
novecentesco)! Si costituiscono, anzi, nel loro carattere sostanziale come
concetti portatori di possibili principi universali di tipo sostanziale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Vediamo di spiegare meglio, ora,
in che senso e in che misura il Bene è conoscibile e universalizzabile. Si
tratta di una conoscibilità che può partire da asserzioni molto generali per
poi scendere poco a poco nel particolare secondo un processo di continua e
prudente specificazione e cauto avvicinamento alla realtà più immediata.
Vediamo come tale “metodo” può essere meglio esplicitato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Se parto, ad esempio, dal
presupposto minimo che l' uomo è: “un essere sociale e comunitario che non
realizza sé stesso fuori dalla comunità in totale isolamento”, posso giudicare
come bene l'inclusione e come male l'esclusione delle persone all'interno dei
rapporti sociali e porre questa come possibile verità universale. Si tratta di
un primo passo verso una verità minimalista (che va oltre le verità
biologiche), ma che consente iniziali confronti e avvicinamenti tra civiltà che
intendono e formalizzano la sostanza dell'inclusione in maniera anche
estremamente diversa. Ad un livello di questo tipo naturalmente mi troverei ad
individuare il criterio di inclusione in fenomeni tra di loro lontanissimi,
dalla tribù solidaristica e inclusiva che pratica comportamenti cannibaleschi
con tribù rivali, alla teocrazia medioevale, fino alla socialdemocrazia svedese
(ma non potrei inizialmente che accontentarmi di questo, per non scivolare fin
da subito nel pericolo dell'universalismo astratto e frettoloso). Se poi alla
prima definizione aggiungessi che: “l'uomo ha una dimensione sociale e personale.
Dimensioni che sono distinte, ma non separate e continuamente interconnesse” e
che “pertanto la vita sociale, così come la vita personale, ha una sostanza
etica che se negata conduce l'uomo alla sofferenza e alla scissione”, e ponessi
questa come seconda possibile verità universale sull’Uomo, avrò un secondo
punto forte (ancora minimo) per confrontare le diverse formalizzazioni concrete
con cui le diverse civiltà realizzano o non realizzano tale sostanza della
natura umana. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E così proseguendo verso
definizione sempre meno generali universalizzabili che possono assurgere al
piano di verità generali sull'uomo, come ad esempio: “l’uomo è un essere
spirituale che deve dotare di senso l’esistenza e che è portato per natura a
porsi il problema della propria fine”; o ancora “l’uomo ha una naturale spinta
realizzativa di tipo solidale, ma pur tuttavia presenta spinte contrastanti di
tipo egoistico che possono comunque essere messe in secondo piano”; o ancora
“l’uomo ha bisogno di dotare di senso il proprio lavoro alla luce di risultati
visibili e socialmente condivisi”, o ancora: “la solidarietà per essere interiorizzata e goduta, deve
avere un fondamento personale cosciente ed un fondamento sistemico
strutturale”, etc etc....fino ad arrivare ad asserzioni specifiche forti come
“L'arricchimento sulle spalle altrui è cattivo per chi lo subisce, ma anche per
chi lo pratica”; “il lavoro è un diritto e un dovere”; “la concorrenza come
principio sociale preminente è deleterio e disumanizzante”; “relazioni produttive
cooperative sono buone”; “il sistema sanitario pubblico, gratuito e universale
é buono” etc. etc.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E' chiaro che più specificherò le asserzioni più sarà
difficile che esse siano portatrici di verità generali. Più invece le
generalizzerò più l'universalismo sostanziale diverrà di tipo debole. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
E' senz'altro estremamente
difficile trovare un sano equilibrio tra esigenze veritative ed
universalistiche forti e rischio di perdita di forza generale delle asserzioni
potenzialmente universali (ovvero di arbitrio unilaterale della stessa verità).
Senz'altro si tratta di un problema enorme! Forse del più grande problema della
filosofia! Tuttavia ciò che conta è l'accettazione della logica di fondo, della
tendenza. L'ammissione cioè della possibilità di un universalismo sostanziale
basato su una nozione di Bene a sua volta dipendente da asserzioni Vere sui
bisogni umani e sulla sostanza della realizzazione della vita dell'Uomo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Se esiste il Bene in senso
generale, esso esiste come Verità. Se esiste la Verità, allora esiste il Bene
come principio universalizzabile.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Sovranità comunitaria e universalismo. L'universalismo
sostanziale come faticosa, ma necessaria soluzione dell'apparente antinomia.
Comunitarismo universale come forma di universalismo sostanziale. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’universalismo sostanziale si pone in contrasto con il
relativismo e l’universalismo astratto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si può fondare saldamente sulla coppia concettuale
(reciprocamente dipendente) di Verità e Bene.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Proprio in quanto sostanziale l’universalismo vero aborrisce
ogni universalizzazione della forma, delle procedure e tanto il paradosso
dell’“universalizzazione del relativismo”. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’universalismo sostanziale getta un ponte tra individuo e
comunità; tra comunità e universalità ed infine, solo grazie a tale mediazione,
tra individuo ed universalità (poiché l’individuo senza comunità è il nulla
astratto). L’universalismo sostanziale non sopporta la furia del dileguare
individualistica e abolizionistica dell’universalismo astratto poiché accetta
l’intermediazione delle comunità, dei gruppi e delle collettività, pur negando
loro l’isolamento in cui le relega il relativismo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
L’universalismo sostanziale in
tal senso è la base per un Comunitarismo universale che è a sua volta la base
filosofica di un comunismo e di un anticapitalismo radicale pensati in termini
di rifiuto sia delle astrattezze relativistiche liberal-democratiche, sia dei
riduzionismi sociologici ed economici di un determinato comunismo, in nome di
un’unità inscindibile tra piano materiale e piano ideale e di un’unità nella
distinzione tra individuo e comunità e tra comunità ed universale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Il problema della sovranità
dell’individuo e della comunità rispetto all’universalità rimane ovviamente un
problema gigantesco. Da un lato infatti si riconosce la sovranità dell’individuo
e della comunità rispetto ai giudizi astratti e perentori
pseudo-universalistici che vorrebbero imporre a tutte le collettività, a tutti
gli Stati e a tutti gli individui del mondo un unico orizzonte incubesco basato
sull’uniformazione coatta dell’esistenza sulla base di principi astratti.
D’altro canto si riconosce l’universalità sostanziale del genere umano e si
rifiuta il giustificazionismo relativistico, anche quello comunitario delle
tradizioni e dei costumi (per cui tutto è lecito in quanto relativo,
dall’infibulazione alla scambio di prodotti finanziari derivati, dal rogo delle
vedove alla negazione del diritto alla sanità). <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Una breve parentesi in proposito
merita di essere aperta. Si tratta di un problema di grande difficoltà
immediatamente connesso a queste considerazioni: ovvero il problema, oggi molto
attuale, della violazione della sovranità degli Stati in nome di principi
universalistici (diritti umani, interruzione di supposti massacri di civili,
democrazia e via dicendo). In proposito occorre saper distinguere una
situazione idealtipica dalla realtà dei rapporti di forza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
In un mondo teorico di comunità
di pari e di eguaglianza reale tra Stati, il problema dell’ingerenza andrebbe
risolto cautamente tramite la ricerca di un corretto equilibrio sostanziale tra
rispetto della sovranità e necessità di universalismo (e il problema rimarrebbe
comunque aperto e bisognerebbe rimettersi a prudenti valutazioni caso per
caso). Nel mondo reale capitalistico segnato da specifici rapporti di forza tra
Stati, gruppi, classi, ed in particolare dalla centralità della categoria di
Imperialismo (proprio una delle categorie oggi più rimosse dal dibattito
pubblico), è evidente che la Sovranità degli Stati minacciati di ingerenza
esterna dovrà necessariamente divenire principio di difesa della autonomia e
dell’indipendenza anche a costo di una parziale perdita temporanea ideale di
universalismo. Naturalmente il principio di sovranità non può comunque fondarsi
su sé stesso e diventare assoluto, pena la caduta inevitabile nel nichilismo e
nel relativismo. Per cui anche nei rapporti di forza reali, rimane importante
la valutazione caso per caso (l’intervento cubano in Angola o dell’Unione
Sovietica in Spagna, per intenderci, ha caratteristiche del tutto diverse dagli
interventi angloamericani in Iraq, Afghanistan, Libia, Serbia etc. etc.). Si
può dire comunque senza grande margine di errore che allo stato attuale il 95%
delle ingerenze (ovviamente non reciproche e volute) di uno Stato negli affari
di un altro Stato ha natura di dominio mascherata da umanitarismo. Pertanto il
principio di sovranità degli Stati, come hanno ben capito tutti i governanti di
paesi minacciati di finire sotto le bombe e l’uranio impoverito, merita la
massima attenzione e preminenza. La sua tutela in fondo (e la relativa rinuncia
ad un immediato universalismo) è essa stessa una professione indiretta di
universalismo di lungo periodo basato su criteri politici veritativi forti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tornando, comunque, ai termini
generali, l’unica soluzione all’apparente insolubile antinomia tra sovranità
comunitaria e universalismo è il richiamo ad una conoscenza universale di tipo
sostanziale che sappia demolire i formalismi e le procedure come false verità
che mettono falsamente in comunicazione l’individuo con l’universale saltando
arbitrariamente il passaggio tramite le collettività e le società <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Conclusioni <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La cultura di legittimazione del capitalismo è l’unione di
relativismo e universalismo astratto, procedurale e imperialistico. Nessuna
metafisica sostanziale può sostenere ideologicamente il capitalismo, poiché la
sua unica legittimazione è la libertà in sé e il suo unico fine astratto è il
progresso in sé. Entrambi i concetti sono l’immagine del nulla relazionale.
Pertanto la vera metafisica del capitalismo è la metafisica del nulla, difesa e
sostenuta dal relativismo filosofico e consolata e armata dall’universalismo
formalistico. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Tutti i tentativi di
conciliazione tra metafisiche sostanziali (come quelle religiose e-o
umanistiche) e il capitalismo e il liberalismo finiscono per trovarsi di fronte
ad un’insormontabile contraddizione e vengono svuotate della loro stessa
espressività, finendo per diventare dei diversivi estetici tollerati del
pensiero unico. D’altro canto tutti i tentativi di opporsi al capitalismo senza
una metafisica sostanziale finiscono invece per lottare contro i mulini al
vento (nella migliore delle ipotesi) o per concimare il terreno filosofico su
cui si fonda il capitalismo stesso (nella peggiore delle ipotesi)<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 35.45pt;">
Soltanto una concezione
universalistica forte e sostanziale può demolire l’impianto relativistico e
universalistico astratto dominante; e i suoi pilastri non possono che essere i
criteri di Bene e di Verità o se si preferisce di Verità e di Bene nella loro
concatenazione logica.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
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Lorenzo Dorato </div>
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<!--EndFragment--><br />
<br />Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-59558023326418151362013-03-22T08:51:00.001-07:002015-12-13T05:39:51.051-08:00Decimo anniversario della guerra imperialista contro l'Iraq. Riflessioni sulla barbarie della guerra, al tempo delle guerre umanitarieRiprendo dopo molto tempo la scrittura in questo spazio per proporre una riflessione sulla guerra.<br />
Traggo spunto dal ricorrere del decimo anniversario dell'aggresione anglo-americana dell'Iraq<br />
<br />
<br />
Nel 1945 finiva in Europa e nel mondo l'apocalisse della seconda
guerra mondiale. Una guerra spaventosa che causò tra i 50 e i 60
milioni di morti di cui ben più della metà civili, un numero simile di
feriti e mutilati e arrecò impressionanti distruzioni alle città
europee, giapponesi e cinesi, facendo scomparire in pochi anni sotto le
bombe e il fuoco pezzi interi di civiltà secolari.<br />
Barbarie
suprema dell'imperialismo, logica naturale del mostruoso conflitto su
scala sempre più ampia tra potenze capitalistiche lanciate alla
conquista della supremazia l'una sull'altra.<br />
Alla fine
dell'apocalisse ebbe inizio per l'intera umanità un 'epoca di speranzosa
rinascita.<br />
<br />
<br />
<a name='more'></a><br /><br />
<br />
La convinzione che "non sarebbe più potuto accadere" si
diffuse nell'immaginario collettivo e l'ottimismo della ricostruzione e
della crescita economica del trentennio del dopoguerra diedero
l'illusione che l'apocalisse fosse ormai un fenomeno relegato ai libri
di storia e all'epoca infelice dei totalitarismi impazziti. Del resto
furono tre gli elementi che contribuirono a far sì che non scoppiassero
nuove devastanti guerre su scala mondiale tra capitalismi e tra nazioni
capitaliste e nazioni del blocco socialista: in primo luogo l'
equilibrio gepolitico e militare tra le due super-potenze USA e URSS; in
secondo luogo la potente arma di dissuasione reciproca rappresentata
dall'atomica; in terzo luogo, nel campo capitalista, l'indiscussa e
schiacciante supremazia economica e, soprattutto, militare degli USA
rispetto ai paesi europei.<br />
Tutto ciò non impedì in ogni caso lo
scoppio di terribili guerra "periferiche" di carattere schiettamente
imperialista condotte dagli Stati Uniti per consolidare la supremazia in
aree del mondo dagli equilibri instabili: Vietnam, Corea, Angola per
citare i casi più eclatanti. E non impedì, ovviamente, il susseguirsi di
colpi di Stato, invasioni militari lampo, massacri per conto terzi,
repressioni di oppositori politic etc etc, da parte delle potenze
imperialiste (Stati Uniti in primis) contro gli Stati che
intraprendevano propri percorsi "pericolosi e devianti".<br />
Dopo il
1991, implosa l'Unione Sovietica, l'ottimismo sulla supposta fine
dell'epoca delle micidiali guerre contemporanee si consolidò
ulterioremente nell'immaginario occidentale. La caduta del comunismo
doveva rappresentare la fine dei mostri totalitari e il mito della <i>pax</i>
mondiale liberal-democratica a guida statunitense divenne sempre più
consolidato. Al contrario, il crollo dell'URSS, significò esattamente
l'opposto di ciò che veniva propagandato, ovvero l'inizio di un ciclo di
guerre contro ogni paese non allineato portatore di una linea politica
autonoma non del tutto conforme con le aspirazioni dei padroni del
mondo.<br />
Da allora la guerra smise di chiamarsi guerra per diventare
"missione di pace", "esportazione di democrazia e diritti umani",
"difesa di popoli oppressi".<br />
Iraq 1991, Jugoslavia 1994-1999,
Afganistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, destabilizzazione della Siria in
corso. Questa la sequela di guerre contemporanee condotte sotto la
bandiera della democrazia e dei diritti umani e dei bombardamenti
intelligenti di precisione.<br />
Il mito della guerra umanitaria è
stato affiancato dal mito della guerra veloce, fatta di attacchi mirati
ai centri del potere, bombe intelligenti, minimizzando il numero delle
vittime e portando rapidamente alle condizioni per una pace prospera e
una rapida ricostruzione. Questa duplice mitologia (fini umanitari e
danni limitati) è stata alla base della passiva o attiva accettazione
delle guerra contemporanee da parte di una forte maggioranza delle
popolazioni europee, ridotte al non pensiero dalla propaganda di guerra
costruita su menzogne, fotomontaggi, costruzioni ideologiche e
diffusione della paura.<br />
In questo modo, l'orrore reale della
guerra, lo stesso sperimentato soltanto 70 anni fa da chi in Europa oggi
ha 70-80 anni e ha potuto raccontare in via diretta alla generazione
che ne ha oggi 40 o 50, è stato sotterrato sotto la valanga di
mistificazioni ideologiche sulla guerra giusta e, se non sana, comunque
tollerabile e giustificabile per via di fini superiori.<br />
Le stesse
persone, i cui genitori e i cui nonni hanno vissuto l'atrocità dei
bombardamenti, dell'occupazione militare, delle privazioni fisiche,
dell'umiliazione, si sono trovate ad approvare la stessa identica
barbarie esportata in luoghi lontani ed esotici, forse troppo estranei
per poter provare empatia e vergogna. L' agghiacchiante entusiasmo delle
masse, il 9 Maggio 1936, all'annuncio della realizzazione dell 'impero,
dopo l'occupazione dell'Etiopia e il 10 Giugno 1940, all'annuncio
dell'entrata nella seconda guerra mondiale dell'Italia, tanto esecrato
(e giustamente) da chi, a posteriori, capì cosa significava una guerra
sulla propria terra e sulla propria testa, è lo stesso entusiasmo
"democratico" (e più vigliaccio, visto che la partita oggi si realizza
sempre in trasferta) di chi nel 1999 applaudiva i bombardamenti su
Belgrado, di chi applaudiva l'invasione dell'Afghanistn nel 2001, i
missili su Tripoli nel 2011 e le operazioni di guerra israeliane a Gaza
nel 2009. Mistificazione, inganno mediatico, raggiro di coscienze
pulite, disinformazione televisiva? Sicuramente le ragioni
dell'accettazione della retorica della guerra moderna "giusta" sono
molte, ma non dobbiamo credere che il grado di "devianza" e
"manipolazione criminale" sia così diverso da quello delle masse urlanti
del 9 Maggio 1936 e del 10 Giugno 1940. Cambia la forma, cambia
l'ideologia, cambia la retorica, ma la sostanza e la responsabilità
ultima rimane la stessa.<br />
Uno spiraglio di presa di coscienza sugli
orrori della guerra si verificò nel 2003 con la brutale aggressione
anglo-americana dell' Iraq. Ma, quell'apparente sprazzo di lucidità,
altro non fu che lo specchio del posizionamento specifico delle forze
progressiste europee e della Chiesa cattolica, in quella che venne
propagandata come una guerra "illegale" e "fuori misura", dunque da
esecrare, in contrapposizione con le guerra sante benedette dall'ONU,
avallate e dalle amministrazioni democratiche USA e dai corrispondenti
vassalli europei. La tragica fragilità e strumentalità del movimento di
opposizione alla guerra in Iraq nel 2003, che portò in tutte le piazze
europee milioni di persone, si rivelò in maniera lampante nel 2011 con
la vigliacca aggressione alla Libia, in cui l'Italia, contro i suoi
stessi interessi capitalistici, si prestò vergognosamente alla cessione
delle fondamentali basi militari che permisero il facile bombordamento
del suolo libico. Un'aggressione appoggiata con il massimo entusiasmo da
(quasi) tutta la compagine culturale di centro-sinistra (con il
presidente Napolitano in testa). Alle manifestazioni contro la guerra,
in quei terribili giorni, era difficile contare più di un centinaio di
persone. Dal milione in piazza contro la guerra di Bush alle poche
centinaia in piazza contro il massacro della Libia si può dire che il
tracollo sia stato quanto meno grottesco.<br />
La semplice spiegazione
di quella tragica regressione va trovata nella totale ristrettezza di
un'autentica concezione antimperialista e nell'egemonia massiccia di
posizioni pacifiste (autentiche e non ambigue) o pacifinte (strumentali
al diritto del più forte e frutto di semplice manipolazione ideologica
da parte del potere). Nel 2003 la bandiera più diffusa nelle
manifestazioni non era quella dell'Iraq (paese aggredito brutalmente da
una coalizione di assassini onnipotenti), ma quella della pace
accompagnata spesso dagli slogan "né Bush, né Saddam". Insomma
posizioni ambigue facilmente risucchiabili, al momento opportuno, dalla
retorica dei diritti umani e della guerra giusta finalizzata a portare
la pace, come si è poi evinto chiaramente dall'assordante silenzio
durante l'aggressione alla Libia.<br />
La ricostruzione di un solido
movimento contro le guerre imperialiste deve ripartire proprio dalla
presa d'atto dell'esistenza di aggressori e di aggrediti. Presa d'atto
che deve sapere andare al di là delle valutazioni di politica interna su
un paese che sta subendo un'aggressione.<br />
Ma tale ricostruzione,
in maniera se vogliamo più semplice e diretta, deve anche ripartire
dalla coscienza di cosa è realmente la guerra, dell'orrore cui sempre e
comunque conduce. Ripartire dalla coscienza della falsità dei miti della
guerra senza danni collaterali, delle bombe intelligenti. Ripartire da
una riflessione su cosa significa ritrovarsi il paese invaso da truppe
straniere di occupazione, bombardato dal cielo, immerso nel caos di
un'anarchia dove vige la legge della giungla, distrutto nella dignità,
nell'ordine relazionale e sociale, nell'integrità territoriale e morale.
Basterebbe del resto parlare con i nostri nonni per ravvivare una
memoria storica che ci riguarda molto da vicino e che non può morire.
Perché se muore quella memoria, muore la possibilità di discernere,
giudicare e prendere posizione.<br />
Il 20 Marzo, due giorni fa, è
ricorso l'anniversario decennale dell'invasione anglo-americana
dell'Iraq (con il criminale supporto ex-post dell'Italia). Le cifre sui
morti di questa atroce guerra che ha letteralmente annientato un paese
precedentemente prospero (soprattutto in termini relativi all'area
mediorientale) sono difficili da stimare. Diversi studi azzardano cifre
estremamente differenziate (da un minimo di 30.000 ad un massimo di 1
milione di morti).In ogni caso un numero impressionante di vittime, di
feriti e mutilati, un paese distrutto, tesori d'arte cancellati dalla
faccia della terra, biblioteche incendiate, segni di civiltà millenaria
scomparsi, bimbi malati e deformati perché nati e cresciuti tra fosforo e
uranio. Proprio la stessa identica apocalisse che molti pensavano
relegata ai libri di storia e all'epoca dei cosiddetti "totalitarismi".<br />
Per
ravvivare la memoria su un conflitto spesso dimenticato dai media, che
continua a causare vittime ogni giorno, avendo aperto le porte di
un'interminabile guerra civile che sta disintegrando il paese, riporto
un interessante articolo tratto dal sito osservatorioiraq.it<br />
<br />
http://www.osservatorioiraq.it/iraq-il-conflitto-pi%C3%B9-sanguinoso-del-secolo<br />
<i>di Francesca Manfroni</i><br />
<br />
Durante
l’occupazione straniera dell’Iraq, ed esattamente nel periodo
2003-2011, sono stati uccisi 116.903 civili contro 4.804 militari
stranieri, soprattutto americani.<br />
<b>Le cifre dimostrano che
la Seconda Guerra del Golfo potrebbe rivelarsi il più sanguinoso
conflitto del secolo e uno dei peggiori per vittime non militari. </b><br />
"La
proporzione di 24 a 1 è la più alta mai registrata", confessa Barry
Levy, medico e professore presso la Tufts University (USA) e co-autore
dello studio apparso su <a data-mce-href="http://www.thelancet.com/search/results?searchTerm=iraq&fieldName=AllFields&journalFromWhichSearchStarted=" href="http://www.thelancet.com/search/results?searchTerm=iraq&fieldName=AllFields&journalFromWhichSearchStarted=" target="_blank">Lancet</a>.<br />
Per
stilare il numero di civili iracheni uccisi durante gli 8 anni su cui
si sofferma il rapporto, i ricercatori hanno fatto riferimento anche
alle statistiche dell'<a data-mce-href="http://www.iraqbodycount.org/" href="http://www.iraqbodycount.org/" target="_blank">Iraq Body Count </a>(IBC), un'iniziativa indipendente nata per far luce sulle conseguenze delle violenze contro la popolazione civile.<br />
<b>Un
orrore che potrebbe assumere contorni ancor più drammatici a detta di
Mike Spagat, ricercatore presso l'Università di Londra, secondo il quale
i civili uccisi per ogni vittima militare potrebbero arrivare a 30,
incrociando i dati IBC con le rivelazioni fatte da Wikileaks nel 2010. </b><br />
Ed è
lo stesso Iraq Body Count a pubblicare il conteggio delle vittime di
questo mese, fino al 21 marzo 2013: 306, di cui 10 nel giorno del decimo
anniversario dall’invasione americana, con il bilancio dell’ondata di
attentati che hanno insaguinato il paese martedì che si è fermato a
quota 79 morti.<br />
<b>Solo durante il 2012, l'IBC ha registrato
il decesso di oltre 4.500 persone, un record negativo che vede il numero
delle vittime crescere per la prima volta dal 2009. </b><br />
Il
paese resta quindi intrappolato in uno stato di guerra a bassa
intensità, dove alla violenza quotidiana si sommano degli attacchi
'occasionali' condotti su vasta scala e mirati a uccidere più persone in
un colpo solo, proprio come è accaduto il 19 marzo.<br />
Gran parte
dello studio è poi dedicato a quello che resta dopo la Seconda Guerra
del Golfo: oggi in Iraq si assiste a un deciso aumento delle malattie
mentali, a cui si somma la <a data-mce-href="http://www.osservatorioiraq.it/iraq-la-strage-degli-innocenti" href="http://www.osservatorioiraq.it/iraq-la-strage-degli-innocenti" target="_blank">strage silenziosa dei bambini</a>
ben documentata dai tanti studi scientifici pubblicati in questi ultimi
anni, che paragonano i tassi di malformazione dei neonati di Falluja a
quelli di Hiroshima e Nagasaki.<br />
<b>La ricerca sottolinea inoltre gli </b><a data-mce-href="http://www.osservatorioiraq.it/iraq-dieci-anni-di-%E2%80%9Cterribili-abusi%E2%80%9D" href="http://www.osservatorioiraq.it/iraq-dieci-anni-di-%E2%80%9Cterribili-abusi%E2%80%9D" target="_blank"><b>effetti </b></a><b>devastanti
sul flusso di profughi (milioni) e sull'elevato livello di
contaminazione registrato in alcune aree del paese legato all'uso
dell’uranio impoverito.</b><br />
Abbandonati dal loro governo e
dalla comunità internazionale, a partire dal 2003 almeno un iracheno su
cinque ha lasciato la propria abitazione per cercare riparo altrove,
dentro e fuori dai propri confini.<br />
Secondo l'Organizzazione
internazionale per le migrazioni sarebbero meno del 10% quelli che hanno
deciso di rientrare, e spesso coloro che l'hanno fatto non hanno
ritrovato la propria casa. Gli sfollati interni sono costretti a vivere
in sistemazioni abusive senza accesso all'acqua pulita e ai servizi
igienici.<br />
E ancora: nell'Iraq del 2013 solo il 38% della
popolazione ha un'occupazione lavorativa contro un 22,5% di persone che
sopravvive con appena 2 dollari al giorno.<br />
<b>Dati
altrettanto sconfortanti riguardano i servizi fondamentali: a fronte
di sole sei ore di elettricità intermittente al giorno, un iracheno su
quattro non ha accesso all'acqua potabile. </b><br />
Attualmente,
un quinto della popolazione fra i 10 e i 49 anni è analfabeta, mentre
negli anni Ottanta l'Iraq vantava una posizione di primato nella regione
per l’alto livello di istruzione dei suoi cittadini.<br />
<b>Stando
alle stime del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, negli
ultimi dieci anni 4 milioni e mezzo di bambini sarebbero rimasti orfani e
una donna su dieci vedova.</b><br />
Infine, sono circa 600 mila i
minori che vivono in strada senza accesso ai servizi essenziali come il
cibo e la casa, e 700 sono invece ospitati nei pochi orfanatrofi del
paese.<br />
<br />
<br />
Lorenzo DoratoLorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-22938571185497989782012-04-26T04:14:00.000-07:002012-04-26T04:14:55.857-07:00Perché radicamenti?Ad un mese ed oltre dall'apertura di questo spazio, è senz'altro giunto il momento di qualificarlo in maniera più chiara nella speranza di trovare d'ora in avanti il tempo e le energie per portarne avanti i contenuti.<br />
Cominciamo dal nome. Perché radicamenti?<br />
Perché si tratta di rievocare quella che è l'esigenza più essenziale dell'essere umano, da cui tutto il resto prende le mosse: ovvero il radicamento affettivo, quotidiano e culturale entro un contesto umano particolare.<br />
E' nel radicamento entro un contesto che l'uomo riconosce la propria umanità ed è a paritre da tale appartenenza particolare che gli è possibile riconoscersi come essere universale ed identificarsi emotivamente e razionalmente nel genere umano.<br />
Lo sradicamente o il non radicamento producono invece perdita di capacità di universalizzazione di sé e facile approdo in forme di universalizzazione astratta, priva cioé di veri e propri contenuti forti.<br />
Particolare ed universale si trovano così in stretta correlazione, laddove il disconoscimento del particolare conduce ad una falsa universalizzazione depotenziata.<br />
<br />
Il liberalismo, filosofia politica e relazionale, che esercita un incontrastato dominio nel mondo occidentale moderno, è la matrice del nesso sradicamento-universalizzazione astratta. Predicando l'atomizzazione individualistica come condizione della libertà e predicando la distruzione di vincoli, limiti, regole, protezioni e tradizioni, universalizza solo ed esclusivamente la libertà intesa come "libertà <i>da qualcosa</i>" nonché il diritto soggettivo di agire indipendentemente dal contesto sociale e comunitario.<br />
Questo è il suo universalismo: un universalismo della libertà pura come concetto alienato dai contesti e dalla stessa natura umana sociale. Un universalismo che per forza di cose non può che essere astratto, in quanto fondato sul disconoscimento della realtà e della particolarità dei contesti. E' l'uomo, solo e desocializzato, che universalizza la propria libertà pura priva di contenuti dando come esito un universalismo procedurale. L'universalismo procedurale, in quanto, per definizione. privo di contenuti forti di verità, non è nient'altro che lo specchio del relativismo. <br />
Questo micidiale connubio, relativismo e universalismo procedurale, sono alla base della pretesa dell'Occidente capitalistico di indottrinare il mondo. Assolutizzare il relativismo imponendo il proprio universalismo procedurale: ecco ciò che l'Occidente propone al resto del mondo. <br />
Si tratta, forse, di un problema sovrastrutturale che altro non è che una copertura del ben più materiale problema strutturale del dominio imperialistico? Sicuramente sì. Ma struttura e sovrastruttura, intese nel senso marxiano del termine, credo che si intersechino inscindibilmente costituendo un complesso di forze materiali-ideologiche-culturali-simboliche difficilmente inestricabile. Su questo tornerò in seguito in altri scritti, perché si tratta di un problema centrale.<br />
<br />
Il radicamento (o se vogliamo i radicamenti d'ogni forma) sono, allora, l'antidoto alla fuga nel nulla prodotta dal connubbio della desocializzazione e dell'universalismo astratto. Sono l'antidoto al liberalismo come fuga dalla verità sociale. Sono l'antidoto alla pretesa di atomizzazione, senza la quale non vi sarebbe più alcuna giustificazione umana ad un sistema, quello capitalistico, che erge la merce a divinità secolare intoccabile.<br />
Ma il radicamento non è sufficiente come pratica in sé. Deve divenire concetto strutturato, filosofia sociale, asserzione circa la vera natura umana potenzialmente incline alla solidarietà come principio esistenziale e non come scelta contingente.<br />
Non può essere, il radicamento, mera pratica di fuga particolare e intimistica dall'anomia del mondo.<br />
Se di fuga intimistica dall'anomia del mondo si trattasse, non vi sarebbe nulla di nuovo. La società mercificata e nichilista tollera, infatti, per sua stessa definizione, l'esistenza del ripiegamento intimistico, individuale e di gruppo come naturale condizione umana di socializzazione affettiva. La mercificazione e il nichilismo sociale sono del tutto compatibili con l'esistenza della socializzazione affettiva e micro-comunitaria. <br />
<br />
Tali forme personali di socializzazione sono, naturalmente, parte essenziale della vita e devono essere salvaguardate sempre: non solo sotto forma di libertà concessa, ma anche sotto forma di stimolo. Su questo punto ci dovrebbe essere una seria riflessione in relazione ai caratteri di un sistema socio-economico solidaristico nonché una seria riflessione sulle realizzazioni dei sistemi collettivistici realmente esistiti. <br />
<br />
Ma tali forme personali di socializzazione, se estraniate da una contestuale ricerca del bene collettivo e sociale su larga scala, ovvero entro contesti schiettamente politici, rimangono scissioni atomizzanti esse stesse, positive in sé (in quanto forme immediate di realizzazione della natura sociale e affettiva dell'uomo), ma estraniate dalla realtà intesa nella sua totalità.<br />
Solo un radicamento totale che sia, affettivo, comunitario e politico, può porre gli argini alla desocializzazione capitalistica. <br />
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Lorenzo Dorato<br />
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<br />Lorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6851205540597247384.post-15467453038607000052012-03-22T06:59:00.002-07:002012-04-03T13:08:53.834-07:00Il senso e le finalità di questo spazioOggi 22 Marzo 2012, apro questo spazio pubblico per avere l'occasione di condividere, seppur dietro la fredda copertura di uno schermo, tutto ciò che ritengo fondamentale condividere pubblicamente in questi tempi di caos, dissoluzione sociale, dominio del pensiero debole e diffuso sentimento di perdita di senso dell'esistenza.<br />
Questo spazio è uno spazio di espressione di visioni del mondo e della condizione umana, dai tratti più essenziali e generali ai tratti più specifici che investono l'esistenza nella sua dimensione personale e sociale.<br />
E' uno spazio politico e filosofico, coerentemente polemico con i tempi e finalizzato a comunicare non sulla base dell'etica della libera opinione disposta a priori a rimanere isolata e sola in quanto relativa, ma sulla base della ricerca comune, libera e paziente di una verità sulla condizione umana e sulle umane aspirazioni e realizzazioni.<br />
In un dibattito pubblico troppo spesso segnato dal dominio incontrastato delle due tendenze speculari e complementari del relativismo e dell'universalismo astratto (entrambe di matrice liberale), la guida principale che animerà questo spazio pubblico sarà proprio la fede in una forma concreta e sostanziale di universalismo come base di ogni dialogo che si propone di andare alla radice delle cose.<br />
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Lorenzo DoratoLorenzo Doratohttp://www.blogger.com/profile/08955353724730450235noreply@blogger.com0